Trent’anni addietro ho conosciuto Augusto, un uomo avanti negli anni che dalla sofferenza aveva imparato la bontà. Quando nacque fu abbandonato sugli scalini di una chiesa dell’urbinate. Lo raccolse una famiglia che lo tenne con sé nove anni ma poi gli disse che non poteva restare ancora perché avrebbe acquisito gli stessi diritti dei figli. Fu preso a “garzone” da un’altra famiglia. Cresciuto domandò in giro da chi fosse nato. C’è sempre chi lo sa e Augusto si presentò a quella che gli fu indicata e chiese: “Sei tu mia madre?”. La mamma, forse per vergogna, rispose di no.
Augusto trovò un lavoro a Milano. La mamma vicina a morire lo cercò, ma nessuno sapeva dove egli fosse e non poté liberarsi di quella verità. Il figlio guadagnò bene, si sposò e tornò a vivere dalle sue parti.
“Una sera – è lui che racconta – tornavo a casa in bicicletta. Pioveva e stando curvo sotto l’acqua vidi per terra una busta che raccolsi: era una busta paga con dentro il denaro e il nome sul davanti. ‘Ora sono tutto bagnato – mi dissi – ma domani gliela porto’. Arrivato a casa pensai: ‘Chissà quello quanto soffre’. Girai la bicicletta, mi diressi verso la via segnata sulla busta e suonai il campanello. Mi aprì la moglie. ‘Mio marito non c’è’ mi disse. ‘Non è vero che non c’è, suo marito si è buttato sul letto perché ha perduto la busta paga’, risposi. ‘E lei come lo sa?’. ‘Eccola qui’. Mi fecero entrare in casa e prepararono una frittata con le salsicce per fare festa con me“.
[La storia di Augusto – da me riportata nel blog alla data 16 settembre 2009 – mi è stata raccontata da don Orlando Bartolucci, parroco a Montecchio, Pesaro, con un a e-mail che termina così: “La sofferenza vissuta da quell’uomo nella sua infanzia l’ha reso sensibile agli altri. Ho compreso che le persone toccate dalla Croce sono più simili al Signore”]