Roberta Magnani – di Groppello Cairoli, Pavia – non è praticante o forse non è neanche credente ma la dedizione alla vita della creatura che porta in grembo è totale. Colpita da tumore al polmone, che scopre dopo l’accertamento della gravidanza, esclude con decisione le cure che la possono danneggiare e porta il bimbo alla trentaduesima settimana. Muore il 27 luglio 1998, a 31 anni, dieci giorni dopo la nascita di Marco. “Voglio il bambino, salviamo nostro figlio e a curarmi penserò quando sarà nato”, aveva detto al marito Mauro Arlenghi, che aveva sposato civilmente, dopo cinque anni di convivenza, un mese prima di morire. Una decisione, quella del matrimonio, presa subito dopo la scoperta della gravidanza e poi rinviata per la malattia: “Non voglio lasciarti vedovo”, diceva scherzando a Mauro. “Qualsiasi cosa facesse – racconta il marito – subire una radiografia o ingoiare una pillola, bisognava darle mille assicurazioni che non avrebbe causato malformazioni al bambino. Le uniche iniezioni che faceva volentieri erano quelle per rinforzare il feto. Per il figlio era disposta a soffrire. Io ho accettato la sua decisione, ma solo perché sapevo che non aveva alcuna possibilità di farcela”.
Alla messa di addio il parroco don Pierluigi interpreta così la dedizione di questa mamma non praticante: “Il dolore si può vincere solo con l’amore e la preghiera. Su Roberta è sceso sicuramente lo Spirito Santo, che è l’Amore che ci fa compiere questi gesti eclatanti, sublimi. Quello di Roberta non è stato solo un gesto materiale, ma il passaggio di tutto un patrimonio genetico e culturale a una nuova creatura”.
Virgolettati e notizie li ho presi dal Corriere della Sera del 30 luglio 1998, p. 16: Sta bene il bimbo di madre-coraggio; e da Avvenire del 2 agosto 1998, p. 8: Ieri i funerali della donna che ha rinunciato alla chemioterapia per far nascere sano il suo bimbo.
[Luglio 2010]