Ho conosciuto Elisa e Nuccio Vadavà nell’ottobre del 2000 a Reggio Calabria, a un convegno di famiglie dove ero relatore. A tavola ho chiesto loro di raccontarmi la bella avventura degli otto figli: i quattro che hanno generato e gli altri che hanno accolto. Ho tolto dalle due interviste le mie domande, lasciando tutto lo spazio al loro racconto.
NUCCIO. “Elisa ed io viviamo a Reggio Calabria con quattro figli nostri, tutti maschi e quattro che abbiamo accolto: tre femmine e un maschio. Il più grande, che è nostro, ha 22 anni e la più piccola degli adottivi, Silvana, ne ha tre.
“Siamo sposati da 23 anni, ma già prima del matrimonio avevamo fatto tutti e due esperienze forti di condivisione: lei con minori in difficoltà, io con giovani disabili. Fu per noi naturale vivere accanto a una comunità di Agape (nata dall’insegnamento di don Italo Calabrò) che ospitava otto giovani disabili e collaborare con essa. Avemmo così tre esperienze di accoglienza in casa di giovani disabili, che restarono con noi uno o due anni ciascuno.
“La svolta venne con una bambina, che è ora maggiorenne e che avemmo in affidamento quando aveva quattro anni, portatrice di handicap e con gravi problemi familiari. Ha molto recuperato e oggi – di fatto – è una nostra figlia.
“Poi è venuta una bambina Down, Patrizia, che era destinata a finire in un istituto e che ora ha 13 anni. Non resistemmo a prenderla con noi: mia moglie l’ha definito ‘un parto del cuore’. Poi ancora Silvana, altra bimba Down, che è venuta da noi in affidamento preadottivo nel 1999 e ci ha ringiovaniti tutti con il suo sorriso. E infine l’ultimo arrivato, il dicembre scorso: Giuseppe, che ha 14 anni, colpito da tetraparesi spastica e che – dall’età di tre anni – viveva in istituto.
“Una grande forza ci viene dal sostegno che abbiamo dai nostri figli naturali, che coccolano straordinariamente le sorelline adottive. Ma la forza più grande ci viene dal Vangelo e dalla decisione di viverlo nella quotidianità. Tanto da poter ringraziare perchè – nonostante ogni possibile stanchezza – mai ci è capitato di vivere con amarezza queste nostre scelte”.
ELISA. “Un giorno uno dei nostri figli naturali, che aveva quattro anni, disse a Patrizia, una delle figlie adottive, che non era venuta dalla pancia della mamma. Preoccupata Patrizia mi chiese: “E’ vero che anch’io sono nata dalla tua pancia?” Mi venne spontaneo rispondere: “Tutti e due siete nati da me: lui dalla pancia e tu dal cuore”. Questa risposta fu una bella ispirazione, perché mi permetteva di dire la verità dell’anima senza tradire la verità biologica.
“Davvero i figli accolti sono per noi alla pari con i figli generati. Dirò anzi che le quattro maternità adottive sono state per me più forti e più alte di quelle biologiche.
“Vorrei gridare a ogni mamma, a ogni coppia: fate questa esperienza! Non dovete aver paura di osare troppo: pensate che in tanti anni non abbiamo avuto nessun problema serio nella vita di coppia! E soprattutto nessun problema di coppia è venuto dai piccoli che abbiamo accolto: il nostro amore cresce ogni volta che facciamo in modo che siano gli altri il nostro problema!
“Il mio nome di ragazza è Elisa Bretscher: mio padre era un pastore evangelico svizzero, venuto a Reggio Calabria – con la mamma, anche lei svizzera – come missionario. Quasi quarant’anni fa papà e mamma iniziarono ad accogliere bambini in difficoltà. Da qui venne una casa famiglia e infine un istituto con una trentina di piccoli: lì feci la mia prima esperienza di condivisione!
“Verso i vent’anni conobbi Nuccio, che aveva già fatto un’esperienza di convivenza con giovani disabili. Eravamo dunque preparati a incontrarci – per così dire – andando incontro agli altri. Appena sposati capimmo che il nostro doveva essere un amore per gli altri. E la riprova è venuta da ciascuna delle decisioni di accoglienza che abbiamo preso: ogni volta che aprivamo la nostra casa a una nuova creatura, il nostro amore cresceva!
“Ancora oggi siamo così entusiasti e decisi da fare meraviglia a noi stessi. Certo ci sono gli interrogativi: ma che stiamo facendo, che sarà dei nostri figli? Il dono è più grande di ogni domanda e tutto procede bene.
“La gioia più grande, come mamma, io la provo quando vedo questi piccoli che rinascono al calore del nostro affetto. Quando si sentono amati rifioriscono, ritrovano la voglia di vivere. E’ un vero battesimo, inteso come rinascita. Di Patrizia, che aveva problemi seri per sopravvivere, un medico disse: questa bambina vuole vivere perché si sente amata!
“Nei momenti difficili mi sento presa in braccio da Dio e questo vorrei far sentire agli altri, a questi piccoli, prendendoli in braccio. La paternità di Dio che sperimento continuamente, me la sento dentro come maternità!”
Dall’Eco di San Gabriele – febbraio 2001