Cristina è una ragazza innamorata della vita, che nel mezzo della malattia grida al Signore: “Voglio vivere”. Lei crede nella vita eterna e intitola “Il libro degli angeli” il suo diario, ma non riesce a intendere la malattia che la sta per staccare da Carlo, il ragazzo che ha sposato e grida ancora: “Ti prego Signore concedimi di vivere!”
Muore invece a 26 anni, di un linfoma maligno che inutilmente la costringe prima a un intervento di asportazione all’intestino tenute e poi a un autotrapianto. Lascia un diario di una bellezza sconvolgente, che mostra quanto e come una ragazza di oggi possa combattere con il Signore e con se stessa la battaglia di Giobbe. Ci fa piangere, ma ci aiuta a credere.
Com’è difficile e dura la vita, ma più di tutto è difficile accettare la morte, anche se penso che lo sia di più per le persone che rimangono in vita. Non ho paura di morire perché ho fede e credo nella vita eterna dopo la morte, però mi spaventa la sofferenza, l’agonia, il distacco dalle persone che amo e la disperazione che proverebbero nel vedermi morire… Voglio vivere la mia vita, desidero restare vicino a Carlo il più possibile, amarlo e creare con lui una famiglia, voglio poter essere utile alle persone che soffrono, pregare per loro e cercare di rendermi utile dove il mio prossimo ha bisogno… Accetto la morte ma prima voglio la vita, voglio vivere, ti prego Signore concedimi di vivere!
(Da Cristina Brambilla Canali, Il libro degli angeli. Diario di Cristina, Oscar Mondadori, 1999, p. 17).
All’inizio del piccolo diario (sono appena 94 pagine) c’è una dedica di Carlo, lo sposo, posta sotto il titolo “Il libro degli angeli”, che dice così: “Mio dolce Angelo, come petali di fiori le pagine del tuo diario inebrieranno i cuori che si metteranno in ascolto”.
Per me è stato così: ho letto e pianto per una notte e ho deciso di riferire le parole di Cristina che più mi hanno aiutato. Nel senso – come ho già detto – dell’aiuto a credere. Perché nulla ci sostiene, nell’invocare la fede, quanto l’esempio di quanti l’hanno attestata di fronte alla morte.
Di Cristina sappiamo poco: solo quello che ci racconta lei nel diario che scrive durante l’ultimo anno di vita: tra il gennaio del 1996 e il marzo del 1997. Muore il 13 maggio 1997. In copertina c’è una foto di una vacanza al mare, scattata al tramonto, che ci racconta la sua bellezza di ventenne, lo sguardo che cerca, una punta d’ironia nella piega della bocca.
Dalle sue confessioni veniamo a sapere che è di Bussero (Milano), e che si cura negli ospedali di Milano e Bergamo. Fa una prima operazione a 23 anni, nel marzo del 1994. Dopo la quale sembra guarita e si sposa con Carlo nel giugno del 1995.
Ecco la sua preghiera di fidanzata che teme di non poter celebrare le nozze per un ritorno del male e così chiede l’aiuto di Maria: “Ti prego, se mi deve tornare fai che non sia adesso, fammi sposare Carlo!” Il matrimonio, tanto atteso e invocato, durerà meno di due anni e saranno due anni di lotta con il male.
Ma ascoltiamo un attimo la sua voce di sposa felice: “E’ stato il giorno più bello della mia vita. La cerimonia in chiesa è stata bellissima, intorno a noi i nostri genitori, parenti e amici testimoniavano la nostra felicità e la nostra reciproca promessa di amore eterno. Poi sono passati come in sogno tre bellissimi mesi, la nostra casa, le vacanze, la vita spensierata”. Immaginiamo che la foto della copertina sia stata scattata da Carlo in quella vacanza.
Scopre la ricaduta nell’ottobre del 1995. Pur nello spavento che prova a pensare che la morte potrebbe staccarla da Carlo, riesce a cogliere ogni momento della vita che le è donata: “La felicità è il mio amore per Carlo e l’amore che lui ha per me. La felicità sono i miei genitori e mia sorella Barbara che non si risparmiano mai, mi sono sempre vicini. La felicità è pregare e avere fede, sapere che Dio ti ascolta, essere convinti della sua presenza sempre e comunque”.
Toccante è il paragone che fa del suo amore per lo sposo con l’amore di Cristo, che “è morto sulla croce per salvarci perché ci amava più della sua vita”: “Bene, io amo Carlo più della mia vita, voglio vivere per lui, per amarlo, proteggerlo, per creare con lui una famiglia”.
In un’altra pagina invoca di poter “invecchiare con Carlo”. In un’altra ancora così racconta un dono avuto da lui, in ospedale: “Mi ha portato un bellissimo tulipano rosso (il mio fiore preferito!) di legno che ho appeso al letto come buon augurio. Amo tantissimo Carlo!”
L’accettazione della morte l’esprime così, il giorno dell’unzione degli infermi, alla vigilia dell’autotrapianto: “Ho rinnovato a Gesù il mio desiderio di ricevere pace durante tutto il periodo di questa grande prova e infine la mia totale disponibilità a compiere la volontà del Padre! La gioia ha raggiunto il culmine quando alla fine io, Carlo e fra Stefano abbiamo recitato il Padre nostro tenendoci per mano, uniti in Dio Padre, speranzosi in Gesù Cristo Salvatore!”
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nell’aprile 2000]