“Accogliamo, accogliamo, ma cùccateli tu, popolo stronzo! Così vescovi, arcivescovi, prefetti, questori, onorevoli, intellettuali, alto borghesi, tutte merde al sicuro in blindati palazzi con la ‘volante’ sul portone pagata dai contribuenti. Avesani Vittorio, Verona”. E’ una lettera che mi è arrivata ieri, senza indirizzo del mittente e dunque gli rispondo qui: come vedete, miei bloggers, ci si divaga anche nella realtà, non solo on line. Avevo appena letto questa lettera sull’autobus 71 quand’è salita una che ha gridato “Autista guida bene” e a un’altra che saliva alla fermata seguente: “Non ti sedere qui, vecchia lesbica, pecorara”. Poi di nuovo all’autista: “Operaio, fammi scendere”.
Gli immigrati cùccateli tu, popolo stronzo!
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C’è un clima montante di intolleranza che preoccupa. Un’intolleranza ne genera un’altra (magari di segno contrario), e il clima diventa pesante… Mi chiedo come facesse quella signora cretina a capire che l’altra persona era lesbica… Tra l’intolleranza becera verso gli omosessuali (talora ipotetici) e la piena legittimazione giuridica delle coppie gay c’è un ampio spazio, nel quale dovrebbero trovare spazio la tolleranza ed il rispetto, pur nel dissenso sulle scelte di vita degli altri.
Giusto ieri mattina al termine della messa delle 8 mi sono soffermata a parlare con un signore anziano, un nostalgico, rinomato in zona per avere combattutto nelle file partigiane, un vecchio comunista “sfegatato” il quale (come mi ha confidato lui stesso) in vecchiaia ha preferito convertirsi, ma non per fede, per opportunismo:” sai com’è -mi fa’- “nun se sa mai ! Nun ce credo eh… ma se fosse tutto vero? E se stènno le zampe domani? So vecchio, è meglio nun rischia’ bella de’ papà” . Intelligente il ragazzo eh..!!
Parlando dell’attuale situazione politica commentava, tutto paonazzo:” Chi c’ajuta a noantri adesso!? Mo’ che nun ce stanno più li comunisti, a l’operaj chi l’aiuta ? Chi te vede fija mia.. ma nun lo vedi adesso er governo sta’ in mano a li’ ricchi? A sto’ Berlusconi.. questo.. se fa’ l’affari sui, c’ha li quatrini nun lo vonno capì che a lui de’ tutti sti’ poveri fiji che moréno sù li posti de’ lavoro nun je ne frega niente!! Aricordate che la panza piena nun pensa mai a quella vota! E poi, tutti sti’ stranieri! Ma ndo’ se li mettemo??!”
…e insomma per tutto il tragitto m’ha afflitto con le sue urla contro il governo e la mala sorte circa la scomparsa della falce e il martello. Penso che queste proteste siano la spia che segnala quel malcontento in cui tutti, chi più chi meno, siamo coinvolti e a vari livelli..
Anche per insultare ci vorrebbe un po’ di grazia e di inventiva. La tradizione popolare spesso le possedeva, e coniava insulti tanto coloriti quanto, in fondo, inoffensivi: iperboli sesquipedali o adynata strabilianti (mi viene in mente, nel mio dialetto, “s’avess un cul cme la tu faza am vargugnarebb nenca ad scurzé” [se avessi un culo come come la tua faccia mi vergognerei anche di scoreggiare]), ma anche brevi formule definitive e fulminanti, come il bel “va da via i ciapp”, che Ignigo, qualche messaggio fa, ingiustamente rivolgeva a Mandis (e ancor più a torto censurava: se lo vuoi dire, dillo almeno tutto!).
Come ci siamo ridotti: non sappiamo più nemmeno prenderci a male parole! Che tristezza!
Ah ahahahhhh…mamma mia..che ridere!!
Se non capite il romanesco posso tradurlo eh !
