Agorà dei giovani del Mediterraneo – Loreto – Sabato 5 settembre 2009
Cinque giorni addietro cinque cattolici sono stati uccisi con armi da fuoco in Pakistan, nel capoluogo del Belucistan. Erano originari della provincia pachistana del Punjab, la stessa dove il 1° agosto erano stati arsi vivi nell’incendio delle loro case altri undici cristiani.
L’ultima settimana di luglio un soprassalto di violenza islamista ha messo a ferro e fuoco villaggi non musulmani della Nigeria del Nord, con centinaia di morti – si è detto 600 – tra i quali molti cristiani.
Domenica 12 luglio una raffica di bombe contro chiese cristiane ha provocato cinque morti in Iraq.
Il 5 luglio a Mindanao, nelle Filippine, una bomba esplode davanti alla cattedrale cattolica provocando cinque morti e una quarantina di feriti.
Una madre di famiglia, accusata di aver distribuito Bibbie, è stata giustiziata il 16 giugno in Corea del Nord.
Sono i fatti di sangue e di martirio cristiano che ho raccolto dalla cronaca quotidiana da quando mi è stato chiesto di tenere questa relazione.
Possiamo forse stimare in tre milioni i martiri cristiani del ventesimo secolo: ci autorizza a ciò lo storico Andrea Riccardi che si è posto l’interrogativo nell’opera più impegnativa su questa materia che sia stata fino a oggi prodotta (Il secolo del martirio, Mondadori, Milano 2000, appena uscita in seconda edizione). Possiamo accostarli – questi tre milioni – ai martiri della Shoah e a quelli del genocidio armeno come parte del grande segno dell’attualità e del prezzo della fede biblica e della tradizione ebraico-cristiana nella nostra epoca.
Tenteremo una sintetica descrizione dei tempi e dei luoghi di tale martirio, che copre per intero il secolo scorso e tocca ogni continente. Guardando all’avvio del nuovo secolo, faremo un aggiornamento agli ultimi anni, con alcune segnalazioni essenziali di come continui a risultare pericoloso dirsi cristiani ai nostri giorni, specie nelle terre dell’Islam, dell’Induismo e del tribalismo africano, ma anche in territori a tradizione cristiana dove una coerente testimonianza evangelica può porre il credente in Gesù in una inerme e rischiosa posizione di contrasto con i poteri dominanti o con l’arbitrio dei violenti.
“Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi ‘militi ignoti’ della grande causa di Dio”: così Papa Wojtyla aveva presentato – nella “Tertio millennio adveniente” (1994) – la proposta di un “aggiornamento del martirologio” e di una giornata giubilare dedicata ai “nuovi martiri”.
Ne è venuta la bellissima Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX, che si è fatta al Colosseo il 7 maggio dell’anno 2000: c’erano le delegazioni delle altre Chiese e sono stati ricordati i martiri di tutte le appartenenze. L’attenzione al martirio cristiano nella nostra epoca è tra i doni di Giovanni Paolo II. Una commissione giubilare – detta “per i nuovi martiri” – aveva raccolto 12.692 schede di cattolici uccisi lungo il secolo per motivi legati alla “testimonianza” della fede: oltre ottomila in Europa, quasi duemila in Asia, più di mille nell’ex Unione sovietica, 746 in Africa, 333 nelle Americhe, 126 in Oceania.
Insieme ai polacchi (tremila furono solo i sacerdoti deportati nel lager nazista di Dachau), i popoli che hanno dato il maggior numero di martiri appartenenti alla comunione cattolica sono quello spagnolo, quello messicano, quello cinese e quello tedesco: ed è cristianamente bello vedere che, insieme a tanti passivi esecutori delle direttive omicide del nazismo, la Germania abbia generato anche tanti testimoni che hanno pagato con la vita la resistenza al male. Il riconoscimento di questo martirio diffuso ha avuto momenti canonici importanti, in particolare per la Cina, il Messico, la Spagna, la Polonia. La palma qui va alla Spagna: sono a oggi 963 i martiri della guerra civile beatificati dai Papi Wojtyla e Ratzinger in dodici proclamazioni collettive. Centoventi martiri cinesi sono stati canonizzati il 1° ottobre dell’anno 2000. Centonove martiri polacchi della seconda guerra mondiale erano stati beatificati a Varsavia il 13 giugno 1993.
Ma se la “commemorazione” volesse essere davvero ecumenica, la palma andrebbe alla Russia: se ipotizziamo tre milioni di martiri nel secolo, un sesto li dovremmo cercare tra i figli della Chiesa ortodossa russa.
