Questo racconto è stato scritto da Alice Sturiale, una bambina fiorentina colpita da atrofia muscolare spinale e che di questa malattia è morta a dodici anni, il 20 febbraio 1996. Era una creatura stupenda nella sua innocenza ferita. I genitori Marta Bigozzi e Leonardo Sturiale, aiutati da Mariella Bettarini hanno raccolto i suoi disegni, le lettere, i racconti e le poesie in un volume intitolato Il libro di Alice (Edizioni Polistampa, Firenze 1996, 254 pagine; poi Rizzoli 1997), che ognuno dovrebbe leggere. Esso ha un disegno di Alice sulla copertina con il titolo tracciato da lei che dice: “Sono felice”.
Di tutto il piccolo libro, questa mi è parsa la pagina più bella e l’ho scelta per dare un’idea delle altre. E’ un racconto preso dal vero: Alice era amica di don Paolo, priore dell’Eremo di Camaldoli, don Paolo le aveva raccontato quella storia e lei la riferisce affascinata, affascinandoci. Il suo testo – che nel libro è accompagnato da una foto del monaco e della volpe, come a documentarne la verità – è più bello di quello del Piccolo principe a cui si ispira.
LA VOLPE E IL MONACO
C’era una volpe di pelo fulvo, vivace e affamata, furba e soprattutto gioviale. Viveva nella foresta di Camaldoli, nel gelo della neve e nella solitudine quasi totale.
Al centro della foresta c’è un antico eremo dei monaci camaldolesi. Una sera, visto il silenzio che regnava dietro quelle mura, la volpe decise di entrare nell’eremo. Con un balzo si trovò tra le casette degli eremiti.
Girava e girava furtiva in quei violetti silenziosi. Sul terreno c’erano poche orme di uomini. “Strano – pensò la volpe – di solito in un paesino come questo ci sono più impronte nel terreno!”.
All’improvviso sbucò da una finestrella un faccione sorridente con una papalina da notte in capo. Un attimo dopo scomparve e dalla porta della casetta si affacciò un monaco vestito di bianco che teneva nella mano un pezzo di pane.
La volpe si irrigidì, pronta a fuggire. Il monaco fece tre passi avanti, molto piano, piano, posò il pane per terra e lentamente rientrò nella sua cella.
“E’ una trappola!” pensò la volpe. Si guardò intorno timorosa: non c’era nessuno. Vide il monaco che la stava osservando da dietro i vetri appannati dalla finestra.
La volpe si avvicinò al pezzo di pane, si guardò ancora intorno, poi, veloce come un razzo afferrò il pane e scappò via nella oscura foresta. La sera dopo fu la stessa cosa e quella dopo ancora.
Una di queste notti don Carlo, invece di rientrare in casa come al solito, si sedette sulla neve vicino al pane e aspettò che la volpe si avvicinasse. La volpe aspettò un po’: non era mai stata così vicino ad un uomo ed aveva un po’ paura. Ma poi si decise, capì che don Carlo non le avrebbe fatto del male, si avvicinò e, invece di scappare nella foresta con il pane, questa volta mangiò lì, accanto a don Carlo. E così fece per un altro mesetto buono.
Una volta don Carlo uscì dalla cella col suo pezzo di pane. La volpe aspettava che lo posasse per terra, ma lui si avvicinava ed ogni passo che faceva la volpe arretrava un po’ impaurita, finché non si fermarono tutte e due.
Lei aspettò un po’, poi si avvicinò lentamente, si fermò ancora ed infine protese il muso fino alla mano del monaco e mangiò il pezzo di pane.
Da quella sera i due diventarono amici stretti ed ancora adesso la volpe dal pelo fulvo va a prendere il cibo dalla mano di don Carlo che ormai l’ha addomesticata proprio come fece il “Piccolo principe” con la sua volpe.
(Da Il libro di Alice, Firenze 1996, pp. 44-46)
In questo racconto non c’è nessuna tristezza: non c’è mai nessuna tristezza in tutto Il libro di Alice. Non poteva stare in piedi da sola ma amava la vita, tutta la vita, era vivissima, usava il computer, faceva le uscite con gli scouts, suonava e dipingeva. Persino – come poteva – sciava, sorretta dal papà.
Si direbbe che Alice, nata con una croce addosso più grande di lei, sia naturalmente cristiana. E il suo cristianesimo, anch’esso – come lei – non ha nulla di triste, non è ripiegato sulla sofferenza. Raccontano nel libro i genitori che dopo aver ascoltato un monaco che proponeva la sofferenza e il dolore come unica via per arrivare a Cristo, Alice disse candidamente: «Allora io non posso vivere fino in fondo il Vangelo». La guardarono stupiti e le chiesero perchè e lei: «Perchè fino a ora non ho sofferto, sono fortunata». Le dissero che le sue quattro operazioni, il busto e tutto il resto era certo una sofferenza e lei: «No, a questo non ci avevo pensato. Io pensavo ai genitori, che li ho tutti e due sani, non siete separati come quelli di A. e S. che sono tristi. Noi abbiamo la casa bella…, insomma, non abbiamo sofferenze di questo genere».
«Prego molto e faccio abbastanza caso a camminare col Signore» dice Alice stupendamente in una lettera a don Paolo, scritta in un momento di più grave dolore, per la lussazione all’anca. Termino questo invito alla lettura con le parole che Alice scrisse in quinta elementare, nel giorno dei morti: «Li immagino vivi nel mio cuore e ne sono perfettamente convinta perchè la morte è l’inizio di una nuova bella vita».
Ho conosciuto Il libro di Alice da una segnalazione della rivista Koinonia (piccola e bella, animata dal domenicano Alberto Bruno Simoni: piazza San Domenico 1, 51100 Pistoia), che ne ha parlato prima della grande stampa. Dopo la prima edizione di Polistampa, Il libro di Alice è stato ripubblicato da Rizzoli nel 1997 ed è stato tradotto e diffuso in tutto il mondo.
Qui, è narrato qualcosa sul monaco amico di Alice, che è don Paolo Giannoni. Qui sul successo del Libro di Alice. Poesie, prose e foto di Alice si trovano anche in questa pagina, datata 2007. Qui una recensione del Libro di Alice del 2008. Qui nove opinioni su di esso.
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel febbraio del 1997 – aggiornato nel febbraio 2010]