Il vecchio incontrato da Clodine, che crede che ai comunisti stiano a cuore i poveri, fa quasi tenerezza. Che ricordi io, l’ultimo (o l’unico?) uomo politico che si preoccupasse veramente dei poveri (in quanto poveri, non in quanto potenziali elettori) è stato La Pira. Comunque, per come è ridotta la sinistra oggi, gli direi che gli conviene sperare qualcosa da Tremonti che dai “suoi”!
Eh già! Molta tenerezza!
Leonardo, ti prendo alla lettera e ti correggo:
Va a Dà Via el Cù.
minga i ciapp…
comunque, hai ragione.
In milanese cù (testa) e cù (culo) hanno solo una sottilissima differenza fonica e come si sa nomina sunt consequentia rerum…
Preferisco mantenere un livello poco coinvolto perchè il delirio psico aggressivo descritto dal nostro tenutario… di condominio…(!) … è davvero realistico e all’ordine del giorno nella nostra metropoli milanese.
Io insisto ad andare in giro in bici e vengo regolarmente aggredito da suv e smart guidati anche da noti professionisti che ti mettono sotto perchè sennò arrivano in ritardo in palestra. Sulle lesbiche non so… boh lesbica di per sè non è un insulto, almeno non per me. Invece i gay – categoria che non include tutti gli omo e le lesbiche – del gay pride hanno insultato e insultano sempre chiunque professi la fede cattolica: è successo anche sabato in Duomo mentre all’interno c’erano le ordinazioni presbiterali. Questo movimento gay anti cattolico è molto forte in spagna dove lo sbattezzo ha un discreto seguito. Comunque nella prima parte della lettera quella che dice gli agi di certi potenti c’è un retrogusto alla Fo, ho visto un re, e sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco al cardinale diventan tristi se noi piangiam… un sano anarchismo evangelico che può essere facilitato a riconoscere l’Unico Signore.
Una volta ho detto ad un perfettino che i re e le regine non mi piacciono: mi ha detto che “non c’è nessun intervento del Magistero che autorizza un cattolico a prendere le distanze dalle Case Reali”.
Leonardo, sai cosa gli ho risposto: ma và a dà via l cù.
La questione mi interessa moltissimo: io pensavo che fosse più autenticamente meneghino “va a da via i ciapp” rispetto al meno idiomatico “va a da via el cù”.
(Purtroppo è mancato da diversi anni uno zio acquisito di mia moglie, che vantava i natali in via Solferino, e a cui mi sarei potuto rivolgere per una lunga disquisizione sul tema).
L’episodio che lei racconta non ha nulla a che fare con una presunta “intolleranza” ideologica alimentata dai biechi fascisti in agguato e dal “ricco” Berlusconi (infatti dove i comunisti comandavano la gente viveva benissimo, con tanti soldi in tasca e la salute assicurata, vero signora Clodine?), ma e’ il tipico esempio del degrado in cui la citta’ di Roma e’ progressivamente precipitata, a partire dagli anni Settanta, e che certo il regno veltroniano non ha fatto nulla per eliminare, ma ha anzi aggravato (una discreta mano l’ha data anche la legge Basaglia, che ha cancellato la malattia mentale, di cui la donna descritta e’ un tipico esempio). Sarebbe bene parlare di questo, anziche’ per l’ennesima volta fare un discorso ideologico. Quanto ai commenti, lasciamo perdere quelli di chi non vive a Roma e che dunque non ha diritto di sentenziare su una realta’ che non conosce. Savigni non ha alcun diritto di accusare gli altri di intolleranza, lui che mi ha mandato a quel paese con la parola usata da Grillo nel blog di Rodari, solo perche’ avevo dimostrato razionalmente la fallacia dei suoi argomenti (ma lui e’ bravissimo a rovesciare la frittata e a dare la colpa agli altri): immagino sia lo stile in voga nell’ambiente che frequenta abitualmente. Complimenti al sedicente Ignigo, se e’ vero che a mandato a quel paese Mandis solo perche’ e’ un cattolico che non si confa’ alle sue preferenze: bell’esempio di educazione, davvero, da uno che dice di fare l’insegnante (immagino iscritto alla CGIL, no?). Io sono stato attaccato tempo fa in questo blog da gente che non aveva neanche letto bene i miei interventi, solo perche’ ho osato criticare il degrado dell’Esquilino (un esempio del quale e’ l’episodio raccontato da Accattoli) e di tante zone di Roma. Dottor Accattoli, permetta a me di dare una lezione a lei: ho stima di lei, dunque eviti di fare del moralismo a buon mercato sollecitando il fariseismo dei suoi lettori come quelli qui sopra descritti.