Questa moltitudine di “testimoni” della fede è stata ricordata – nella celebrazione al Colosseo – suddivisa in otto categorie, o schiere raccolte dall’intero pianeta e presentate con queste intestazioni:
– Cristiani che hanno testimoniato la fede sotto il totalitarismo sovietico [sono stati letti testi del Patriarca ortodosso russo Tichon e di Ol’ga Jafa insegnante e pittrice russa cattolica, testimone del gulag delle Isole Solovski] ;
– Testimoni della fede, vittime del comunismo in altre nazioni d’Europa [testi del vescovo greco cattolico romeno Joan Suciu e del gesuita albanese Anton Luli che passò 17 anni in carcere e 11 ai lavori forzati];
– Confessori della fede, vittime del nazismo e del fascismo [testi del pastore luterano tedesco Paul Schneider che fu nel campo di concentramento di Buchwnwald e del vescovo polacco Ignacy Jez che fu a Dachau con il numero 37196];
– Seguaci di Cristo che hanno dato la vita per l’annuncio del Vangelo in Asia e in Oceania [testimonianze di Margherita Chou, nipote del cardinale Ignatius Kung Pin-mei vescovo di Shanghai e di un gruppo di anglicani uccisi in un campo di concentramento in Giappone];
– Fedeli di Cristo perseguitati in odio alla fede cattolica [i testimoni della Spagna e del Messico ricordati con il “memoriale” di Manuel Irujo e con le parole del vescovo di Huejutla, Manrìqjuez y Zarate, pronunciate dall’esilio a Laredo, Texas il 30 ottobre 1927];
– Testimoni dell’evangelizzazione in Africa e Madagascar [testimonianze di Jolique Rusimnamigera, scampato al massacro del seminario di Bura, in Burundi, il 30 aprile 1997, dove sono morti 44 alunni hutu e tutsi; e di un missionario battista canadese, W.G.R. Jotcham, vittima della carità nel 1938 in un lebbrosario di Kàtsina, nella Nigeria musulmana];
– Cristiani che hanno dato la vita per amore di Cristo e dei fratelli in America [testimonianze del vescovo missionario cattolico Alejandro Labaka che morì in Ecuador il 21 luglio 1987 e del vescovo di Arauca, Colombia, assassinato da un gruppo di guerriglieri il 2 ottobre 1989];
– Testimoni della fede in varie parti del mondo [testamento di uno dei monaci trappisti di Tibirin, in Algeria, Christian de Chergé, ucciso nel 1996; testo del patriarca armeno apostolico Karekine I, morto nel 1999, evocante il genocidio del popolo armeno].
Sono stati dunque ricordati i deportati russi nelle isole Solovki, le vittime greco-cattoliche dello stalinismo, gli internati nei campi nazisti di Buchenwald e di Dachau, i cristiani uccisi in Cina e Giappone, i martiri della guerra civile di Spagna e della persecuzione del Messico, le vittime del genocidio del Ruanda e del Burundi, missionari e vescovi uccisi in America Latina (e tra essi Oscar Arnulfo Romero, nominato in una preghiera), i monaci trappisti di Tibirin (Algeria) e il genocidio armeno.
Il genocidio armeno avviene negli anni della prima guerra mondiale, quello del Ruanda e del Burundi infuria nel 1994: essi costituiscono come le due vendemmie di sangue cristiano che l’Agnello ha permesso tingessero di rosso l’avvio e la conclusione del secolo. La persecuzione messicana infuria per tre decenni a partire dal 1913, la guerra vivile spagnola produce martiri negli anni ‘30, i lager del nazismo fanno vittime negli anni della seconda guerra mondiale, la persecuzione russa e sovietica si estende dalla rivoluzione d’Ottobre agli anni cinquanta.
Se si facesse oggi la stessa inchiesta del Grande Giubileo, verrebbero in primo piano i martiri del rapporto con l’islam e l’induismo e dovremmo nominare l’Iraq, la Nigeria, il Pakistan per l’islam, lo stato indiano dell’Orissa per l’induismo. Ma continuerebbe a essere vasta la segnalazione di martiri della missione e della giustizia e della carità in America Latina e in Africa, come già si riscontrava con l’inchiesta giubilare.
In America Latina, tra il 2001 e 2007 sono state segnalate 34 uccisioni di personale delle Chiese cristiane in Colombia, 8 in Brasile, 7 in Messico, 3 in El Salvador. Nel marzo del 2002 a Calì, in Colombia, il vescovo Isaias Duarte Cancino – noto per la forte predicazione contro le violenze dei terroristi e delle forze paramilitari – fu ucciso da due killer a volto scoperto.
