Carlo Castagna: “In fondo al buio c’è la luce di Dio”

Sono pieno di riconoscenza per Carlo Castagna, detto dai giornali “papà Castagna”, marito padre e nonno di tre delle quattro vittime della strage di Erba avvenuta l’11 dicembre 2006 e per la quale Rosa e Olindo Romano, vicini di appartamento, sono stati condannati a vita. Uomo giusto – papà Castagna – che subito scagiona il genero tunisino Azouz Marzouk dall’accusa di essere lui l’assassino. Che dice di voler perdonare, anzi di aver perdonato gli uccisori. Che abbraccia e porta al giusto banco, in chiesa, Azuz durante la celebrazione per la moglie Paola: quell’Azuz scagionato ma pur sempre malvisto dagli altri parenti e dai vicini per i suoi precedenti. Che ha il cuore per leggere durante la celebrazione la prima lettura dal libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. Io credo sia riuscito a condurre a termine quella lettura perchè davanti alle telecamere aveva detto più volte parole equivalenti.

E’ venuto il momento di perdonarli, l’odio non porta da nessuna parte” dice papà Carlo appena informato dell’arresto dei colpevoli. E a chi si stupisce per la rapidità di quel perdono: “Non capisco perchè la gente si meravigli, tradirei mia moglie se non li perdonassi. Occorre chiedere al Signore di mettere una mano sulla loro testa. Io vivo la fede in questo modo“.

Chi lo critica non coglie che egli l’aveva maturato per un mese quel perdono, avendo magari intuito chi e quali avessero a esserne i destinatari. Infine va detto che al perdono – come all’accettazione della morte – ci si prepara con tutta la vita. La dichiarazione dei figli di Carlo, chiarissime sull’atteggiamento evangelico del papà, ci fa certi che egli ha lungamente cercato di avere in sè i sentimenti di Gesù. Il “signor Carlo” del resto è conosciuto da tutti, a Erba, come un uomo solido e con i piedi a terra: piccolo imprenditore e già consigliere comunale e assessore democristiano. Io sono così contento di quanto ha detto e fatto che gli mando un bacio.

Nella trasmissione Porta a porta dell’11 gennaio 2007 Carlo compare insieme ai figli Beppe e Pietro. “Io sinceramente in questo momento non ho la forza di mio papà, non ho la sua fede per poter dire io perdono“, dice Beppe, il secondogenito. E Pietro: “Io cerco di perdonare, perchè ho un papà che è un esempio incredibile. Io non ero mai stato un grande credente, ma dopo questa esperienza e dopo aver visto papà mi viene da riavvicinarmi anch’io” (alla fede, ndr).

Intervistato da Avvenire il 10 dicembre 2007 – nel primo anniversario della strage – Carlo così descrive la serenità mostrata nella tragedia: “Non è roba mia, non viene da me. Viene da lassù: mia moglie è una presenza viva che mi fa compagnia ogni giorno. Fare memoria della sua figura di moglie, di madre, di donna appassionata a Gesù e che si è donata al prossimo senza risparmio, è una molla per continuare a vivere con quella fede che lei mi ha testimoniato in 36 anni di matrimonio. Paola ha sempre affrontato la vita a viso aperto, anche quando aveva i contorni di alcune gravi malattie che hanno colpito la nostra famiglia, o delle sofferenze che accompagnano l’esistenza. Mi ha insegnato che il buio bisogna guardarlo in faccia, per scoprire che in fondo al buio c’è la verità delle cose, c’è la luce di Dio. Adesso lei vive dentro quella luce, la luce del Paradiso: questa certezza consola il mio dolore e mi dà l’energia per guardare in faccia il buio”.

Nella stessa intervista da questa risposta a una domanda sul suo perdono “troppo” veloce: “Non voglio passare per un marziano. Il perdono non cancella il dolore, e neppure lo attenua. Guardi che io non m’invento niente, cammino su strade battute da altri prima di me. La disponibilità a perdonare nasce dall’educazione che ho ricevuto dai genitori, dai nonni, dai nostri vecchi: gente che non aveva grande cultura, ma con una fede che scorreva nelle vene come il sangue. La mattina dopo la strage mia suocera Lidia, 85 anni, mi disse: ‘Carlo, chiunque sia stato dobbiamo perdonare. Il Signore ci ha messo davanti la croce, dobbiamo stenderci sopra le braccia’. Mia moglie e io avevamo sempre in mente una frase scritta sulla facciata della chiesa di un paese qui vicino, Cucciago, riferita alla croce: ‘Se mi accogli ti sorreggo, se mi rifiuti ti schiaccio’. Contiene una grande verità. Le prime vittime di questa storia sono gli assassini, vittime di un disegno diabolico che non li lascerà in pace. Il perdono non è frutto del buonismo, che prima o poi finisce, né della mia bravura: è un dono che Dio ci dà perché la vita possa ricominciare”.

Le dichiarazioni virgolettate di Carlo Castagna e dei figli sono prese dal volume di Lucia Bellaspiga con Carlo Castagna, Il perdono di Erba, Ancora 2009, pp.141, 14 euro.

[Marzo 2010]

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