LORENZO MONDO
Il Presidente della Repubblica, affermando giustamente che l’emergenza rifiuti del Napoletano è una questione nazionale, ha rammentato i camion di materiali tossici che, provenienti dal Nord, hanno preso nel tempo le vie della Campania: mossi da industrie disoneste che hanno evitato il più costoso smaltimento previsto dalla legge, ricorrendo a zone franche con il beneplacito della camorra.
Non l’avesse mai detto. E non perché i fatti siano in sé contestabili, ma perché le sue parole sono cadute in una situazione precaria e forniscono alibi agli abitanti che, in buona o mala fede, si ribellano contro le nuove discariche. Hanno colto la palla al balzo anche i responsabili della mefitica alluvione. Come la rediviva Iervolino, che si è affrettata a proclamare: «Giustizia è fatta: ci hanno trattati come se fossimo noi gli inquinatori del mondo».
E invece no, perché i pochi o tanti criminali del Settentrione non pareggiano la rete della malavita locale e non assolvono le istituzioni del Sud, per la remissività, la mancata vigilanza, l’incapacità decisionale. Non si spiega altrimenti perché la monnezza invada le strade di Napoli e non quelle di Milano o di Torino.
Qualche puntino sulle «i» meritano anche certe levate di scudi che arrivano da parte cattolica sull’altra «vexata quaestio» concernente l’immigrazione. Ci sono prelati, operatori del volontariato, biblisti che, dinanzi alla stretta avviata dal governo, magari discutibile nei modi, esortano a privilegiare la solidarietà sulla repressione. Ma nessuno di questi galantuomini spiega quali debbano essere i limiti dell’accoglienza per quanto riguarda gli immigrati clandestini, a meno che si appaghino di quella fornita in misura strabocchevole dalle prigioni.
Nessuno che faccia quattro conti per individuare le risorse necessarie a garantire degne condizioni di vita a centinaia di migliaia di persone, parte delle quali attratte in Italia da una giustizia troppo lasca. Occorre ribadire con fermezza il no a qualsiasi forma di razzismo o xenofobia, ma i più nobili principi non possono eludere questi interrogativi. Se non vogliono ridursi a predicazioni astratte o cedere a un radicalismo religioso che dovrebbe intanto essere testimoniato concretamente, spogliandosi di beni e di agi, da chi, chierico o laico, lo professa.
Sign Iginio, innanzitutto ben tornato sul blog di Accattoli.
