“Sì, io lo perdono. Se fosse vivo, Fortunato direbbe lui stesso ai suoi ragazzi: adesso calma, non cercate la vendetta, non seminate odio e discordia nel paese. Sapete, io in classe a Gizzeria ho tanti alunni marocchini, tanti bambini che spero presto di rivedere e di poter riabbracciare. Ecco voglio adesso dir loro che il mio bene non è mutato e tornerò in classe senza rancore, con la voglia intatta di dialogare ancora. Noi eravamo una grande famiglia. Unita, anzi unitissima. Abbiamo cresciuto figli (Alessandro e Chiara, ndr) nella fede cristiana. Ed è per questo che dico che la morte oggi non è riuscita a spezzare questo vincolo, io credo anzi che Fortunato dal cielo continuerà ad accompagnarci ogni giorno che resta nel nostro cammino terreno. Adesso mi aspetto che la giustizia faccia il suo corso, naturalmente, perché io credo nella legge e credo che vada sempre rispettata. Però quello che m’importa veramente non è tanto che il ragazzo marocchino venga punito, quanto piuttosto che egli capisca, che si renda conto, che impari qualcosa da tutto il male che ha fatto. Non conta la pena. Conta l’educazione”.
Sono parole di Teresina Natalino, moglie di Fortunato Bernardi, insegnante di ginnastica ucciso insieme ad altri sei ciclisti domenica 5 dicembre 2010, a Lamezia Terme, da un immigrato marocchino di 21 anni che li ha travolti con la sua automobile.
Le parole di Teresina dal Corriere della Sera del 7 dicembre 2010, a pagina 23.
[Settembre 2011]