Un mobiliere veneto ospita quattro famiglie Rom nel cortile della sua azienda, paga le loro bollette, li sussidia, li convince a mandare i bambini a scuola. Dice che lo fa perchè da bambino era povero e rubava “le uova e le galline” per mangiare e anche perché ricorda “la fame dei popoli incontrati nei viaggi”. Ma lo fa – soprattutto – perché vuole sentire da loro “le storie del mondo”. Ecco come ne ha parlato il Corriere del Veneto del 25 febbraio:
SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova) – L’imprenditore «zingaro». E cacciatore di storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all’esterno del suo capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini possono andare a scuola (…). E’ una storia che comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c’era solo terra. E di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in tempo all’apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est (…).
Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande fratello (…). All’esterno, oltre i capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel piazzale, c’è un altro capannone dove risiedono – regolarmente iscritte all’anagrafe – quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l’antenna Tv. Hanno scelto di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole del gas e il conto lo salda «Toni».
E’ il soprannome dell’imprenditore diventato re degli zingari in casa propria. Ed è lì nell’accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c’è il cuore del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie accendendosi l’ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c’era un polverone di denunce e io ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento».
Perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo. E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un’altra possibilità. E’ nella carovana, oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando c’erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all’epoca, non era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca “abusiva”, perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo le uova e le galline per mangiare. L’acqua la bollivamo per berla, la prendevamo a valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare niente nelle fattorie».
Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre, avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all’incidente che lo ha fatto diventare imprenditore quando, a vent’anni, faceva il camionista. In un viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato – dice sorridendo – una penale. Passavamo le frontiere dell’Urss in silenzio tra carri armati e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre un po’ di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il camion oltre i cento all’ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l’olio del motore mi bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di passaggio che erano di Tombolo (Padova)».
Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l’impero Tonin (…) con oltre cento di dipendenti: italiani, turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli che ho incontrato nei miei viaggi. Una ventina di anni fa sono tornato in Romania e in un bar di notte a Baia Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese. Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa per il pranzo di Natale ed è stato il più bel pranzo di Natale che ricordi» – ride senza prendere fiato (…).
Martino Galliolo, Corriere del Veneto, edizione locale del Corriere della Sera, 25 febbraio 2010 (testo integrale).
Sull’azienda, vedi il sito Tonin Casa – e vai alla pagina SOLIDARIETA’.
[Febbraio 2010]