Racconto qui una bellissima storia cristiana dei nostri giorni e con essa ricordo due maestri che ci hanno lasciato tra il 1996 e il 1997: don Giuseppe Dosetti e don Umberto Neri, il suo teologo. Abbiamo ricevuto tanti aiuti a credere dai due sacerdoti e monaci, ma forse il dono più bello – e comunque l’ultimo, per chi li seguiva da lontano – è proprio questa storia che li vede protagonisti insieme a uno sconosciuto che si chiama Paolo Caccone, che li ha preceduti nel Regno dei Cieli e che loro ci avevano segnalato come un santo di fine millennio.
Un santo e una parabola vivente: quella del figliol prodigo, impersonata da un uomo che incarna alla perfezione il nostro smarrimento epocale. Lo incarna fino alla droga e all’Aids e da esso si redime, vivendo in poco tempo una grande conversione, che lo porta alla professione monastica – appunto nella comunità di Dossetti e Neri – «in articulo mortis»: cioè in punto di morte.
L’avventura cristiana di Paolo Caccone (1948-1992) è affascinante perchè ci mostra come anche nel nostro tempo sia possibile intendere la promessa di vita eterna contenuta nel Vangelo e credere a essa. E come sia possibile credervi anche per uomini che vengono da lontano e che hanno vissuto devastanti ribellioni.
Paolo nasce a Modena da una famiglia operaia, cresce lontano da ogni chiesa, fa politica. Ha vent’anni nel 1968, è iscritto alla Fgci, vive in una «comune», entra in un gruppo filo-maoista. E’ iscritto a Biologia a Modena.
La politica lo delude, la lettura di un libro sul Buddismo lo porta in India e in Pakistan, dove spera di trovare «il suo guru» e invece trova la droga. Arriva a spacciarla e viene arrestato durante un soggiorno romano: fa due anni di carcere.
Poi un’altra fuga in Francia e in Gran Bretagna. Rottura completa con la famiglia d’origine. Non spaccia più, ma viene picchiato dagli spacciatori e non paga le dosi. E’ in queste condizioni quando si presenta – nel gennaio del 1986 – al pronto occorso dell’ospedale di Modena per una colica renale: e risulta che è sieropositivo.
Ha preso l’Aids dalla droga, probabilmente, attraverso una siringa usata e di Aids morirà sei anni più tardi. Ma intanto, in uno dei suoi passaggi in ospedale, incontra un monaco della comunità di don Dossetti, che gli dice «venga a trovarci». Paolo va, incontra don Neri e poi don Dossetti e si confessa e si converte e nell’autunno del 1989 entra nella «Piccola famiglia dell’Annunziata», come si chiama la comunità monastica dossettiana. In essa vive tre anni da novizio. Muore monaco.
Le citazioni dei testi di Paolo che faccio ora sono prese dal volume curato da Umberto Neri, Morire per miracolo. Una storia di droga, carcere e Aids. E di una conversione autentica, Guaraldi 1995. E’ un libro di straordinaria bellezza, fatto principalmente delle lettere che si cambiano Paolo e Dossetti.
In un appunto senza data, ma posteriore alla conversione, Paolo scrive così: «Pacificazione. Attraverso il silenzio e l’ascolto». La storia di quest’uomo ci dice come sia possibile oggi l’ascolto e il silenzio in mezzo al frastuono, alla dissipazione, allo stordimento dell’epoca. E come sia possibile nell’avventura di un uomo che quello stordimento aveva pienamente sposato.
Nella sua esperienza – prima del silenzio – c’era stato il grido a Dio: «Ormai abbandonato alla disperazione più completa e in preda alla paura e al dispiacere totale del fallimento, una notte piansi e piansi ore ed ore, chiedendo a un Dio – se mai ce ne fosse stato uno – di aiutarmi: perchè quello era il momento».
Il grido al Signore e la pacificazione si intrecciano continuamente nell’avventura di Paolo. Per esempio di fronte alla tentazione per lui più forte, quella della «lussuria», come la chiama: «Allora gridai il nome di Gesù, e tutto si disciolse».
In una lettera a don Dossetti, scritta il 7 agosto 1990, trovo il suo testo più bello: «Dio è svisceratamente innamorato della sua creatura e il suo grande diletto consiste nell’ascoltarla, e per questo la tiene nella sua grande mano (Gesù), e la nostra intima gioia consiste nel sentirci stretti con forza a lui – vicino, vicino, vicino. Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze».
All’omelia della messa di commiato, Dossetti parlò così di questo suo figlio dell’ultima ora: «Aveva percorso tutte le strade del mondo e tutte le possibilità terrene, in un’inquietudine che talvolta si cambiava in ribellione, e tal altra diventava ricerca sincera».
Don Giuseppe invitò i genitori e i parenti di Paolo a vederlo come il figlio prodigo: «Egli è ritornato, capite? Il figliol prodigo è ritornato in bellezza, e vi è stato restituito dal Signore meglio e più grande di quello che era».
E concluse così: «Nella nostra Famiglia è vissuto come un monaco perfetto, dandoci esempio e commuovendo tutti. Sicchè noi diciamo: Paolo, prega per noi!»
[dall’Eco di San Gabriele, marzo 1997]