Formazione del laicato – diocesi di Spoleto
Sala parrocchiale di Borgo Trevi – Venerdì 5 dicembre 2014 – ore 21.00
La mia opzione – in armonia con il titolo che è stato dato a questo incontro – è per una identità dialogante. Come a individuare una via di mezzo tra chi – poniamo – dialoghi senza cura dell’identità e chi si mostri geloso dell’identità ma trascuri il dialogo. Quindi laici forti, che hanno un’identità, ma dialoganti, che vanno cioè alla ricerca di un approccio mite, improntato a fraternità, con l’umanità circostante.
Già con la scelta di questo linguaggio uno mostra di ispirarsi al Concilio Vaticano II e a Paolo VI, al dialogo con tutta l’umanità di Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI che da cardinale dialogava con Habermas, Adornato, Pera, Flores d’Arcais. Infine e soprattutto, il mio linguaggio vorrebbe essere ispirato a Papa Francesco che ci invita all’uscita missionaria e afferma che questa uscita dovrà essere coraggiosa, mirata a proporre il Vangelo tutto intero, ma dovrà trattarsi di un’uscita che si attua nel segno della fraternità e della misericordia, con una prioritaria attenzione ai poveri, ma riservando a tutti “un’accoglienza cordiale che non condanna”.
Siamo chiamati – ci dice in sostanza il Papa – a realizzare una presenza evangelica comunicante e feconda nella città degli uomini, una presenza esigente ovviamente, come comporta l’ispirazione evangelica, ma che “esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia” (La Gioia del Vangelo 165). Laici forti e miti, dunque. Per una più completa percezione dell’insegnamento di Francesco in materia, potremmo leggere un intero paragrafo della Gioia del Vangelo, il 271:
E’ vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: «sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,16), e «se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18). Siamo anche esortati a cercare di vincere «il male con il bene» (Rm 12,21), senza stancarci di «fare il bene» (Gal 6,9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando «gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,3). Di fatto gli Apostoli del Signore godevano «il favore di tutto il popolo» (At 2,47; cfr 4,21.33; 5,13). Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Sono indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole ‘sine glossa’, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo.
Essere cristiani nel lavoro, nel quartiere, nella politica. Dirò qualcosa per ognuno di questi momenti, mirando a proporre un atteggiamento che sia insieme libero e fedele, geloso dell’identità e dei simboli, ma insieme disponibile ad abitare ogni ambiente e a convivere con ogni interlocutore.
Nel lavoro. Testimoniare Cristo in ufficio, in caserma, a scuola, in ospedale. Chi – se non lo Spirito del Signore – ti darà il discernimento per i giusti atti e gesti, per le giuste scelte e le giuste parole? Lavorando per un quarantennio tra la Repubblica e il Corriere della Sera ho bene inteso la responsabilità testimoniale del cristiano comune che viene a trovarsi in partibus infidelium, che è poi oggi la condizione ordinaria per la maggioranza delle persone, in un mondo che non è più a dominante cristiana. La tentazione del nascondimento da parte dei cristiani comuni è la prima e principale ragione di debolezza della testimonianza cristiana nella nostra società.
Nel luogo di vita. Questo momento è più coinvolgente – in generale – rispetto al lavoro. Più esigente: non sono poche ore, è un tempo continuato; non si mostra un qualche aspetto della nostra personalità, ma la si vede tutta e la si vede nel contesto della famiglia, dell’abitazione, dello stile di vita. Uno si vergogna, non sa come manifestarsi. Il mio consiglio è di buttarsi: una volta che ti segnali, e dunque ti impegni, fidando nell’aiuto del Signore, nel suggerimento dello Spirito, tutto verrà più facile: “Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire” (Luca 12, 11 e 12).
Infine la vita nella città e nella polis e nella politica. Essere testimoni in un mondo che più non si ispira al cristianesimo. Dovremo andare controcorrente, come già con la professione e con l’ambiente di vita. Ma forse in maniera più impegnativa.
Di questo andare “contro” – affidandoci allo Spirito che detta dentro – così ha parlato Papa Francesco il 28 aprile 2013 celebrando cresime in piazza San Pietro per l’Anno della fede: “Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza. Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni”. Siamo invitati dunque a buttarci, sia nei confronti degli uomini sia nei confronti di Dio. Cioè come affidamento allo Spirito del Signore e decisione di invocarne l’aiuto non solo a parole ma con l’intera nostra esistenza, mettendola nelle sue mani. Mettendola a rischio in suo nome.
Dovremo andare controcorrente e dovremo essere inventivi. Non avremo binari fissati, dovremo aprirci un cammino. Dovremo essere liberi. Non perché indocili ma perché inviati a incontrare un’umanità nuova, gelosa della sua libertà.
Chi è nell’impegno politico e parlamentare dovrà decidere, sotto la propria responsabilità, che cosa giovi e che cosa non giovi, quale strumento legislativo e quale procedura parlamentare si debbano mettere in atto per realizzare il bene comune: non lo può dire un prontuario stilato da teologi o vescovi. La comunità – attraverso i teologi e i vescovi – può indicare i valori e le finalità, ma il modo per dare attuazione a quelle indicazioni non può che ricadere sulla libera scelta delle persone, che rischiano in essa la propria responsabilità, non quella della comunità.
La ricerca di un atteggiamento cristiano testimoniale e parlante, comunicativo, immediatamente comprensibile dall’umanità circostante e immediatamente rimandante al Vangelo la dovremmo svolgere sia quando ci troviamo ad affrontare questioni sociali [le carceri, gli immigrati, i Rom, la disoccupazione giovanile, l’abbandono degli anziani], sia quando vengono al pettine le questioni valoriali [vita nascente e terminale, famiglia, sessualità e omosessualità].
La questione di tale ricerca è più saggio svolgerla in positivo, piuttosto che in negativo. Dall’esperienza ecclesiale viene un input ispiratore di fraternità, uno slancio comunionale al quale dare attuazione nella costruzione della città terrena. Venendo da quel Cenacolo e da quella Mensa tu, cristiano, sarai impegnato a prolungare quella convivialità nel mondo e nell’umanità circostante.
Provo a indicare una modalità concreta per quanto riguarda l’agire politico, nella partecipazione all’una o all’altra delle formazioni che caratterizzano la vita pubblica italiana. Io questa “avventura” cristiana nella polis l’intendo così: mi farò portatore di coerenza cristiana innanzitutto nella mia parte politica, nei luoghi dove meglio sono conosciuto e apprezzato.
Guidati dallo Spirito si può andare ovunque. Anzi: dobbiamo andare ovunque, assumere – se del caso – ogni responsabilità, ed essere lievito cristiano in ogni pasta umana di cui veniamo a essere parte. Si tratta, in altre parole, di lottare innanzitutto per fare cristiani i circostanti, che parlano il nostro stesso linguaggio, che con noi condividono il grosso delle opzioni culturali, sociali e politiche; e non per bastonare, con il Crocifisso o con la Bibbia, i cristiani di altro orientamento. Lievito dunque in ogni ambiente di vita e in ogni schieramento.