Monica vive a Brescia, ha cinquant’anni, marito e tre figli dai venti ai sedici anni: non vede dall’occhio sinistro ed ha il braccio sinistro e la mano emiplegici, cioè paralizzati. Ha bisogno di aiuto per salire e scendere dal marciapiede, per attraversare piazze o strade con traffico, perché incerta nell’equilibrio: sono i frutti di un incidente su una pista da sci avvenuto tredici anni addietro, che le causò un grave trauma cranico che quasi l’uccise. Subì tre interventi chirurgici alla testa, per un certo tempo non riuscì a camminare ed era incapace di leggere e scrivere. Ma – racconta oggi – la vita “piano piano tornava certamente diversa da quella di prima tuttavia non meno bella, seppure più faticosa”.
Non sono mancate altre prove. Un giorno che si avventura verso l’altro lato della strada, dimenticando che non vede a sinistra, viene investita da un S.U.V. in retromarcia che le frattura il piede riportandola sulla sedia a rotelle perchè, non avendo l’uso della mano sinistra, non può reggersi sulle stampelle. Più recentemente dei giovani medici le diagnosticano, per errore, un inesistente tumore maligno al seno poco prima dell’ultimo Natale e viene operata nel gennaio del 2009. Queste prove Monica le ha affrontate in una costante lotta che così racconta:
Ogni volta, dentro questi avvenimenti, il Signore mi chiedeva di fidarmi di Lui e io gli chiedevo se poteva accompagnarmi. Mi facevo risuonare nel cuore le parole di Paolo: “Tutto concorre al bene di coloro che amano il Signore”. E’ stato vero e anche difficile. Ora che sono uscita dal tunnel della sofferenza, so che Lui ha attraversato le burrasche con me, custodendo la mia vita e proteggendomi. So che queste sofferenze non le vuole per nessuno, ma ci sono. So anche che con Lui bisogna avere pazienza, ma sempre meno di quella che Lui ha per noi. La serenità della mia vita non è opera mia. Viene da Altro: dal Signore che mi custodisce ogni giorno. E’ Lui che mi dà la forza di affrontare la vita a viso aperto, per scoprire che dentro le burrasche sedate c’è la sua luce. Grandi cose ha fatto in me il Signore, artista insuperato nel trarre il bene dal male, la vita piena dalla disavventura. Da qui la mia gratitudine.
Un lunedì mattina di un anno in cui ne ha 37, Monica Paganuzzi dice al marito Sandro che andrà a sciare in Maniva (una montagna vicina a casa) con tre amiche. Tornerà in tempo per il pranzo, la tavola è già apparecchiata in cucina. Porta a scuola i figli e parte “per una giornata di sole che doveva essere anche di grande splendore e riconoscenza al Signore”. Perché Monica ama la montagna di un amore che ha “preso dal papà” e considera lo sciare come “un salire, una fatica, un luogo dove cielo e terra si toccano e dove Dio si rivela”.
Sulla pista verso fine mattina viene investita da uno sciatore che scende ad altissima velocità e che, investendola, le pianta uno sci nella testa. Arriva in coma all’ospedale di Brescia dove la salvano miracolosamente. Si risveglia, a seguito del gravissimo trauma cranico, totalmente invalida e senza più memoria del suo passato. Piano piano l’aiutano a ricostruirlo: e così ricorda di aver fatto il liceo classico, di essere laureata in giurisprudenza e insegnante di diritto alle superiori. In palestra con “meravigliosi e pazienti” fisioterapisti impara a ritrovare l’equilibrio stando in posizione eretta e poi a muovere un piede dietro l’altro, infine, “torna a casa per affrontare la parte più difficile e dolorosa, quella di confrontarsi con il mondo, che però non va più al passo con lei”. Oggi cammina ma non può mettere scarpe “con un po’ di tacco”, non riesce a salire le scale di casa con una busta della spesa, non può reggere l’ombrello se piove perché ha sempre bisogno di una mano libera per appoggiarsi quando occorra:
Poi viene il momento in cui – nell’intimità della casa – la vita, che ti è stata restituita, ti chiede di aderire ad essa e di cercare nuove motivazioni, senso, affetti per gettare lo sguardo oltre un orizzonte di morte. E finalmente, se l’angoscia non ti chiude gli occhi, pace è fatta con il mondo e con Dio. Lui infatti opera attraverso la solidarietà delle persone che ti accettano mettendosi al tuo passo, che ti vogliono bene così come sei. Sono i cirenei, il segno di un Dio che non ti abbandona, che ti apre nuovi orizzonti prima inesplorati e che ti porta in braccio.
Ho conosciuto Monica per posta elettronica, essendosi lei fatta viva per segnalarmi una storia, una volta conosciuta questa pagina del blog. Era motivata a scrivermi dall’avermi ascoltato in una conferenza a Brescia. Lei ha narrato e io ho fatto domande, fino alla realizzazione di questo racconto.
[Novembre 2009]