Collegio universitario “Don Nicola Mazza” – Padova
Martedì 4 maggio 2010 – ore 21,00
I casi di pedofilia nella Chiesa sono – per tutti noi – un motivo di dolore e di vergogna. Sappiamo bene che sono pochi, rispetto all’insieme del fenomeno, ma costituiscono comunque un fatto terribile. “Anche un solo caso è sempre troppo” ha detto il giorno di Pasqua il Patriarca Angelo Scola: e questo potrebbe essere un motto valido per tutti come chiave per condurre o ascoltare ogni stima quantitativa.
E’ da salutare con totale adesione la volontà del Papa di fare chiarezza: dopo tanti decenni di nascondimento dei fatti, suggerito da una prudenza non sempre ben consigliata, finalmente si ridà la priorità alla protezione dei bambini e dei ragazzi, non si insabbiano le denuncie, si favoriscono le inchieste dei tribunali civili, si dialoga con le vittime per chiedere scusa, per un risarcimento quantomeno psicologico e per aiutarle a imboccare un cammino di guarigione.
L’intera vicenda ha conosciuto una forte accelerazione lungo gli ultimi cinque mesi, cioè da dicembre a oggi, con la grande attenzione dei media sul caso irlandese e i successivi casi tedeschi, austriaci e belgi. Si sono avute quattro dimissioni di vescovi per ragioni connesse alla materia (tre irlandesi e uno belga) e il Papa ha inviato una lettera ai cattolici irlandesi per indire un anno di penitenza per lo scandalo che lassù si è manifestato con forza ancora maggiore rispetto a quanto era capitato all’inizio del decennio negli USA.
Stasera per quanto sarà possibile ci staccheremo dalla cronaca. La terremo d’occhio ma punteremo a una comprensione globale del fenomeno, cercando di inquadrare lo scandalo dei preti pedofili nel dramma complessivo della pedofilia. Che l’umanità ha sempre conosciuto, ma che è fenomeno ancora oscuro e difficile a nominare, da appena un trentennio evidenziato adeguatamente dai media e studiato con rigore. La Chiesa ha partecipato e partecipa di questa difficoltà a nominare che è stata di tutti ed è ancora di molti.
Partiamo dalla definizione linguistica, come è formulata dal Battaglia (Grande Dizionario della lingua italiana, UTET; il volume XII con la voce “pedofilia” è del 1985): “Deviazione sessuale in cui si manifesta un interesse erotico per fanciulli impuberi, maschi o femmine, talora limitato al desiderio e al tentativo di seduzione, oppure unito a esibizionismo, a sadismo, a feticismo”.
La letteratura scientifica – medico psicologica – evita oggi i termini “deviazione”, “devianza”, “perversione” che erano invece usati abitualmente fino a qualche decennio addietro. Questa letteratura a partire dagli anni ’80 del secolo scorso usa anche il termine “efebofilia” per distinguere dalla pedofilia l’analogo “interesse erotico” verso gli adolescenti: si parla di pedofilia per i bambini fino a 12-13 anni e di efebofilia per i ragazzi dai 12-13 anni alla maggiore età. Nella lingua letteraria italiana l’uso della parola “pedofilia” si diffonde – ripreso dall’inglese – nella seconda metà del secolo scorso. In precedenza si usava – a partire dal Settecento – la parola “pederastia”, così definita dal Battaglia: “Pratica di rapporti sessuali con bambini e ragazzi da parte di maschi adulti”. Il Battaglia non registra la voce “efebofilia” (il Tommaseo non registrava neanche la voce “pedofilia”), ma la troviamo nel Supplemento 2004 del Grande Dizionario.
La semplificazione dei media che parlano indistintamente di “pedofilia” per tutti i minori trova una sua legittimazione nella definizione di “bambino” in uso nei documenti della comunità internazionale. La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’infanzia, redatta nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991 stabilisce per esempio all’articolo 1 che “ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni”.
