Chi compra bambine da riscattare, chi aiuta a ridere
Beati voi che siete appena laureati e amate viaggiare e così scoprite a Bombey il pianeta dell’infanzia abbandonata. Decidete che avrete – dopo il primo figlio vostro – una gravidanza adottiva e per più di nove mesi sognate una bambina dagli occhi a mandorla, che entrerà turbinosa nella vostra vita e contribuirà anche lei al caos più totale.
Benedetti voi che comprate bambine a Bangkok, a duecento dollari l’una, per liberarle dalla tratta pedofila e il venditore vi fa la ricevuta e voi piangete quando le abbracciate, facendole piangere con voi e più di voi.
Ben avventurate le ragazze che vanno in Africa a trent’anni, leggere come il vento, a fare 45 giorni di volontariato. Vedono morire bambini che hanno i vermi e cambiano vita, sia quella che rimane là per dare una mano ai missionari, sia quelle che tornano in Italia e da qua aiutano l’amica che è restata laggiù e non vedono l’ora di tornarci.
Anche un ex brigatista
può insegnare la carità
Maestra di compassione la single che riceve una telefonata alle undici di sera, con la richiesta di ospitare una tossicodipendente che ha la sua età e non dice di no e cambia vita e appartamento per accettare le altre che seguiranno alla prima.
Lode alla psicologa che inventa un “laboratorio teatrale” dove i malati di mente imparano a recitare e a tenere ferma la loro anima e danno così un aiuto a liberare la mente degli spettatori dal fantasma – o dallo spettro – della pazzia, che nei secoli ha scavato un fosso tra noi e loro.
Decisi a far fruttare ogni loro talento i volontari del carcere che organizzano uno spettacolo recitato dai carcerati, invitano i loro amici, portano le scolaresche a vederlo e convincono i giornalisti a parlarne nei media commerciali.
Ci insegna la carità uno che ha fatto parte delle Brigate rosse e non ha ucciso nessuno ma è stato condannato in primo grado a 54 anni, in appello a 37 e in cassazione a 27 e da quando è fuori si dedica ai detenuti tossicodipendenti, continuando a passare nelle carceri la maggior parte del tempo in cui è sveglio.
Creativo e fantasista il professore di scuola media che si occupa degli “evasori scolastici” a Napoli: va a cercare i ragazzi con la moto e organizza una scuola speciale per loro, che “se ci entri hai l’impressione di un manicomio totale”, ma dove i ragazzi vanno volentieri, anche perché al mattino viene distribuita come colazione una brioche che a casa loro non hanno mai avuto.
Bel tipo chi scopre di avere un tumore alla prostata, entra in amicizia con altri malati, va a mangiare la pizza con loro, scopre quanto sono depressi e organizza un campionato di barzellette, riuscendo a ottenere la partecipazione di tutti.
Splendido il medico che va volontario in Africa con la moglie e due figlie e guarda le bambine che giocano con le galline fuori dell’ufficio della dogana, mentre aspetta il timbro, al confine tra l’Uganda e il Ruanda. Si chiede “dove sto portando la mia famiglia”, ma non si volge indietro ed entra in Ruanda.
Buono e fedele
nel traffico dei talenti
Mite di cuore il volontario di “telefono amico” che ascolta racconti noiosi di ore e infine riceve una telefonata muta, da qualcuno che ha fatto il numero, ma non ha il coraggio di parlare. Il volontario gli dice – o le dice – “non ti preoccupare, parlo io” e racconta la sua giornata e conclude “poi è arrivata la tua chiamata”. La persona che ha chiamato è sempre là, ma ancora non parla. Il volontario la sente respirare nella cornetta e le dice “va bene lo stesso, magari ci richiami più tardi”.
Testimonial della gratitudine il prete indiano che fu un bambino sperduto, aiutato e poi mantenuto agli studi da una famiglia di Torino: da grande fonda un collegio per trecento piccoli abbandonati, che mantiene con gli aiuti che riceve dall’Italia.
Buono e fedele nel traffico dei talenti ricevuti, l’organizzatore delle adozioni a distanza che non si fida dei contatti per lettera, va in India a controllare i conti e a conoscere i bambini, trova che tutto è in regola e torna felice in Italia: “Perché non posso raccontare storie alle famiglie che hanno fatto le adozioni”.
Umile di cuore chi soccorre il prossimo da mattina a sera ma non si dà arie da gran credente e dice: “La fede non c’entra molto in questo. Io cerco di essere più umano che cristiano”.
Fortunato l’allenatore di squadre di pallamano che non ha stipendio e si diverte a fare baldoria durante le trasferte. Paga di tasca sua la pizza del sabato sera, felice di passare la vita con i ragazzi: “In palestra vengono da me, mi parlano, mi abbracciano. L’allenatore è anche un papà”.
Il chirurgo dentista
che fa le ferie in Africa
Radiosi gli insegnanti che si sposano e vanno volontari in Africa e in Brasile, vivono per due anni in un villaggio africano senza luce né acqua, mettono al mondo quattro figli e perdono nove anni di pensione, ma sono contenti d’aver trovato un lavoro una volta rientrati in Italia e d’aver avuto salute: “Non abbiamo rischiato niente”.