Se posso, le suggerirei di guardare qualche post indietro dove, in sostanza molti di noi, compresa la sottoscritta, ribadivamo esattamente le sue considerazione circa il degrado dell’esquilino, della sicurezza mancante, dello stato di abbandono in cui versano molti dei quartieri periferici. In sostanza, anche se in chiave meno cupa tutti noi del blog abbiamo cercato di capire, attraverso le reciproche esperienze -arricchite dal vivere in regioni diverse- ci siamo resi conto che tutte le città avevano un comun denominatore, tutte le città Italiane soffrono dello stesso malessere causato da anni di cattiva gestione delle risorse, da conflitti d’interessi, da un lassismo e malcostume imperante dove tutto è concesso, perfino gli assassini -attraverso scappatoie giuridiche- riescono a farla franca. Il paese dei cachi insomma dove a fare le spese è sempre il cittadino il quale, se non è rappresentato e sostenuto da un classe dirigente non è che una vittima, purtroppo! Io non mi intendo affatto di politica -mi sembra di averlo già detto in precedenza- per cui, le considerazioni che posso fare sono poco incisive e non soddisferanno di certo la sua preparazione in merito. Riguardo al comunismo, sono cresciuta in una famiglia di sinistra ed ho assaporato gli ideali di questo schieramento che devo dire rappresentava una bella fetta degli italiani, eppure questi ideali sono andati scemando, sclerando oserei dire fino a scomparire, il perché è talmente palese, è sotto gli occhi di tuti praticamente . Vediamo del resto il fallimento di questa politica nei paesi dell’est europeo: il crollo dell’Unione Sovietica, tra il 1989 e il 1991, ha determinato una situazione mondiale in cui gli Stati Uniti sono praticamente diventati una potenza mondiale senza rivali, e la recente globalizzazione con conseguente protezionismo a finito con l’agevolare l’immigrazione e ad impoverendo l’italia. l’India e la Cina assieme fanno 3 miliardi di persone, circa 10 volte la popolazione americana e 4 volte la popolazione Europea. I loro mercati crescono ad una velocita tra il 5% e il 10% annuo mentre in Europa e Stati Uniti, negli ultimi anni si brinda se si raggiunge il 2%. e intanto in Italia gli stipendi sono al minimo storico e le pensioni continuano ad essere da fame! Per non parlare della malasanità etutto il resto..
Che posso dirle di più, sono cambiati i venti, le politiche….in Argentina sono bastati 5 anni di cattivo governo per ridurre l’intera nazione alla fame. Se non ci riesce questo governo, credo che diventeremo un paese del terzo mondo, se già non lo siamo!
Arrivederci
Iginio bentornato! Grazie della stima. Ma attenzione: io non ho riportato la lettera e la scena del bus per fare del moralismo, ma solo perchè sono un giornalista e mi piace raccontare i fatti vivi. Il moralista – lui sì – che mi scriveva e la pazzerella del bus erano vivi e solo per questo li ho messi qui.
Chiedo scusa per l’off-topic, ma volevo ringraziare Luigi per il dono dei post su Valencia, sono andato a leggerli.
La Cattedrale di Valencia, così come quella di Madrid, mi sono rimaste nel cuore!
Un caro saluto a voi tutti.
F.
@ Luigi
grazie delle testimonianze, altissimo il livello,
hanno ottimamente tenuto il passo con il discorso di Benedetto XVI.
Su Paolo Giuntella mi riprometto di acquistare il libro, quanto prima,
anche un’amica, Roberta, me l’aveva consigliato.
Stasera ho avuto la netta percezione di un Magistero completo (tra il Papa e il laico).
Nei prossimi giorni approfondirò.
Grazie.
Matteo ti abbraccio! Il papa è venuto a salutarmi e proprio non mi aspettavo che mi riconoscesse. L’avevo incontrato spesso da cardinale, ma immaginavo che da papa mi avesse dimenticato, con tutti che lo cercano.
Che aria brutta e viziata entra oggi nel tuo blog, Luigi. L’aria viziata degli autobus metropolitani in cui anche chi ti spinge è tuo prossimo e anziché porgere l’altra guancia gli urli “lesbica pecorara”. L’aria viziata di un’Italia che confonde legge e ordine (due principi rispettabilissimi) con il desiderio di rivalsa e vendetta. Che si improvvisa tribuna e manda “affanculo” chicchessia, fosse pure il Papa o il Presidente della Repubblica e lo fa perché è un Paese esasperato in cui chiunque abbia un minimo di seguito può permettersi di cavalcare la tigre dell’orda (e dell’onda) popolare. L’Italia degli insulti e delle pernacchie scambiate per liberatorie quando di liberatorio non c’è nulla, solo obiettivi su cui scaricare l’ira repressa. Mi domando quanto ancora durerà, la libera uscita di un Paese dal gergo da caserma, in libera uscita dalla fine degli anni Ottanta e non acora conscio del fatto che se non ci si rimbocca tutti le maniche finiremo per essere più derelitti di quanto siamo.
