Intervento alla tavola rotonda sulla cultura del dono e la donazione di organi

Spoleto 13 luglio 2013

 

  1. Donazione degli organi – il corpo in dono – il dono di sé come nuova frontiera dell’umano

Considero quella dei trapianti come una nuova frontiera dell’umano, come una dilatazione, un ampliamento della possibilità di essere uomini sulla terra.

Nell’antichità della Grecia e di Roma avevamo il riconoscimento dell’altro all’interno della “polis” e del rapporto di “cittadinanza” che ne derivava. Chi apparteneva alla città e disponeva del diritto di cittadinanza era il “prossimo”, gli altri erano i “barbari”.

Cristo ha aggiunto a quella prima cerchia dell’umano la possibilità e il comandamento di farsi prossimo nei confronti di ogni uomo o donna che incontriamo anche per caso e che resta a noi totalmente sconosciuto (e magari privo della cittadinanza): “Lo vide e ne ebbe compassione” (Vangelo di Luca, parabola del samaritano).

La civiltà dei trapianti aggiunge una terza cerchia dell’umano a quella della polis e a quella della “compassione”: quella dell’intera famiglia umana. Chi dona il proprio corpo o quello di un familiare per salvare la vita di altre persone generalmente non sa a chi andrà il suo dono. Si realizza dunque per questa via una possibilità di rendersi “prossimi” all’intera umanità, senza che la compassione abbia bisogno della vista per attivarsi. “Lo vide e ne ebbe compassione” era già molto. Ma con i trapianti possiamo dire: “Ne ebbe compassione senza averlo mai visto”.

 

  1. La civiltà dei trapianti come un segno positivo della nostra epoca

Molti sono pessimisti sul tempo che viviamo e dicono che in esso si verifica un arretramento dell’umano, una soggezione tirannica all’economia e alla tecnologia, uno scatenamento degli egoismi, un restringimento delle risorse profonde della civilizzazione. Io credo che non sia vero e metto la civiltà dei trapianti tra gli argomenti con cui sostengo l’idea che invece questa – che pure ha tanti limiti e corre tanti rischi – sia un’epoca in cui si profila la possibilità di un nuovo umanesimo dalle straordinarie prospettive.

Pongo la civiltà dei trapianti accanto ad altre acquisizioni di segno positivo tipiche di questo tempo storico:

  • il riscatto delle persone disabili
  • l’avvio di una reale parità tra l’uomo e la donna
  • il rimescolamento delle culture che avvicina popoli ed etnie e favorisce il superamento delle discriminazioni razziali, sessuali, religiose.

Vedo dunque nella civiltà dei trapianti un argomento per rendere grazie del tempo che viviamo, un motivo per amare l’epoca che ci è toccata in sorte e per impegnarci a svilupparne le potenzialità.

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