Stavolta inneggio alla libertà del cristiano com’è onorata da Francesco. Trattavo il mese scorso di quanto trovo d’inaspettato nel papa nuovo e davo come primo elemento la sua allergia alle ideologie, comprese quelle cristiane. Annunciavo come secondo elemento al suo continuo appello alla libertà, che rivendica per sé e rispetta negli altri, fino a qualificare come inaccettabile “l’ingerenza spirituale nella vita personale”, che in altra occasione ha indicato come “molestia spirituale”. Credo che siano queste a oggi le sue parole più audaci, senza precedenti nella lingua dei papi.
Avevo già abbozzato la mia divagazione, quand’è arrivata l’Evangelii gaudium che nelle sue 223 pagine – è il documento papale più lungo ch’io conosca: 49.095 parole contro le 18.283 della Lumen Fidei – ha quindici volte il sostantivo libertà. Eccolo nel passo più impegnativo: “La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche” (paragrafo 165). Un annuncio che fa appello alla libertà e dunque “accoglie e non condanna” (ivi).
Libero verso il papa emerito
e verso tutti i papi
In un altro passo Francesco riconduce la libertà dei discepoli a quella della Parola che li suscita: “La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi” (22). Poco prima richiama anche alla libertà del seme che cresce da sé, all’insaputa del seminatore.
Libertà della Parola, d’accordo: ma un papa non deve richiamare alla disciplina delle parole? Francesco afferma che la libertà è più importante di ogni disciplina: “In seno alla Chiesa vi sono innumerevoli questioni intorno alle quali si ricerca e si riflette con grande libertà” (40), una libertà che “meglio” manifesta la “inesauribile ricchezza del Vangelo”, anche se va di traverso a “quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” (ivi).
Non solo è libera la Parola che ci genera alla fede ma libero è anche lo Spirito che ci conduce: “Non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera” (280).
Per cogliere l’intera innovazione bergogliana sulla frontiera della libertà dovremmo richiamare le libertà che si prende nelle sue attività, come appaia libero da rubriche e protocolli, verso il papa emerito, verso tutti i papi. Una libertà che gli viene dalla lunga esercitazione all’indifferenza ignaziana: cioè a considerare “indifferente” ogni circostanza che non riguardi Dio. Una libertà che è un’alleata del suo programma innovatore. Ma qui mi tengo ai testi.
L’ingerenza spirituale
non è possibile
Ecco l’affermazione principe del criterio di non ingerenza spirituale, che è nell’intervista alle riviste dei Gesuiti (19 settembre 2013): “Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla […]. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile”.
A pagina 107 de Il cielo e la terra (volume del cardinale Bergoglio in dialogo con il rabbino Abrahan Skorka, Mondadori 2013) c’è un passo parallelo più ampio, che aiuta a intendere questo concetto dell’ingerenza spirituale: “La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione, poiché è al servizio della gente. E se qualcuno mi chiede un consiglio, ho il diritto di darglielo. Non ho il diritto di intromettermi nella vita privata di nessuno, certo. Se nella creazione Dio ha corso il rischio di renderci liberi, chi sono io per intromettermi? […] Dio ci ha lasciato addirittura la libertà di peccare. Occorre parlare con chiarezza dei valori, dei limiti, dei comandamenti, certo, ma l’ingerenza spirituale, pastorale, non è consentita”.
Sempre in quel volume c’è una pagina (la 23s) sul rapporto del credente con l’ateo che prefigura l’intervista a Scalfari: “Quando mi trovo con degli atei, condivido le problematiche umane, ma non propongo subito il problema di Dio, a meno che non siano loro a chiedermelo […]. Non affronto il rapporto con un ateo per fare proselitismo, lo rispetto e mi mostro per quello che sono. Non gli direi mai che la sua vita è condannata, perché sono convinto di non avere il diritto di giudicare l’onestà di quella persona”.
Un lavaggio di cervello
di tipo teologale
Il no alla “molestia spirituale” Francesco l’ha affermato il 21 ottobre 2013 parlando alla plenaria del Consiglio delle comunicazioni sociali : “In questo tempo noi abbiamo una grande tentazione nella Chiesa, che è l’“acoso” [parola spagnola che significa molestare] spirituale: manipolare le coscienze; un lavaggio di cervello teologale, che alla fine ti porta a un incontro con Cristo puramente nominalistico, non con la persona di Cristo vivo”.