Per evitare termini giudicanti come “deviazione” e simili, la letteratura specializzata parla oggi di “disturbo clinico” a proposito della tendenza degli adulti a molestare, infliggere violenza, avere rapporti sessuali con bambini o con adolescenti e lo qualifica come “parafilia”, termine di origine psicoanalitica che dire “attaccamento morboso a un tipo di soddisfazione anormale dell’istinto, in particolare dell’istinto sessuale” (Battaglia).
Tale letteratura evidenzia che le vittime dei pedofili sono in prevalenza i bambini e i ragazzi maschi e che la probabilità di recidiva è doppia nel caso dei soggetti attratti dai maschi rispetto a quelli attratti da femmine. Dall’insieme delle indagini disponibili risulta anche che la maggioranza degli abusatori è di sesso maschile.
Una caratteristica di questa “attrazione disturbata” è che essa rifugge dalle relazioni alla pari e cerca persone più piccole, deboli, remissive. Pare che questa attrazione non abbia tanto di mira la persona del bambino-ragazzo quanto la possibilità di esercitare un “potere affettivo” su di lui e cessa quando il bambino si fa adolescente o il ragazzo diventa adulto.
La mescolanza di sesso e potere nella dinamica e nell’atto della pedofilia può aiutare a intendere il fatto che la stragrande maggioranza degli abusi avvenga in famiglia. In Italia nell’anno 2000 ci furono 621 persone denunciate per abuso sessuale su minori: 476 erano conosciute dalla vittima, 449 appartenevano al suo nucleo familiare, solo 145 gli erano sconosciuti.
Sembra che la manifestazione dell’attrazione pedofilica possa essere favorita o provocata – in un soggetto predisposto – da uno stato di squilibrio psicologico magari occasionale. In persone sposate l’atto di pedofilia nei confronti dei figli si verifica spesso in presenza di una crisi matrimoniale e dopo che da tempo sono
cessati i rapporti sessuali. Nei consacrati si verifica il più delle volte in presenza di una crisi della vita celibataria che si è già manifestata per altra via.
L’abusatore nel 30% dei casi è stato vittima a sua volta di abuso. E parrebbe che egli vada in cerca di bambini della stessa età in cui ebbe a subire violenza. La frequenza di casi di abuso da parte di chi fu abusato è quasi tripla rispetto alla media statistica. Vale a dire che la probabilità che un abusato diventi abusatore è tripla rispetto ai non abusati. Questo condizionamento dell’abusato a farsi abusatore è stato riscontrato anche tra i consacrati condannati per abuso sessuale: la maggior parte di loro aveva subito abusi e qualcuno di loro – secondo testimonianze ricorrenti – pensava di guarire dalle proprie ferite abbracciando la disciplina del celibato, la quale – immaginava – l’avrebbe tenuto lontano dagli incubi per lui legati alla sessualità.
Le cifre della Congregazione per la Dottrina della Fede, rese note dal promotore di Giustizia Charles J. Scicluna (Avvenire 13 marzo 20010, p.5), danno 3.000 sacerdoti denunciati alla Congregazione tra il 2001 e il 2009 per abusi compiuti negli ultimi 50 anni: “Nel 60% si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30% di rapporti eterosessuali e nel 10% di atti di vera e propria pedofilia”. Questa ripartizione mostra una buona rispondenza con ricerche riguardanti l’intero fenomeno degli abusi e non solo quelli di cui sono responsabili i religiosi: secondo – per esempio – dati del Canada, l’insieme degli abusi sessuali denunciati annualmente si possono ripartire in un 30% di casi di pedofilia, un 30% di efebofilia, un 40% di vittime maggiorenni.