Un mio professore, alla Cattolica, poco amato dagli studenti, era solito dire durante gli esami che “si vive meglio, se c’è più stile”. Ben venga la parolaccia se libera ed è detta davanti all’ingiustizia, ma non come turpiloquio gratuito. Un abbracio a tutti, puzzolenti o meno.
Come al solito Iginio pretende di dare lezioni agli altri ed interviene con la consueta supponenza. Tante volte mi ha dato dell’ignorante, su vari blog: impari a rispettare gli altri, prima di lamentarsi se qualche volta perdono la pazienza (capita anche a me, lo confesso, e me ne scuso).
il mio “autobus quotidiano” (linea 3): una signora (?) improvvisamente urla in faccia al suo vicino (eravamo molto vicini, oggi): ” Porco D.., brutto str…., m’hai schiacciato la mano”. Il colpevole fa un sobbalzo, ci mette 30 secondi a riprendersi dall’aggressione e dice con gentilezza “ma lei (? non le doveva dare del lei) sta sbracata come fosse al mare”… “Ma chi c…o sei!”, chiude la soave signora. Effetti del patetico coniciliabolo? Tensione. E dispiacere.
L’altro non lo vogliamo più. Troppa fatica. E troppa frustrazione.
Vorrei scrivere un po’ come savigni e un po’ come tonizzo, ma mi tengo uno spiraglio di speranza. Se no, che gli racconto ai miei figli!
ps. dulcis in fundo, ad appesantire ulteriormente la giornata, la “simpatica” verve di Iginio, che ha bisogno evidentemente di un punching ball su cui sfogarsi.
Caro Luigi,
non avrei voluto essere al suo posto nel ricevere una lettera come quella che le e’ stata recapitata. Beato lei se ha mantenuto calma e pace interiore…
La cosa che secondo me e’ da fare – e che cerco di attuare nel mio piccolo quando sento delle tensioni latenti intorno a me – e’ invocare lo Spirito Santo su questa persona/ su queste persone.
E a proposito di intolleranza – vengo al mio caso – ricordate caro Luigi e cari visitatori di questo blog, cosa era successo al mio blog?
Finalmente, dopo sei mesi di assenza, ho rimesso su un nuovo blog… Chi vorra’ passare (sempre che non sia di questi guerriglieri) e’ sempre il benvenuto 🙂
Andrea
http://andreamacco.wordpress.com/
proprio a confermare la gravita’ della situazione, abbiamo qui un blog dove c’e’ gente che accusa a vanvera mezzo mondo, poi, quando qualcuno, degli accusati a sproposito, reagisce, lo accusa di essere tanto cattivo e prepotente… Basta, questo non e’ un blog, e’ un manicomio!
Marina Corradi
Tratto da Avvenire del 8 giugno 2008
Ottanta, sono gli anni che il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, compirà il 13 giugno. Settanta, sono quelli che pochi giorni fa ha compiuto il cardinale Carlo Caffarra, suo successore. Ventiquattro, sono gli anni che complessivamente, uno dopo l’altro, hanno passato sulla cattedra di san Petronio. Bologna, la sua gente, la fede: l’arcivescovo di oggi parla del predecessore, della città, e di uno sguardo sugli uomini che da Biffi ( « padre, maestro e amico » ) ha ereditato.
L’amicizia, fra loro, è di lungo corso. Risale a quando Biffi invitò Caffarra, giovane docente alla Università Cattolica di Milano, a quel laboratorio culturale che fu la Scuola di San Vittore. Teologi entrambi; Biffi cultore di Ambrogio, Caffarra di Agostino; tutti e due padani – il primo milanese, l’altro di Busseto – già condividevano, dice oggi l’arcivescovo di Bologna, « una profonda affinità di prospettiva, che si faceva poi condivisione del giudizio sulla realtà ». Molto amici, quei due, lo sapeva anche Giovanni Paolo II: che, racconta il cardinale, « nel 1995 mi disse che avrebbe voluto ordinarmi personalmente vescovo a Fidenza, ma poi, non potendo, suggerì come in una scelta naturale: chiama Biffi, tocca a lui ». E così fu. Oggi Caffarra siede nella sua stanza nel secentesco palazzo di via Altabella, mentre attorno alla cattedrale i bolognesi sciamano sbracciati nel primo caldo, all’ora della chiusura degli uffici. A un botteghino del lotto ti stupisce una lunga coda di gente in cerca di fortuna.
