Luigi Di Liegro ovvero la scelta dei poveri nella Roma del Duemila

Don Luigi Di Liegro (1928-1979) è stato un apostolo dei poveri e il migliore maestro della Caritas italiana insieme a don Giovanni Nervo. Un poco l’ho conosciuto e un poco l’ho studiato, trovando sempre motivo di gratitudine a ogni incontro con lui. Lo ricordo come un amico pronto a rispondere alle domande – per quanto indiscrete – del giornalista o alla segnalazione di una necessità. Con la sua opera ha mostrato che cosa possa essere la scelta dei poveri nella Roma del Duemila.

L’ho conosciuto nei giorni del convegno del febbraio del 1974 sulle «attese di carità e di giustizia nella città di Roma»: di quell’impresa – primo segno di protagonismo della Chiesa locale romana, fino ad allora oscurata dall’ombrello curiale – fu il principale artefice, accanto al cardinale Poletti.

Venni a Roma per intervistarlo, come inviato della rivista «Il Regno». La sorpresa fu la sua schiettezza: il convegno aveva provocato un terribile scompiglio nel mondo cattolico romano, i democristiani accusavano Poletti e Di Liegro di aver fatto il gioco dei comunisti calcando le mani sui «mali di Roma». In quello scompiglio, don Luigi non si nascondeva. Faceva nomi, raccontava tutto. Non aveva paura. Il cardinale Poletti lo proteggeva, come poi l’ha protetto – nella sostanza, e per altri sei anni – il cardinale Ruini.

Quando Poletti gli affidò la Caritas (non fu una sua scelta, ma non la sentì come un allontanamento dalle stanze delle decisioni), questa sua capacità di parlare e agire con schiettezza ebbe come un’esplosione. Attorno a lui – così asciutto, così diretto, così lontano dalla retorica – fiorì il volontariato. I giovani erano attratti dall’esempio prima che dalla parola.

Querele, aggressioni verbali, campagne di stampa non lo toccavano. Non solo soccorreva i bisognosi – persino portandoli a casa sua, quando non c’era altra via – ma si indignava per le ingiustizie, combatteva per superarle.

Figlio di un emigrato che ave va tentato di entrare da clandestino negli Usa perchè clandestino, la scelta dei poveri l’aveva nel sangue. Per 17 anni direttore della Caritas diocesana, è stato il primo a occuparsi dei malati di Aids a Roma con la casa di accoglienza di Villa Glori. Il primo a portare la Caritas nelle carceri. A prendere in affidamento i detenuti ammessi alle misure alternative alla detenzione. A inventare gli ostelli e le mense, a condurre memorabili battaglie – di soccorso e politiche – per l’accoglienza dei nomadi e degli immigrati.

Fece storia, nel 1988, un’assemblea di un comitato di quartiere, ai Parioli, in cui difese l’iniziativa di aprire – proprio in quel quartiere bene di Roma – una casa famiglia per malati di Aids. Fu insultato e quasi aggredito. E lui a spiegare che soccorrere i malati era un aiuto alla comunità, non un attentato alla sicurezza pubblica.

A ragione è stato definito dai media «prete di frontiera», «buon samaritano degli esclusi». Chi lo conosceva ha avuto modo di segnalare al grande pubblico l’aspetto per lui più vivo dell’amico scomparso.

«Era un uomo molto limpido, un realista visionario. Ho voluto che battezzasse mia figlia, nella convinzione che potesse trasmetterle un po’ della sua sovrabbondante grazia» (Consuelo Corradi, sociologa).

«Ho sempre riconosciuto in lui un’anima evangelica» (don Virgilio Colmegna, direttore della Caritas ambrosiana).

«Ho visto fare più cose a lui, in dieci anni, di quante io ne abbia potute soltanto sognare in tutta una vita di brigatista» (Valerio Morucci).

«E’ stato un prete scomodo, come scomodi sono i poveri» (don Giovanni Nervo, già direttore nazionale Caritas).

«Capiva i poveri perchè viveva la povertà» (don Elvio Damoli, direttore nazionale Caritas succeduto a Nervo).

«E’ stato la coscienza critica dei cristiani di Roma e della città» (Andrea Riccardi).

«Un sacerdote che, con totale dedizione della propria vita, ha servito Cristo nei poveri» (cardinale Ruini).

Il Papa ne ha ricordato «il coraggioso e instancabile ministero a favore dei poveri e degli emarginati».

I media dunque l’hanno capito, la Chiesa l’ha sostenuto, pur tra i conflitti. Il cardinale Ruini non sempre ne ha condiviso le scelte, mai però l’ha sconfessato e nell’omelia di commiato ha lodato la «duplice dimensione» della sua carità: quella con cui «si prendeva cura diretta e immediata delle persone» e quella per cui tendeva a «rimuovere le cause della povertà e dell’ingiustizia».

La sua opera è immensa, forse nessuno quanto lui ha contribuito a mutare il volto della Chiesa di Roma, negli ultimi venticinque anni del secolo scorso: ha creato sette centri di assistenza sanitaria, sei servizi per gli immigrati, quattro centri per i giovani e i minori, quattro per i malati di Aids, tre per i carcerati, quattro mense, sette centri di ascolto e di prima accoglienza, una fondazione antiusura, quattro cooperative di solidarietà sociale, tre associazioni di volontariato.

 

Maurilio Guasco, Carità e giustizia. Don Luigi Di Liegro (1928-1997), Il Mulino, Bologna 2012, pp.337, euro 25. Una mia presentazione di questo volume può essere letta qui: http://www.luigiaccattoli.it/blog/?page_id=10050. Testi di don Luigi sono citati in questi miei post: http://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=10033, http://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=10056.

 

[Ottobre 2012]

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