“Segnati dallo Spirito”. La Cresima come sacramento per il combattimento della vita

Assemblea del Clero della diocesi di Spoleto- Norcia

Roccaporena di Cascia – Mercoledì 18 giugno2014 – ore 09.30

 

Come abbiamo ascoltato dalla relazione del parroco e teologo don Giovanni Zampa, la Cresima è il sacramento che ci fa “soldati di Cristo”, ci conferisce cioè il carattere necessario alla testimonianza del Vangelo che è anche lotta, combattimento e corpo a corpo con l’avversario, con le potenze del male e con le potenze mondane. Il mio contributo è di attualizzazione nell’oggi del combattimento che si trova a ingaggiare il cristiano comune nelle circostanze straordinarie e ordinarie della vita.

Per le circostanze straordinarie dirò qualcosa della Cresima come indispensabile ausilio ad affrontare le grandi malattie, le prove che mettono in forse la vita, la persecuzione a motivo della giustizia, la prospettiva del martirio. Per la vita ordinaria dirò dei rapporti di coppia, della genitorialità, della professione, della vita nella città (e nella polis e nella politica).

Ho posto a titolo le parole “La Cresima come sacramento per il combattimento della vita”, ma il titolo avrebbe anche potuto essere questo: “La Cresima come sacramento del testimone di Cristo nel mondo”. Il riferimento è alle parole che troviamo in Lumen Gentium 11 sul dono e l’obbligo che da questo sacramento viene ai battezzati, a “diffondere e difendere, con la parola e con l’opera, la fede come veri testimoni di Cristo”. E’ il bellissimo paragrafo 11 della Costituzione sulla Chiesa, che tratta dell’esercizio del sacerdozio comune nei sacramenti.

Propongo due immagini simbolo, due icone di questo possibile ruolo della Cresima nell’umanità di oggi: le prendo ambedue dalla Sicilia e riguardano un martire della Mafia e un pentito di Mafia, martire anche lui del pentimento, che trovandosi nell’ombra di morte chiedono il sacramento della Cresima che non avevano avuto da ragazzi perché – come è noto – in Sicilia si fa la cresima in occasione del matrimonio, e può capitare che chi non si sposa neanche si cresimi.

Il martire è Rosario Livatino: eccolo che chiede, a trentasei anni, la cresima. La chiede nel 1988, sarà ucciso nel 1990. Il cugino, Don Giuseppe Livatino, che aveva venticinque anni quel ventuno settembre del 1990 nel quale Rosario viene ucciso, lo ricorda così: “Il mio cugino Rosario è stato un precursore. Ha aperto [ad Agrigento] un grande varco investigativo, quello dei legami tra mafia, politica e imprenditoria. Viveva di punti fermi: la giustizia e la fede. Credeva in Dio e questo, sicuramente, gli dava la solidità necessaria per affrontare le paure e i rischi di cui era cosciente. Due anni prima della morte, quando scavava già nel cuore di tante inchieste importanti, volle ricevere il sacramento della Cresima. Dopo la sua morte capimmo che il suo fu il desiderio di confermare la fede, in prossimità del sacrificio più grande”.

Il pentito di mafia che chiede la cresima si chiama Giuseppe Pidatella e il vescovo che l’ha cresimato nel carcere di Velletri è Andrea Maria Erba, vescovo appunto di Velletri-Segni che ne ha lasciata questa testimonianza: “L’ho conosciuto in carcere e posso dire semplicemente che si era convertito e aveva il proposito di cambiare vita. Non voleva più entrare e avere contatti con certi ambienti. Ho avuto la gioia di cresimarlo. Durante la detenzione lavorava come pittore per aiutare la famiglia povera: moglie e tre figli. Era diventato una persona seria e praticante”. Questa dichiarazione del vescovo Erba – in pensione dal 2006 – fu pubblicata dall’Avvenire del 15 febbraio 2000 a pagina 9 con il titolo Il vescovo: “Il boss ucciso aveva cambiato vita”. L’uccisione era avvenuta a Catania cinque giorni prima e l’Avvenire dell’11 febbraio 2000 l’aveva così registrata: “Agguato a Catania. Ucciso boss libero da 20 giorni”.