Eminenza, il motto del suo predecessore era « Ubi fides ibi libertas ». Un motto attuale?
È forse l’insegnamento più forte di Biffi: la convinzione che la proposta cristiana è sommamente ragionevole. In un’anticipazione, quasi, di un tema centrale di Benedetto XVI. E cioè che solo da u- na rinnovata amicizia fra fede e ragione può nascere quella grande testimonianza di carità che è la forza creativa del cristianesimo. Ma in questo stesso punto si incontra la profonda difficoltà di evangelizzazione dell’Occidente, oggi. Da una parte, una ragione che si è automutilata e quindi non riconosce nella fede alcuna dimensione veritativa. Dall’altra, una fede che in non pochi cristiani si contenta di essere esclamata e non interrogata, professata e non pensata. E, di conseguenza, una ragione che si è interdetta la possibilità di guidare l’uomo verso gli interrogativi ultimi, e una fede che non sa più mostrare la sua ragionevolezza. In questa frattura, a rischio è l’umanità ( e la libertà) della persona. Quella adombrata nel motto che Biffi prese da Ambrogio, è la nostra sfida.
Resta famosa del suo predecessore la definizione di Bologna che diede oltre vent’anni fa: « Sazia e disperata ». Aveva visto in anticipo un malessere che oggi va ben oltre la città?
Ho appena incontrato la giunta della Caritas diocesana. Le famiglie che faticano a arrivare a fine mese sono sempre di più. Non è più così sazia, Bologna, ma purtroppo mi sembra ancora disperata. Era una volta una città coesa, amante del confronto – le grandi piazze, i portici ne sono il segno urbanistico – nel profondo rispetto reciproco. Oggi appare disgregata. Come se non ci fosse più interesse a parlarsi. I fondamentali tessuti connettivi del convivere civile si stanno sfilacciando. Se c’è una città che ha fatto storia nel senso più alto del termine, dall’Università al pensiero politico, è Bologna. Confesso però che oggi ho un timore. Temo che Bologna si rassegni al tramonto, a congedarsi dalla storia. Già Biffi notava i germi di questo malessere nella ultima sua lettera pastorale. Capisco che le mie parole, come allora le sue, possano addolorare. Ma nascono da un grande amore che entrambi portiamo a questa città. Vede, è come quando si ama una donna molto bella, e si vede che questa donna si trascura.
Scriveva Biffi in quella stessa ultima nota: « Si ha l’impressione che nessuno proponga più niente di magnifico e di affascinante, e anche i giovani sembrano rassegnati a vivere alla giornata ».
Qui tocchiamo il nodo su cui si gioca il destino di questa città, l’emergenza educativa. È come se si fosse spezzato il racconto della vita fra i padri e i figli. Tempo fa sono venuti a trovarmi dei bambini di una scuola elementare di periferia. Ho chiesto se conoscevano la chiesa di San Petronio. « Mai sentita nominare », hanno risposto. La cosa mi ha fatto male. Da allora ripeto: attenzione, qui sta capitando qualcosa di grave. Perché un popolo continua se custodisce la sua tradizione rendendola viva nel rapporto fra generazioni. Se il tramandare ai figli si interrompe, sono come sradicati, orfani di una dimora spirituale. Senza memoria, una comunità muore.
Ma perché questa parola si è interrotta?
Perché i padri hanno perso autorevolezza. Autorevolezza vuole dire che io, padre o madre, offro a te, figlio, una proposta di vita, della cui bontà e verità sono certo: e ne sono certo perché la ho verificata nella mia vita. Nel momento in cui queste premesse vengono meno, non resta più niente di vero da dare ai figli. Dentro a una mentalità relativistica, l’educazione non diventa difficile, ma impossibile. L’atto educativo stesso è percepito quasi come un sopruso. «Deciderà lui, quando sarà grande », dicono oggi i genitori. Così creiamo, in realtà, degli schiavi. Contro questo idolo relativista, il cardinale Biffi ci avvertì fra i primi.