I dati forniti dalla Congregazione segnalano come posto sotto accusa, nell’insieme del mondo, l’1% dei sacerdoti. Il dato corrisponde a quanto rilevato dalle indagini della Conferenza episcopale statunitense di cui dava conto un articolo di “Civiltà Cattolica” pubblicato nel 2002 con il titolo La Chiesa cattolica degli Stati Uniti scossa dallo scandalo della pedofilia (2002 II 477-486). In quello stesso dossier si mette in luce – utilizzando dati provenienti da varie fonti – come l’1° di accuse al clero cattolico costituisca un tasso inferiore a quanto riscontrato tra altre Chiese e altre religioni, nonché rispetto all’insieme della popolazione: “La ricorrenza del fenomeno della pedofilia tra i ministri di culto nelle comunità protestanti degli Stati Uniti (mormoni, battisti, metodisti ed episcopaliani), come anche tra ortodossi, ebrei e musulmani sarebbe tra il 2 e il 5%, un dato allarmante, ma ancora inferiore alla percentuale della popolazione adulta nel suo complesso, dove il ricorso alla pedofilia si aggirerebbe sull’8%”.
Va posta attenzione alla dimensione del fenomeno che tocca alla Chiesa Cattolica rispetto all’insieme. Negli Stati Uniti – per esempio – le statistiche ci dicono che sono circa trentanove milioni (su 300 milioni di abitanti) i giovani che hanno subito abusi sessuali e che una metà di loro li ha subiti a opera dei familiari. Secondo indagini citate ultimamente dallo scrittore cattolico statunitense George Weigel, il 2 per cento dei molestatori sessuali accertati per gli anni che vanno dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta erano preti cattolici. Due per cento è sicuramente molto per la nostra coscienza, ma sta il fatto che di loro si è parlato più di tutti gli altri casi sommati insieme! Quella percentuale si è poi molto ridotta, stante l’opera di repressione e prevenzione attuata dalla stessa Chiesa, tant’è che nel rapporto dei vescovi statunitensi per il 2009 sono stati segnalati sei casi certi di abuso sessuale – e stiamo parlando di una comunità che conta sessantacinque milioni di battezzati.
Lo stesso vale per il Canada, l’Irlanda, la Germania e naturalmente l’Italia. Va dunque distinto lo scandalo mediatico da quello reale. Quello reale è grave e ci chiama a penitenza, come dice il Papa. Ma a quello mediatico, che è per almeno due terzi pretestuoso, dovremmo reagire con l’informazione critica. Facendo osservare innanzitutto come la maggior parte dei casi che vengono rievocati dai media siano avvenuti decine di anni fa e a volte vengono richiamati secondo la conoscenza che già se ne aveva e che già era stata divulgata.. Contribuendo poi onestamente alla conoscenza e alla discussione dei casi reali: come cristiani non dovremmo mai aver timore della verità.
Informazioni attendibili sull’Italia non ne abbiamo. Si parla di un centinaio di casi di accuse mosse a consacrati negli ultimi dieci anni. “Dal 2001 a oggi, circa 80 sacerdoti sono stati coinvolti perché denunciati, o già processati e condannati” ha detto in un’intervista alla Radio Vaticana don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter, il 18 febbraio 2010. Ma è verosimile che anche da noi i casi siano in realtà più numerosi rispetto a quanto emerso nei media e nei tribunali. Charles J. Scicluna nella citata intervista dichiarava che “finora in Italia il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa”.
Possiamo chiederci perché tanta attenzione dei media agli abusi commessi da appartenenti al clero cattolico, se la loro incidenza statistica sul totale appare minima. E perché si parla più del clero cattolico rispetto a quello di altre Chiese cristiane? Ipotizzo – da operatore dei media – tre ragioni in ordine di importanza decrescente:
– per il valore simbolico, sacrale e pedagogico della figura del prete nella nostra cultura – e dunque per l’alta aspettativa valoriale nei suoi confronti – donde la forza della disillusione, quand’essa si impone così clamorosamente come avviene in ogni caso, sia pur raro, di abuso;
– per l’importanza preponderante – storica e attuale – dell’istituzione cattolica rispetto a ogni altra compagine associativa, religiosa o secolare che sia; è un poco la stessa ragione per cui si riferisce del solo appello del Papa contro la guerra all’Iraq, pur in presenza di analoghi richiami delle altre Chiese cristiane;
– per ragioni ideologiche: ci sono ambienti laici e laicisti avversi al cattolicesimo – o anche al cristianesimo – che approfittano di questo scandalo oggettivo per muovere una campagna di stampa delegittimante nei confronti di un magistero morale che spesso – e magari anche troppo spesso – fa la predica al mondo laico.