La prima avvertenza nel leggere questi testi di Jorge-Francesco credo debba andare alla parola “libertà” e ai suoi derivati: Dio ci ha resi liberi, libertà di peccare. Libertà è parola poco amata nella Chiesa. Sovrabbonda nelle Lettere di Paolo e Gesù aveva già detto tutto con il motto “la verità vi farà liberi”. Ambrogio non aveva timore di andare avanti su quella linea: “Ubi fides ibi libertas”. Ma poi Lutero scrisse il libello “Della libertà del cristiano” (1520) e quella parola fu posta a domicilio coatto nella Chiesa di Roma: non doveva lasciare le pagine della Scrittura senza una specifica autorizzazione e senza essere accompagnata da una numerosa scorta di glosse latine e volgari. La revisione del processo che aveva portato a quel provvedimento – avviata dal Vaticano II – non è ancora terminata. Il Concilio ha fatto sua l’espressione “libertà religiosa” che già era stata condannata ma a mezzo secolo di distanza non si finisce di discutere su quel provvidenziale recupero. Forse Francesco sta avviando una nuova tappa di riconciliazione della Chiesa con la libertà, dopo quella conciliare.
E’ tanto bella
questa libertà dei figli
Egli pronuncia spesso la parola “libertà” nelle omelie del mattino e una volta – il 4 luglio 2013 – ne ha tenuta una che è stata tutta una celebrazione della libertà come “tratto caratteristico” dell’identità cristiana: “E’ tanto bella questa libertà dei figli, perché il figlio è a casa”. L’espressione che gli è più cara è quella della “libertà dei figli” e la passione con cui la evoca mi ricorda la cara figura di Giovanni XXIII che l’8 dicembre 1962 – avevo 19 anni – mi capitò di vedere in una diretta televisiva in bianco e nero che batteva quattro volte il piede, calzato con scarpette di raso, quando pronunciava le parole: “Sancta libertas filiorum Dei”, chiudendo la prima sessione del Concilio e rivendicandone l’attestazione di libero dibattito che ne era venuta.
Sull’accettazione di chi la pensa diversamente c’è un passo utile nel volume intervista El Jesuita (tradotto in Italia da Salani-Corriere della Sera con il titolo Il nuovo Papa si presenta: la citazione è a p. 76): “Se non si ammette che nella società ci siano persone con opinioni diverse dalle nostre, se non addirittura contrarie, e non le rispettiamo, non preghiamo per loro, non le salveremo mai nel nostro cuore”.
L’accettazione dell’altro persino nei suoi peccati è affermata anche in un altro testo, riportato ora nel volume E’ l’amore che apre gli occhi (Rizzoli 2013, p. 56): “Di fronte all’emergere, con sempre maggiore frequenza, di ogni tipo di intolleranze e divisioni nei rapporti tra gli individui e tra i popoli, siamo chiamati a vivere e a insegnare il valore del rispetto, l’amore che va oltre ogni differenza, il significato della condizione di figlio di Dio propria di ogni essere umano, l’accettazione delle sue idee, dei suoi sentimenti, comportamenti e persino peccati, quali che siano”.
Cristiani insicuri
della propria fede
Spesso Francesco deplora il mancato rispetto delle opinioni altrui, da parte di credenti “rigidi”, che a suo parere allontana invece di convertire. Ecco come l’ha fatto l’8 maggio 2013 nell’omelia al Santa Marta: “Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato […]. Ma adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo, perché io ricordo quando bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa’. Era come un’esclusione. O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. C’era come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti. I cristiani che hanno paura di fare ponti e preferiscono costruire muri sono cristiani non sicuri della propria fede”.
Con papa Francesco uno come me respira. Respirava già – o quantomeno riteneva di respirare – nella libertà della Parola e dello Spirito, ma ora respira anche nell’accompagnamento del suo vescovo: io vivo a Roma. Ed è confortante vedere che quelle sue parole dei primi mesi, che onorano come dono di Dio la sua e l’altrui libertà, sono coerenti con quanto diceva da arcivescovo di Buenos Aires e sono ora confermate in un testo magisteriale qual è l’Evangelii gaudium.
Luigi Accattoli
Il Regno attualità 22/2013