Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 4 gennaio 2014
Quando diffida i religiosi dal nutrire un “cuore acido” il riferimento potrebbe essere alla Monaca di Monza del Manzoni che viveva “nell’astio” la vita monacale alla quale era stata costretta. Il richiamo ad attrarre con la carità e a mostrare al mondo che si può “vivere diversamente” ha dietro la figura di fra Cristoforo. Ma nelle direttive del Papa ai “Superiori Generali” ci sono sottotraccia anche richiami meno specifici e di scuola: l’Odissea e l’Eneide, Dante e il Martin Fierro di José Hernández (1834-1886), che è il poema nazionale argentino.
Un riferimento al Martin Fierro lo trovo nell’invito ai religiosi a recuperare la “tenerezza materna” verso le persone affidate alla loro cura. In un saggio sul poema di Hernandez pubblicato nel 2002 il cardinale Bergoglio riportava questi versi come monito ad apprendere il dovere della tenerezza verso i più deboli: “La cicogna quando è vecchia / perde la vista, e si affannano / a curarla nell’età matura / tutte le sue figlie piccole. / Imparate dalle cicogne / questo esempio di tenerezza”.
Un rimando all’Ulisse dell’Odissea possiamo vederlo nel richiamo rivolto ai religiosi perché siano “uomini e donne capaci di svegliare il mondo”, cioè di scuoterli dall’incantamento “mondano”. Era a questo scopo che nell’intervista del settembre scorso alle riviste dei Gesuiti aveva paragonato i “valori avariati” dell’umanità di oggi al “pensiero ingannato” di Ulisse “davanti al canto delle sirene”.
L’Enea dell’Eneide fa capolino tra le righe dell’invito a esplorare e “illuminare il futuro”, posto come esemplificazione del compito “profetico” dei religiosi. Più volte nei testi del cardinale Bergoglio ricorre l’immagine di Enea che dopo l’incendio di Troia “si carica la sua storia sulle spalle e si mette in cammino, alla ricerca del futuro” (così per esempio nel volume Il nuovo Papa si racconta, Corriere della Sera 2013, p. 67).
Quando dice “non negoziabile” la predicazione evangelica e afferma rudemente che si tratta di “essere profeti e non di giocare a esserlo”, viene alla mente un discorso ai vescovi spagnoli (gennaio 2006) nel quale a quello stesso scopo da cardinale aveva citato il canto XXIX del Paradiso di Dante: “Non disse Cristo al suo primo convento [gruppo di discepoli]: / andate e predicate al mondo ciance”.
Per il capitolo della “inculturazione” del cristianesimo nelle diverse civiltà Francesco cita i gesuiti che in tale impresa sono stati più creativi, da Matteo Ricci (1552-1610) a Segundo Llorente (1906-1989), che scrissero diversi volumi di memorie che sicuramente Papa Bergoglio conosce nei testi originali. Ma più interessante, per il lettore non specialista dell’interessante “colloquio” del Papa gesuita con i confratelli religiosi, è l’allusione implicita a testi profani, che è – come sempre nei suoi testi – abbondante.
Nell’invito a concepire la formazione dei religiosi come “opera artigianale e non poliziesca”, mirata a far crescere persone capaci di gioia e di tenerezza, si può vedere in trasparenza l’apprezzamento ben noto del cardinale Bergoglio per il film Il pranzo di Babette che – disse una volta – mostra come una comunità puritana possa arrivare a ignorare “che cosa sia la felicità”. O anche vi si potrebbe scorgere la sua ammirazione per la Crocifissione bianca di Chagall, che “non è crudele ma ricca di speranza”.
Luigi Accattoli
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