Dopo le terribili vicende del Ruanda e del Burundi già ricordate, i focolai di guerra e guerriglia che hanno provocato più vittime cristiane nell’Africa nera sono stati la guerra del Congo, ex Zaire, che secondo l’Onu ha fatto tre milioni di morti tra il 1998 e il 2003; e la guerriglia che tiene stabilmente in ostaggio il nord dell’Uganda. In ambedue le aree si sono visti assalti a missioni e seminari, bombe contro chiese, uccisioni di sacerdoti. Singoli episodi di violenza contro missioni e chiese si sono avuti nell’Africa del Sud e in Kenya. In Kenya nel luglio del 2005 è stato ucciso anche un vescovo missionario, Luigi Locati, impegnato nella formazione contro l’odio tribale. In Burundi è stato ucciso in un misterioso attentato il nunzio vaticano Michael Aidan Courtney nel dicembre del 2003.
Motivazioni complesse, più economiche e tribali che religiose, sono alla base dei frequenti scontri tra comunità cristiane e musulmane nel nord della Nigeria, che comportano assalti a chiese e moschee, con decine di morti.
Di più chiaro segno anticristiano sono i fatti dello Stato dell’Orissa, in India, che durano da una decina di anni e che hanno assunto dimensioni allarmanti lungo il 2008. L’Orissa è stato il primo Stato dell’India ad adottare una legge anticonversione, già nel 1967, perché i dalit (senza casta) e i tribali, che costituiscono quasi la metà della popolazione, mostrano una vivace tendenza ad abbandonare l’induismo che giustifica le caste e a passare al cristianesimo e al buddismo. Si sono avuti e si continuano ad avere singoli assassini, assalti a chiese, centri sociali, interi villaggi a forte presenza cristiana. Gli uccisi hanno superato il centinaio durante l’estate dell’anno scorso.
Il crescendo di violenza anticristiana che abbiamo segnalato in America Latina, Africa nera e India raggiunge il suo culmine, lungo l’ultimo decennio, in paesi a maggioranza musulmana segnati da guerre, guerriglie e terrorismo: Iraq, Pakistan e Afghanistan, Somalia e Sudan. E dunque questo fenomeno – spesso accompagnato dall’introduzione della legge islamica, o Sharia – si estende a vaste aree continentali.
Attentati a chiese, rapimenti e uccisioni hanno provocato una forte emigrazione della popolazione cristiana dell’Iraq, che fonti cattoliche affermano sia scesa da 700 mila persone a circa 400 mila a seguito delle vicende della guerra anglo-americana a Saddam Hussein e del marasma che ne è seguito. Nel marzo del 2008 si è avuto il rapimento e l’uccisione di un vescovo caldeo: Paulos Faj Rahho. Secondo la comunità caldea sarebbero 710 i martiri cristiani che si sono avuti negli ultimi sei anni.
Il risveglio fondamentalista del mondo islamico è la causa prima delle aggressioni ai cristiani che si stanno verificando in Pakistan (specie in riferimento a una legge sulla blasfemia che permette le più varie accuse a chi non sia musulmano) e nell’Afghanistan. Si tratta dello stesso fuoco che sta tormentando i cristiani della Somalia e che negli anni novanta aveva crocifisso i cristiani dell’Algeria.
Forti limitazioni alla libertà religiosa si hanno in Cina, nella Corea del Nord, in Vietnam e a Cuba da parte di regimi che si richiamano al comunismo; come anche in tanti paesi a maggioranza islamica, anche quando non si registrano le uccisioni di cui abbiamo parlato sopra. Secondo stime vaticane la presenza di cattolici in paesi musulmani lungo l’ultimo trentennio è calata dallo 0,1% allo 0,01% in Iran, in Iraq dal 2,6% all1%, in Siria dal 2,8% all’1,9%, in Israele-Palestina dall’1,9% all’1%.
Da cinque anni la diplomazia vaticana si adopera perché la comunità internazionale “combatta la cristianofobia con la stessa determinazione con cui vengono combattuti l’antisemitismo e l’islamofobia”.
Come italiano mi piace concludere questa rassegna rievocando le miti figure del prete romano Andrea Santoro e della missionaria laica Annalena Tonelli, ambedue uccisi in terra islamica: in Turchia nel febbraio del 2006 il primo, in Somalia nell’ottobre del 2003 la seconda. Ambedue avevano fatto propria la scelta della presenza testimoniale silenziosa e isolata che era stata del beato Charles de Foucauld. Li possiamo chiamare martiri del dialogo con l’islam. Possa il loro sangue aiutare i seguaci delle due religioni a scoprirsi fratelli in umanità e in Abramo.