Il padre Riccardo Palazzi se ne andò il 15 dicembre 1999. Aveva tutti i guai possibili, muoveva solo la testa, ma era gioioso nella tribolazione e volle fare a quanti gli eravamo amici un ultimo dono, forse il più bello: volle il canto dell’Exultet alla messa di addio. Una cosa simile non l’avevo mai vista. E anche i suoi confratelli carmelitani – ce n’erano una quarantina a concelebrare – dicevano che da loro era senza precedenti. Avevo già visto funerali con canti di speranza, senza toni di lutto. Ma l’Exultet, cioè l’annuncio trionfale della Resurrezione, che viene cantato la notte di Pasqua, davanti a una bara non l’avevo ancora ascoltato.
I padri carmelitani hanno stampato un foglietto per quella liturgia con questo avvertimento: “Padre Riccardo si era sempre raccomandato perché il giorno del suo funerale si eseguissero canti di gioia e si suonassero le campane a festa. Egli stesso ha scelto le letture e ha chiesto che gli si cantasse l’Exultet e la sequenza Victimae paschali”.
Un altro regalo ci ha fatto Riccardo che voglio condividere con i visitatori che mi seguono in questa ricerca di fatti di Vangelo: ha lasciato nel computer due paginette di appunti per una conferenza su “La vita interiore nella vita dei santi”. Le riporto per intero, tanto sono belle:
Abbandonato nelle mani di Dio, con tutta la mia persona, le sue debolezze e le poche virtù. Nella costruzione del tempio, ogni mattone ha la sua importanza ed è indispensabile; ognuno di noi è un mattone particolare del quale il tempio non può fare a meno. Sono una parte della Chiesa e per quanto dipende da me debbo essere la più splendida, non importa se sia in bella vista o nascosta.
Il senso di sopportazione. Anche Lui, Figlio di Dio, ha accettato fino in fondo una volontà superiore.
Le difficoltà, i dolori persistenti fanno gridare: O Dio, vieni a salvarmi. Perché sei sordo alla mia preghiera?
Il Signore! Non solo è vicino, ma entra in te, prende possesso anche del tuo corpo perché esso, con i suoi lineamenti, con i suoi non movimenti, possa parlare di Lui agli altri. Ti fa icona, non dipinta da mano umana. Beati coloro che lo sanno riconoscere! Venite a vedere…
Essere Porta del Grande Giubileo.
La grande tentazione: quella che può portare a ribellarsi a Dio non accettando più la dura situazione e pretendendo di porre termine a tutto. Il senso di essere utile a qualcosa.
Ricevo tante lettere da amici, consorelle e confratelli tutti chiedono preghiere e mi assicurano che pregano per me. E’ la voce e la forza della Chiesa, è la comunione dei santi che pervadono la nostra vita e non ci fanno sentire soli, ma parte, mattone, di un edificio spirituale che è proprio la Chiesa. “Prego Dio per te, e tu prega per me, perché possiamo essere ciò che Dio vuole da noi”.
Ti sostengo nel tuo apostolato con le mie sofferenze; il Signore le accetti come sacrificio. Offro a lui anche tutto quello che il mio cuore desidererebbe fare, ma il mio corpo non ne vuol sapere. E allora, se siamo impediti nelle membra, abbiamo bisogno di qualcun altro che ci porti con sé. A un confratello del Brasile che chiedeva le mie preghiere, ho risposto così: “Portami con te nei tuoi incontri con la gente”.
Il padre Riccardo avrebbe dovuto tenere quella conferenza il 18 dicembre: quel giorno abbiamo fatto il suo funerale, nella chiesa di San Martino ai Monti, a Roma e il padre provinciale dei carmelitani ha letto nell’omelia gli appunti trovati nel computer. “Così – ha detto – lo aiutiamo a parlare ancora”.
Riccardo aveva 51 anni: marchigiano, prete carmelitano, viveva a Roma. Da tre anni era paralizzato da una mielite virale che solo per un miracolo non l’aveva ucciso. Assistito dalla comunità carmelitana di San Martino ai Monti, viveva costretto al letto e alla carrozzella, alla quale doveva essere assicurato con cinture per stare diritto. Con una cuffia e un mouse tra i denti azionava la tastiera di un computer. Così continuava a curare le pubblicazioni della provincia italiana dell’Ordine carmelitano.
Dirigeva la rivista Madonna del Carmine e l’ultima volta che l’ho visto – domenica 5 dicembre – volle discutere con me la programmazione dell’anno 2000. Mi ringraziò per l’ultimo pezzo che gli avevo scritto, sulla Porta santa.
