Mi sono messa con un ragazzo più giovane di me, solo al mondo, tossicodipendente dall’età di 14 anni. A modo suo si è innamorato di me, ma non è riuscito a mettermi in guardia verso le cose cui andavo incontro, o forse io non volevo essere avvisata. Ed è stato così che, con la scusa di tirare fuori lui, mi sono immersa io negli abissi di un inferno dal quale mi sembra impossibile uscire.
In due anni ho venduto tutto il mio oro, rubato soldi a mio padre e mia madre. Unica cosa buona è che ho convinto il mio ragazzo a entrare in una comunità terapeutica, ma per ottenere questo ho dovuto fare in modo che mi disprezzasse, perché gli ero rimasta solo io, ero il suo unico appiglio alla vita. Dalle poche notizie che mi passa il parroco, che l’ha aiutato a entrare in comunità, so che sta bene e non vuole sapere più nulla della sua vita precedente, me compresa. Ho dovuto barattare il suo amore per me con la sua salvezza.
Le volte che ho provato a smettere e sono andata via, lontano per qualche tempo dal mio paese, una volta dai miei zii, un’altra da sola in un albergo, camminando senza meta mi sono ritrovata spesso in chiesa, ma non sapendo più pregare ho pianto, con la speranza che almeno una delle mie lacrime, invece di scendere giù, sia salita in cielo da Gesù per chiedergli almeno, se non può fare niente per me, di aiutare mia sorella, così da rendere un po’ di serenità ai miei.
Ma lei è ancora più bambina di me, è legata a un ragazzo tossicodipendente anche lui. Non c’è quasi più nessuno ormai disposto a credere in me, anche se io mi sono armata di tutta la mia buona volontà, sperando che basti. E come ho già detto, pure senza fede, spesso sulle mie labbra compare il nome di Dio, a cui chiedo aiuto come se fosse l’unica luce in questa oscurità che mi circonda.
Nicoletta ha 26 anni quando scrive questa lettera a “Famiglia cristiana”, nel dicembre del 1988. Ho riportato la parte centrale. La lettera è indirizzata alla rubrica “Colloqui col padre” e termina così: Se avrà la voglia e la possibilità di rispondermi mi regalerà un po’ di gioia e sono certa anche di speranza, altrimenti non fa niente, è già tanto che io mi sia potuta sfogare.
Al settimanale arrivò una valanga di lettere, di drogati e sani, di genitori e figli: chi voleva adottare Nicoletta, chi l’ammirava e chi la rimproverava, tutti volevano amarla come potevano. E tanti pregavano con lei: un carteggio che documenta come possa farsi pubblica la preghiera nell’Italia di oggi, ogni volta che qualcuno osa pronunciare in pubblico il nome del Signore. Novanta di quelle lettere sono state pubblicate in un volume a cura di Beppe Del Colle, Nicoletta. Una storia di droga e di amore (Edizioni Paoline, Milano 1990, pp. 227). E dalla “post-fazione” di quel volume abbiamo saputo che Nicoletta nel 1990 era entrata in una comunità terapeutica, come tanti le avevano consigliato per lettera.
Il volume ha in appendice l’elenco completo, per regioni, delle comunità terapeutiche e dei centri di assistenza pubblici, operanti in Italia a quella data, con indirizzo e telefono.
[da Cerco fatti di Vangelo, Sei 1995, pp. 236s, 302]