Capita anche che a chiedere la Cresima siano morenti di Aids e altri malati gravi che non l’hanno ricevuta da ragazzi. Vanderlei Fagnoni veniva dal Brasile, era transessuale. La vita randagia l’aveva portato in Italia, a Roma scopre di avere l’Aids. Da malato scopre il mondo della carità cristiana, ne resta affascinato e ritrova la fede nella quale era stato battezzato. La morte arriva a 26 anni, nel 1992. In prossimità della fine riceve la Cresima dal cardinale Silvestrini nei locali della Comunità di Sant’Egidio [la sua storia è nel mio volume Cerco fatti di Vangelo, SEI 1995, p. 239].

Sull’importanza della Cresima in vista della prova suprema della morte e del suo combattimento, fa testo il Codice di Diritto Canonico, che al canone 891 ne prevede l’amministrazione ai bambini in pericolo di morte anche se non hanno raggiunto l’età della discrezione, quand’è previsto che sia conferita: “circa aetatem discretionis”.

Un analogo riconoscimento dell’importanza della Cresima per i combattimenti della vita può essere letto nella prassi pastorale che ne fa obbligo in vista della celebrazione del matrimonio – anche quello è un certamen! – e quella degli ordinariati militari che la propongono ai giovani militari che non l’hanno ancora ricevuta.

Ed eccoci alla considerazione della Cresima come sacramento per la piena realizzazione della vita di fede nella sua ordinarietà. Come soffio, alimento, missione e mandato per l’età adulta della fede.

Nella vita di coppia innanzitutto. Con il matrimonio ci si assume la responsabilità di coinvolgere un’altra persona nel proprio destino. Diventi responsabile di un altro. Passi dal singolare al duale, in vista del plurale che si realizza con l’arrivo dei figli. Essere testimone di Cristo nella vita di coppia comporta un’ardua responsabilità, cui soccorre il carattere – cioè il permanente soccorso – che viene dalla Confermazione. Può capitare che uno dei due non sia credente, o che maturi un convincimento di austerità legato alla vita di fede che l’altro non approva.

Contrasti possono venirne nell’educazione dei figli, che è il proprio della testimonianza nella genitorialità. C’è poi il combattimento con i figli che crescono. Quando parlo ai genitori io questo combattimento lo paragono all’essere portati nei tribunali di cui dice Gesù in Matteo 10 a proposito delle persecuzioni: “Non preoccupatevi di che cosa direte, perché è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”. Il contrasto con i figli è il momento serio della genitorialità, quando il carattere conferito dalla Confermazione diviene essenziale per sapere che dire e che fare.

Non meno grave – ed esigente il soccorso dello Spirito – è l’ambito della professione. Testimoniare Cristo in ufficio, in caserma, a scuola, in ospedale. Chi – se non lo Spirito del Signore – ti darà il discernimento per i giusti atti e gesti, per le giuste scelte e le giuste parole? Lavorando per un quarantennio tra la Repubblica e il Corriere della Sera ho bene inteso la responsabilità testimoniale del cristiano comune che viene a trovarsi in partibus infidelium, che è poi oggi la condizione ordinaria per la maggioranza delle persone, in un mondo che non è più a dominante cristiana.

Infine la vita nella città e nella polis e nella politica. Essere testimoni in un mondo che più non si ispira al cristianesimo. Dovremo andare controcorrente.

Di questo andare “contro” – affidandoci allo Spirito che detta dentro – così ha parlato Papa Francesco il 28 aprile 2013 celebrando cresime in piazza San Pietro per l’Anno della fede: “Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza. Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni”.

Dovremo andare controcorrente e dovremo essere inventivi. Non avremo binari fissati, dovremo aprirci un cammino. Dovremo essere liberi. Non perché indocili ma perché inviati a incontrare un’umanità nuova, gelosa della sua libertà.

