“La vita, comunque si attui, è una meravigliosa avventura”: così scrive Roberto Martarelli, caro amico, in un libro intitolato “In cammino”, che è il racconto della sua vita e che in un primo tempo – nel 1992 – aveva stampato a sue spese e me l’aveva regalato la prima volta che ci incontrammo in occasione di una mia conferenza. Avevo ricambiato con uno mio e poco dopo mi scrisse che l’aveva letto insieme alla moglie e l’avevano goduto “come cosa nostra”. Si diventa amici anche per iscritto. Ci incontrammo ancora e un giorno mi arrivò per posta una nuova edizione di quel libro, ripubblicato da Piemme nel 2001 e nel 2003 “La casa posta in collina”, anch’esso autobiografico, sempre della Piemme e infine “La locomotiva di latta. Appunti di viaggio” (Paperback – Jan 1, 2008).
Dicevo che il libro di Roberto è il racconto della sua vita, ma voglio dire meglio: è la storia della sua vocazione alla gioia di vivere. Perché egli concepisce “la vita come un grande dono”, dichiara di ricevere questa veduta dalla fede cristiana e racconta i casi che gli sono capitati per poter “affermare che – grazie alla fede – ogni momento dell’esistenza è fatto per riempire il cuore di gioia e stupore”. Di quel libro qui segnalo i contenuti più belli. Sono “episodi veramente accaduti”, scrive Roberto, ma hanno il carattere di parabole: un centinaio di parabole raccontate da un uomo semplice, innamorato della vita e del Signore.
Parabola della guerra e della pace. La storia di Roberto inizia con la guerra, per la quale parte nel 1941 e che lo vede – alla fine – inquadrato in un battaglione regolare italiano che combatte al fianco degli alleati, contro i nazifascisti. Rientrato a Legnano viene richiesto di far parte delle squadre partigiane che rastrellano e fucilano i “fascisti”: “Abbiamo saputo che lei è uno dei liberatori. Venga con noi a giustiziare quelli che ci hanno sfruttato fino a ora”. Questa è la sua risposta: “Siete talmente ignobili che, se non sparite alla svelta, nessuno mi tratterrà dal farvi correre con una scarica di mitra”.
Parabola del bimbo che salva il padre. Il padre di Roberto era ferroviere, ma anche socialista e durante il fascismo perde il posto e fa la fame. Una squadraccia lo aggredisce di sera. Accorre la moglie gridando, con il bimbo più piccolo in braccio: “Mia madre ricevette da uno di loro una bastonata e il bimbo che aveva in braccio cadde sulle rotaie. La vista di quel bambino che rotolava per terra ebbe il potere di fermare i sicari che spaventati si dileguarono nel buio. Quel bimbo inconsapevolmente aveva salvato mio padre e quel bimbo ero io”.
Che moglie meravigliosa! “Devo continuamente ringraziare Dio per avermi dato un tesoro come compagna di questa vita”, scrive Roberto verso la fine del volume, che è dedicato “a mia moglie con affetto e riconoscenza”. “Che moglie meravigliosa!” esclama in un’altra occasione. Si capisce (ma non viene mai detto direttamente) che insieme aderiscono al Movimento dei Focolari e che la prima a incontrare questa spiritualità fu lei, che si chiama Rosa. Roberto inizialmente era scettico, ma ora non finisce di lodare “il comportamento” di lei che “seppe prepararmi a capire la cosa grande da cui lei era già stata contagiata: usando tatto, discrezione, silente pazienza alle mie perplessità e rispetto della mia libertà”.
Goderci l’un l’altro. Sono belle le pagine del fidanzamento, che avviene giocando lei in una squadra di pallacanestro che lui allena: “E’ giovane, riservata. Mette l’anima quando gioca, ma poi sta per conto suo o è incollata a suo padre, che è dirigente del gruppo sportivo. Accetto qualche invito a cena che mi dà l’opportunità di conoscere meglio questa ragazza che trovo diversa da quante incontro. Riservata e timida, fors’anche perché abbastanza giovane, comincia veramente a piacermi”. Arriva il matrimonio: “E’ proprio bello goderci l’un l’altro fino in fondo! Decidere tutto insieme, fin nelle più piccole cose e raccontarci quel che avviene nelle ore in cui si è divisi per il lavoro contribuisce ad amalgamarci sempre più”.
Una casa aperta a tutti. Roberto sognava di “rinchiudersi in una casetta come in una tana”. Finisce invece con il costruirsi una casa più grande del necessario, che viene “messa a disposizione di tutti” e nella quale “si avvicendano persone di ogni categoria”. Ragazze incinte da riconciliare con la famiglia e da difendere dalla tentazione dell’aborto, una che neanche parla tanto è depressa, un profugo ungherese, un ragazzo che si droga, un cieco da accompagnare in villeggiatura, un somalo venuto a curarsi da una grave malattia, un depresso che abbandona la famiglia, una coppia che vuole essere convinta ad avere figli, una donna violentata che accolgono per aiutarla ad accogliere il bimbo.
“Un cristiano dev’essere amico di tutti”: questo è il motto con cui Roberto viaggia per il mondo (come rappresentante commerciale) e con cui attraversa la vita. A quell’atteggiamento lo predispone l’indole aperta e a esso lo incita la spiritualità dei Focolari. Fa festa a ogni cattolico che incontra nel centro dell’Africa o nei Paesi scandinavi, esattamente come Marco Polo faceva con i cristiani che scopriva in Oriente: consiglio a Roberto di rileggere in questo spirito “Il Milione”. Ha quattro figli, ma tutti gli amici più giovani sono come suoi figli e quindi si ritrova pieno di nipoti – ne conta “una quarantina circa” – di cui va fiero: “Se considero miei figli tutti i giovani passati da casa, come non dovrei considerare miei nipotini anche i loro figli?” Con questa immagine di un nonno felice chiudo la mia rassegna delle parabole secondo Roberto e lo saluto a nome dei lettori.
[Testo pubblicato sull’Eco di San Gabriele nell’aprile del 2001 e aggiornato nel novembre 2009]