Pubblicato dal “Corriere della Sera Roma” come editoriale il 2 gennaio 2014
Forse non c’è nessuno a Roma che si occupi della città quanto Papa Francesco, che è l’ultimo arrivato: e questo fatto spiega qualcosa del nostro degrado. Mentre ogni romano aveva la mente al cenone, l’immigrato Bergoglio ha chiesto l’altro ieri durante il “Te Deum” di fine anno in San Pietro: “Noi cittadini romani, pensiamo a questa città di Roma?” La risposta onesta sarebbe: no, non ci pensiamo.
Bergoglio si presenta come uno che abita la città: “noi romani” esordisce, come fosse fatto suo, per dirla secondo la nostra lingua romanesca. Wojtyla dopo un quarto di secolo che era qua arrivò a dire “semo romani – damose da fa’” ma Francesco ci rivolge lo stesso richiamo fin dall’inizio.
Dopo essersi qualificato come romano, il Papa argentino ci interroga sulla “qualità della nostra cittadinanza”: ed è un punto dolente, perché non ha a che fare con il clima e la storia che ci fanno ricchi ma punta alle responsabilità d’ognuno che ci fanno deboli. “Noi come cittadini noi come popolo” è il titolo di un testo del cardinale Bergoglio, nel quale distingueva la condizione del “cittadino” argentino da quella dell’abitante in Argentina: traducendo nella nostra realtà, vuol dire distinguere chi è romano perché abita entro il Raccordo Anulare da chi si fa responsabile della “polis” romana.
Il male di Roma è che noi tutti i suoi abitatori siamo orgogliosi di stare qui, ma pochi tra noi si fanno responsabili della “civitas” romana e dunque si pongono non solo come fruitori delle sue risorse, ma anche come costruttori del suo futuro. Nel 2013 a Roma abbiamo avuto le elezioni e con esse abbiamo messo Marino al posto di Alemanno, ma l’esigente Bergoglio non si interessa a questi fatti di facciata. Chiede piuttosto a “tutti noi”, cioè a ognuno: “Quest’anno abbiamo contribuito, nel nostro piccolo, a rendere Roma vivibile, ordinata, accogliente?”
Nel nostro piccolo immagineremmo che uno che viene da Buenos Aires non abbia che da ringraziare della grandezza di Roma, ma per fortuna Jorge Mario Bergoglio va diritto a ciò che conta, ossia a quanto viene fatto all’uomo e la nostra città – ci dice impietosamente – è piena di “poveri, infelici, sofferenti”. E dettaglia: è piena di turisti ma anche di “rifugiati” e da costretti a “lavori indegni”. Nella sua requisitoria il “Vescovo di Roma” ci ha sfidati tutti a guardare alla citta vedendone le piaghe e non a guardarla “dal balcone”.
Sappiamo quanto forse frontale e sfrontata la predicazione del cardinale Bergoglio sui mali di Buenos Aires e non ci resta che sperare che altrettanto severa abbia a essere – nel suo pieno sviluppo – quella che l’altro ieri ha iniziato a svolgere sui mali di Roma. Entro gennaio riceverà gli amministratori del Comune, della Provincia e della Regione: è prevedibile la grandine e sarà bene che i chicchi siano grossi. Siamo in troppi a dormire in questa città.
Luigi Accattoli
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