Un’altra affermazione di Biffi fece clamore quando disse che occorreva « salvaguardare la fisionomia della nazione dai rischi di una immigrazione incontrollata ».
I fatti purtroppo gli hanno dato ragione. Se un popolo tenta di dimenticare la sua identità, e rinuncia a quella storia che la definisce; se vive, come ha scritto il sociologo Riccardo Prandini, nel « paradosso dell’identità di chi non vuole identità per non identificarsi », non diventa maggiormente capace di accoglienza – questo è l’errore madornale – ma invece sempre più spaventato dell’altro, e quindi meno accogliente o anche ostile. Al contrario, una forte consapevolezza di identità, nel senso alto del termine, rende possibile l’incontro col diverso: perché non hai paura, e dunque c’è possibilità di vero dialogo e di inteil grazione. Oggi la nostra perdita di identità crea il terreno per una grande paura dell’’ altro’, dello straniero. Anche a Bologna: anche qui si avverte questa paura. Ma la paura non consiglia mai bene.
Un punto su cui lei torna spesso nelle omelie è la «difficoltà di giudizio » sulla realtà di molti cristiani, come non preparati a affrontare la modernità.
Questa per me oggi è la vera debolezza del soggetto cristiano: la incapacità di fare della fede un modo di stare dentro la realtà. Ciò che si celebra la domenica, per molti non ha nulla a che fare con ciò che si fa il lunedì. È solo una pia elevazione dalle bruttezze del mondo. Ma in concreto, cosa c’entra con Cristo il modo in cui pensiamo e viviamo la famiglia? Le grandi esperienze della nostra vita, innamorarsi, avere figli, lavorare, come c’entrano con Cristo? È la capacità di stare cristianamente dentro la realtà che viene meno.
Com’è potuto accadere?
È ancora una conseguenza della emarginazione della ragione dalla fede. La fede va pensata. Agostino disse che una fede non pensata non è fede vera. E non è una idea da intellettuali. Mia madre non aveva finito la terza elementare: la fede però le insegnava come si affronta la realtà – la realtà dura di una vedovanza precocissima, con 4 figli piccoli. Il lavoro era pesante, i soldi ben pochi, ma lei sapeva sperare, crescerci e andare avanti. Si alzava prestissimo per andare a Messa. Noi le dicevamo: dormi ancora, riposati. Rispondeva: ma non capite che senza Messa io non ce la faccio? Questa è cultura cristiana. È carne, è cosa da mangiare. Cristo è il cibo che consente di vivere una vita buona, nonostante le peggiori difficoltà. Questo oggi manca, e questo il Papa ci dice, quando afferma che da una fede divisa dalla ragione non sorgerà mai una grande testimonianza cristiana.
Lei ai bolognesi parla di un ‘ bene comune’ da ritrovare.
Il bene umano vero è sempre comune, lo disse già Platone. È un bene condiviso in cui ogni uomo ragionevole si riconosce: mentre gli interessi individuali dividono. Ma il bene comune nella coscienza civile può essere solamente frutto di etica condivisa, di una riscoperta di valori? L’agostiniano che è in me dice di no: perché siamo di fatto più sensibili al nostro bene privato. E però l’invocazione di salvezza che l’uomo consapevolmente o no oggi rivolge alla Chiesa è: ridateci la possibilità di vivere una vera comunione, senza la quale periamo nella nostra solitudine. Cristo è venuto per questo, per raccogliere i figli divisi e dispersi. È la sfida di evangelizzazione su cui Giovanni Paolo II continuava a tornare, ed è sfida aperta a Bologna. A partire dall’educazione e dalla ricostruzione della famiglia e del matrimonio, perché la comunità umana comincia fra un uomo e una donna.