Concludo dando un’occhiata alle indicazioni di governo venute dal papa in ordine a questo scandalo. Sono quattro:
– fare giustizia – che comprende ogni atto di condanna dei colpevoli e di riparazione del danno – un poco quello che i media chiamano “tolleranza zero”;
– fare penitenza – ne ha parlato nella lettera agli irlandesi e va intesa come un’indicazione forte, evangelicamente vincolante, che comporta anche il “metterci la faccia” e le dimissioni per i vescovi responsabili di insabbiamenti;
– non coprire i fatti, non minimizzare, non cercare scusanti, non darli per prescritti dopo dieci anni come prevede il diritto civile in Italia e neanche dopo dieci anni dalla maggiore età delle vittime, come pur prevede formalmente il diritto canonico – ciò che viene detto dai media con la parola “trasparenza”;
– collaborare con i tribunali civili: “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte”, si legge nelle “Linee guida” pubblicate ultimamente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede;
– incontrare le vittime.
Il Papa tiene molto all’incontro con le vittime, che personalmente ha già effettuato in quattro occasioni nell’arco di due anni:
– a Washington il 17 aprile 2008,
– a Sydney il 19 luglio 2008,
– a Roma il 29 aprile 2009,
– a Malta il 18 aprile 2010.
La forza evangelica dell’atteggiamento papale è riassumibile in due suoi testi.
Uno che tratta della penitenza” a cui la Chiesa è chiamata dalle “accuse” del mondo: “Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è una grazia” (omelia durante la concelebrazione con la Commissione biblica, 15 aprile 2010).
L’altro sulla causa principale del malgoverno in cui sono incorsi tante volte i vescovi in passato, che nella lettera agli irlandesi ha indicato così: “Una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali”.
Per intendere il carattere violento e sacrilego, ma anche oscuro e misterioso di questi scandali, nonché la loro presenza antica tra noi, suggerisco di leggere una novella di Luigi Pirandello, intitolata Alla zappa! scritta nel 1903 e contenuta nella raccolta Novelle per una anno (è alle pagine 576-580 dell’edizione Newton & Compton in un unico volume 1993). In essa è narrata la drammatica vicenda di un giovane prete, figlio di contadini, che “s’era macchiato d’un turpe delitto su i poveri piccini affidati alle sue cure” in un “orfanatrofio”. Il padrone della terra dove lavorano i familiari del prete induce le famiglie delle vittime “a desistere dalla querela già sporta” e il vescovo del luogo si mette “d’accordo” con quello di un’altra città perché riceva tra i suoi preti il colpevole e “tutto è accomodato”. Ma i genitori del prete non la vedono così e costringono il figlio a lasciare l’abito e a tornare al lavoro dei campi: “Lì c’è una zappa” – gli intima il padre – “e ti faccio grazia, perché neanche di questo saresti più degno”. Il contadino di Pirandello aveva un atteggiamento più cristiano di quello del suo vescovo, dominato dalla preoccupazione – come dice oggi il Papa – di “evitare gli scandali”.
Nella descrizione del fenomeno pedofilia quando non ho indicato altre fonti ho tratto gli elementi informativi soprattutto da Giovanni Cucci-Hans Zollner, Osservazioni psicologiche sul problema della pedofilia, “La Civiltà Cattolica”, quaderno 3837 (1° maggio 20010); ma anche dal fascicolo di “Concilium” 3/2004 intitolato Il tradimento strutturale della fiducia, e dal volume a cura di Graziano Guerra, Un nuovo orizzonte per l’infanzia, pubblicato nel 2006 a Vicenza da SOS Infanzia Onlus.