Cara la nonna che si risente quando papà e mamma – che hanno già tre figli – adottano una bambina down e dice “ho sempre avuto paura che nascesse un figlio malato e ora che sono tranquilla voi l’andate a cercare”. Ma dopo un anno è felice di quella bambina sempre contenta, “basta che le si voglia bene” ed esclama: “Ce ne dovrebbe essere una in ogni famiglia”.
Sempre allegro l’organizzatore della festa patronale che distribuisce polenta, salsiccia e frittura di pesce; ma viene la pioggia, la gente si rifugia sotto il tendone cucina con i piatti in mano; ed egli – per tirar su il morale – offre gratis lo spumante a tutti e sostiene che “basta poco a scatenare l’allegria”.
Amiconi i volontari della festa che smontano il tendone e si fanno dare una mano da un marocchino affamato, al quale hanno regalato la frittura che era restata nella pentola del pesce; poi si autotassano per pagargli il lavoro, e loro nessuno li paga.
Cuor contento il chirurgo dentista che va in Africa due volte all’anno, passa le ferie in un ospedale di prima linea, nel nord del Kenya e così la mette, con sé e con gli altri: “La prima volta sono andato con l’idea di dare, le altre volte ci sono tornato per ricevere”.
Felice chi ha una curiosità che lo tiene sveglio, come quel vecchietto che diceva “chissà se sarò vivo quando l’uomo andrà sulla luna, se poi è vero che ci andrà, come dite voi”. A forza di ripetere “chissà” arrivò al 21 luglio 1969 e mentre guardava la televisione al circolo parrocchiale continuava a dire: “Avevate ragione, sono proprio andati sulla luna!”
Come prega
una malata di aids
Gran fortuna della volontaria del “gruppo integrato di animazione e tempo libero” che si sente in paradiso a fare compagnia agli handicappati: “Io non ho mai avuto modo di ballare liberamente, di dipingere come volevo, o di cantare con spontaneità, anche perché sono stonata e qui invece ballo, disegno e canto come mi viene e tutti sono contenti”.
Belli i liceali che giocano a pallone con i detenuti e scrivono nel tema: “Siamo andati nel cortile e aspettavamo qualche sorta di mostri, ma sono arrivati ragazzi e ragazze come noi”.
Entusiasta il maestro di “Lega ambiente” che stimola i bambini ad amare la natura, insegna a raccogliere le cartacce e a proteggere gli animali; poi scopre che i suoi ragazzi, passati alle medie, impazziscono per il motorino, ma non si deprime e riprende con lo stesso entusiasmo a portare fuori le prime elementari per il programma “puliamo il mondo”.
Ricca di misericordia la madre del tossicodipendente che partecipa alle riunioni di un gruppo di genitori e si commuove e tornando a casa dice a se stessa, mentre guida: “Ma guarda, piango per le altre, e io sono nella stessa barca!”
Somigliante a quella del pubblicano è la preghiera della malata di aids che si innamora delle volontarie che la soccorrono: “Nella mia vita sono stata cattiva, ma un giorno ho incontrato la bontà”. Muore a 28 anni, dopo aver confidato a un’amica: “Quando mi sveglio, prego prima per i miei bambini, poi per i volontari e alla fine per me”.
Buona samaritana la volontaria che assiste i malati di aids e li incoraggia a tenere duro “perché ogni giorno c’è una cura nuova” e dice agli altri volontari: “Non dobbiamo giudicare, ma stare vicino ai malati e basta, perché a volte hanno paura”.
Fa la volontaria
in memoria del figlio
Ispirato il morente di aids che scrive su un pezzetto di carta: “Sono stato troppo e troppo presto, a caso, in modo disordinato” e non sa che sta descrivendo – con la sua scrittura a singhiozzo – la condizione dell’uomo sulla terra.
Toccata dalla grazia la mamma di un uomo morto per droga e aids a 32 anni, la quale ha potuto scrivere una poesia dove sono questi versi: “Il cuore piange / prega e spera / e nel sentirmi morire / mi accorgo che vivo”.
Beata quella stessa mamma che, in memoria del figlio, si dà all’assistenza dei malati di aids e così racconta la sua scelta per la vita: “Io credo che ci sia un Dio. E’ un miracolo continuare a vivere, impegnarsi, vedere i fiori”.
Postilla
Queste “beatitudini” sono prese – quasi una per capitolo – da due libri: Scelte. Storie di vite cambiate, di Giovanni Aversa, editori Rai Eri e Monti, Roma-Saronno, 2004, pp.189, euro 14; Ogni uomo semplice. Storie di volontari, di Giovanni Stefani, Il Prato, Padova 1998, pp. 195, euro 11, 36.
L’idea di azzardare nuove beatitudini l’ho presa da Frammenti di un Vangelo apocrifo di Jorge Luis Borges (in Elogio dell’Ombra, 1969), che ha 51 versetti: il 9° recita “Beati i mansueti perché non accondiscendono alla discordia”, il 47° “felice il povero senza amarezza o il ricco senza superbia” e l’ultimo “Felici i felici”.
Luigi Accattoli
da Il Regno 6/2005