Commentando quell’articolo, disse un pensiero che ritrovo negli appunti del computer: “I sofferenti sono una delle porte del Grande Giubileo. Lo ha detto il Papa, con la bolla di indizione, quando precisa che si può acquistare l’indulgenza in ogni luogo, cioè senza andare alla Porta Santa materiale, se si fa una visita ai fratelli che si trovino in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani, handicappati, ecc.), “quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro”. Chi non si muove e non può compiere alcun pellegrinaggio,viene così a costituire l’occasione o la via per la quale gli altri possono andare a Cristo”.
Intervistando io una volta il padre Riccardo per la rivista l’Eco di San Gabriele, mi ero azzardato a chiedergli: “Se torni sano che fai? Che hai imparato dall’immobilità?” Questa fu la risposta: “Non farei tanti cambiamenti, la mia era già una vita di impegni. Ma aggiungerei l’attenzione alle persone: il dono di una carezza, di una parola d’aiuto. Ho imparato l’importanza del contatto, del tatto, della vicinanza, dell’attenzione e della compassione diretta all’altro”. Riccardo non muoveva neanche un dito. Gli prendevo la faccia tra le mani e sempre rideva quando gli facevo quel regalo.
Nella sofferenza aveva come ricompreso la vocazione carmelitana e prima ancora quella cristiana: “Ho scoperto che oltre i voti c’è ancora un modo più semplice e più libero di consacrarsi a Dio aperto a tutti: è quello indicato da Gesù quando dice di identificarsi nel forestiero, nel malato, nel carcerato… e ho visto in chi veniva a trovarmi, in chi si sedeva accanto a me, in chi mi asciugava il sudore, in chi mi faceva una carezza, in chi mi dava un bacio, un valore immenso, quasi una consacrazione di quelle persone al ‘voto’ di voler essere veramente cristiani. Mi sentivo di poter stare di fronte a Dio e giustificare persone che spesso si sentono prigioniere di colpe legate all’inosservanza delle tante leggi che regolano la vita cristiana. Ho capito che Gesù aveva semplificato tutto, la sua domanda finale per ciascuno di noi era molto semplice: hai amato? Allora di fronte a Dio, contro l’accusatore, potevo avere una mia parola in loro favore. Potevo dire: no, questa persona è venuta a trovarmi, mi ha dato da bere, questa persona mi ha amato. Sentivo che quel loro gesto era più importante delle eventuali inosservanze della legge”.
L’ultima citazione è da un testo del padre Riccardo riportato nel volumetto AAVV, L’Exultet di tutta una vita. Padre Riccardo Palazzi carmelitano 1948-1999, Roma 2000, p. 14. Alla pagina 100 di quel volumetto si legge un “Testo lasciato da padre Riccardo nel computer con le indicazioni per il suo funerale” che dice così: “Dopo il saluto del celebrante canto dell’Exultet e incensazione del Cero Pasquale. Prima lettura Ezechiele 34, 1-16. Seconda lettura: La creazione geme in attesa della rivelazione. Sequenza: Victimae paschali. Vangelo della Domenica di Pasqua: vide e credette. Prece Eucaristica III”. La mia intervista citata nel penultimo capoverso fu pubblicata dall’Eco di San Gabriele 5/1997, pp. 8-9, con il titolo Mi basta una stella che era preso da questa risposta alla domanda “Se siamo fatti per la gioia, che è oggi la gioia per te? La trovi, la senti”: “Certo che la sento. Basta guardare dalla finestra, basta vedere un volto, vedere il cielo. E lo vedo tutte le sere. La cometa non l’ho vista perché era a Nord-Ovet e sarei dovuto uscire tardi per vederla, ma ogni sera guardo il cielo e vedo Giove che è il più luminoso”. Il passaggio della Grande Cometa 1997 – detta, dai nomi degli scopritori, Hale-Bopp – si ebbe il 1° aprile 1997. Nel catalogo delle Edizioni Madonna del Carmine c’è questo volume che fu curato dal nostro: La Madonna del Carmine. Teologia, storia e culto nella tradizione del Carmelo, a cura di Telesforo Giovanni Cioli e Riccardo Palazzi, Roma 1992 (ristampa 1999). Un video dal titolo Vocazione da lui realizzato si può vedere qui.
[Testo pubblicata dall’Eco di San Gabriele 1/2000 – aggiornato nell’aprile del 2010]