Chi è nell’impegno politico e parlamentare dovrà decidere, sotto la propria responsabilità, che cosa giovi e che cosa non giovi, quale strumento legislativo e quale procedura parlamentare si debbano mettere in atto per realizzare il bene comune: non lo può dire un prontuario stilato da teologi o vescovi. La comunità – attraverso i teologi e i vescovi – può indicare i valori e le finalità, ma il modo per dare attuazione a quelle indicazioni non può che ricadere sulla libera scelta delle persone, che rischiano in essa la propria responsabilità, non quella della comunità.

La questione è più saggio svolgerla in positivo, piuttosto che in negativo. Dall’esperienza ecclesiale viene un input ispiratore di fraternità, uno slancio comunionale al quale dare attuazione nella costruzione della città terrena. Venendo da quel Cenacolo e da quella Mensa tu, cristiano, sarai impegnato a prolungare quella convivialità nel mondo e nell’umanità circostante.

Provo a indicare una modalità concreta per quanto riguarda l’agire politico, nella partecipazione all’una o all’altra delle formazioni che caratterizzano la vita pubblica italiana. Io questa “avventura” cristiana nella polis l’intendo così: mi farò portatore di coerenza cristiana – della coerenza che viene come dono e compito dalla Confermazione – innanzitutto nella mia parte politica, nei luoghi dove meglio sono conosciuto e apprezzato.

Guidati dallo Spirito si può andare ovunque. Anzi: dobbiamo andare ovunque, assumere – se del caso – ogni responsabilità, ed essere lievito cristiano in ogni pasta umana di cui veniamo a essere parte. Si tratta, in altre parole, di lottare innanzitutto per fare cristiani i circostanti, che parlano il nostro stesso linguaggio, che con noi condividono il grosso delle opzioni culturali, sociali e politiche; e non per bastonare, con il Crocifisso o con la Bibbia, i cristiani di altro orientamento. Lievito dunque in ogni ambiente di vita e in ogni schieramento.

Uno spunto finale con un minimo richiamo a Papa Francesco, che predica la “riforma della Chiesa in uscita missionaria” (La Gioia del Vangelo 17). L’uscita del cresimato nel mondo, come già l’uscita degli apostoli dal Cenacolo dopo la Pentecoste. Ma anche l’uscita dal modello di Chiesa costituita della tradizione europea per realizzare una nuova figura di Chiesa missionaria.

La Chiesa costituita (che viene dal Dictatus Papae di Gregorio VII, da Innocenzo III, da Bonifacio VIII, dal Concilio di Trento) si pone come campo trincerato, dove mira a poter adunare l’intera umanità, fino a stabilire una coincidenza ideale tra Chiesa e società: la societas christiana, la res pubblica christiana. La Chiesa in uscita invece abbandona la trincea, perché essa ha dato grandi vantaggi in altra epoca ma oggi costituisce un impedimento. Un ostacolo all’incontro missionario con l’umanità che è al di là di essa.

Quando il cardinale Martini, in articulo mortis, ebbe a dire come ultima parola che la Chiesa era indietro di duecent’anni, forse intendeva questo: continua a parlare all’umanità come se essa coincidesse ancora con i credenti, come se la comunità costituita fosse ancora in grado di contenere l’intera umanità. Cosa che non è più – appunto – da almeno due secoli.

Nella Chiesa costituita e trincerata la Cresima era una tappa del cammino educativo, nella Chiesa in uscita è un mandato per la missione. Suggerisco ai parroci e al vescovo di indagare se non sia possibile – ma io direi necessario – trovare il modo di dare risalto, con innovazioni gestuali, al rapporto dei cresimandi e dei cresimati con il vescovo. Prevedendo, per esempio, una qualche forma di attualizzazione – poniamo un anno o due dopo il conferimento della Cresima – del “bacio di pace”: “Il bacio di pace che conclude il rito del sacramento significa ed esprime la comunione ecclesiale con il vescovo e con tutti i fedeli” (Catechismo della Chiesa Cattolica 1301).

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