Abbiamo dato quel che siamo riusciti a raccogliere ma Luigi non è più tornato. Io li ho perdonati quasi subito, pubblicamente, anche perché nutrivo la speranza che servisse a far tornare Luigi. Dopo, con la grazia di Dio, ho continuato a mantenere questo atteggiamento. Perdonare non è facile perché comporta un impegno continuo. Non basta dire “perdono” e poi fare quel che ci pare. La vita deve testimoniare quella decisione. Ho cominciato allora a dedicarmi al volontariato. Se me li presentassero li abbraccerei, per dirgli che non li ho perdonati per scherzo. Prego sempre per loro, perché si ravvedano e lascino una strada che porta tanto dolore, anche a tante mamme di rapitori. Una volta in ospedale mi avvicinai a una donna che soffriva molto per un tumore, per consolarla. Lei sapeva chi ero e appena le fui accanto mi prese la mano e me la baciò. “Perché fa questo?” le chiesi imbarazzata. “Perché lei ha sofferto molto a causa di quelli che agiscono come mio figlio, che è un bandito. Io le chiedo perdono al posto di mio figlio e di quelli come lui. Per la loro conversione, offro tutto quello che sto patendo”: è la testimonianza di perdono data da Maria Daga al convegno pellegrinaggio dell’Azione Cattolica di Oristano a Nostra Signora di Bonacatu nell’anno 2000.
Il figlio Luigi era stato rapito il 17 agosto del 1974. Alla famiglia, che commerciava in mobili e attrezzi agricoli, era stato chiesto un riscatto di mezzo miliardo.
Ho preso le parole di Maria Daga da un servizio di Renzo Giacomelli pubblicato da Famiglia cristiana 33/2000 alle pp. 54s con il titolo Coltivare il perdono, quello vero.
[Giugno 2010]