Il cardinale Biffi colse in questa città i germi di un malessere che ora lei vede conclamato. Ma un cristiano non può mancare di speranza. In che cosa spera l’arcivescovo di Bologna?
Ho fatto da poco una meditazione sulla Lettera ai Galati. L’uomo è giustificato dalla sua fede in Cristo, dice Paolo. Io credo di dover annunciare e testimoniare come vescovo il dono della salvezza che Cristo ci ha già fatto. Ma non come fosse qualcuno di morto che ci ha lasciato un insegnamento: come qualcuno di vivo. Non ci ha detto solamente, Gesù Cristo, « ascoltatemi, e imparate ciò che vi insegno
Iginio vado pazzo per i manicomi.
Ivan Illich
Pervertimento del cristianesimo
Conversazioni con David Cayley su vangelo, chiesa, modernità
Quodlibet, «Verbarium» – pagine 156 – euro 18,00.
Sono un appassionato lettore di Illich.
Spero di essere in questo sempre meno solo.
Dott. Luigi, anch’io !
Marina Corradi crede che “Ubi fides ibi libertas” sia “solo” il motto araldico del cardinale Biffi. In realtà è molto di più: sono parole di sant’Ambrogio e pertanto sommamente evocative se scelte da un ecclesiastico ambrosiano inviato a san Petronio come pastore.
Interessante imprecisione, interessante superficialità, interessante “sfilacciatura del tessuto culturale” (C.Caffara).
L’efficace ossimoro “sazia e disperata”, anche se condivisibile, appare – a venti anni di distanza dal suo conio – acidulo e accusatorio.
I cristiani dovrebbero sperare per tutti, non “disperare meglio di tutti”.
Ignigo difendo la collega Marina: lei non dice che il motto viene da Ambrogio ma lo fa dire all’intervistato e un’intervista è ovviamente indivisibile nelle due parti delle domande e delle risposte.
sarà… ma bastava poco se lo avesse saputo:
Eminenza, il motto ambrosiano del suo predecessore era « Ubi fides ibi libertas ». Un motto attuale?
Buongiorno dott Luigi.
Nel P.S. del post precedente, parlando a Sump, ho accennato di quell’episodio riferito all’esame di antropologia filosofica che ebbi a discutere con il prof S.Palumbieri. Ebbene, in quel frangente preciso -che ho avuto modo di spiegare- influì tantissino, ovviamente, famoso fattore “C” in quanto l’esame si avviluppò attorno al pensiero di Gadamer: una figura immensa, grande filosofo, del quale ero appassionata ed avevo in precedenza approfondito la vita e trangugiate le opere.
Vorrei -non so se è off topic- riportare una bellissima immagine che l’autore descrisse in uno dei suoi tanti soggiorni in una città da lui definita incantevole e unica, una città portata, purtroppo alla ribalta mondiale per la monnezza: Napoli . Eccone un piccolo assaggio:
“” in uno dei quartieri popolari dove arrivai bighellonando vidi la seguente scena: da una stanza all’ultimo piano di un palazzo, si aprì una finestra e una vecchia signora calò una lunga fune con un cesto dal quale alcuni bambini che giocavano presero dei pupazzi ritagliati dalla carta colorata, con una gioia che mi commosse fino alle lacrime. Imparai che la povertà non esclude la gioia “. Convinto che ” l’intesa tra gli uomini avviene sulla base di un orizzonte comune che vive nella lingua che parliamo, e nei testi eminenti che costituiscono il patrimonio di questa lingua ” e che ” l’esperienza di verità si dà solo nel dialogo, in quella dialettica di domanda e risposta che alimenta il movimento circolare della comprensione ”
un abbraccio
Clodine, scrivi, per favore, la fonte dalla quale è tratta una tale meraviglia.
Ignigo, il brano riportato è tratto da una dispenza molto accurata di un centinaio di pagine che il professore di filosofia ci consegnò all’inizio del corso, ed è vecchia di una 15 d’anni. Però troverai di tutto di più, compreso questo stralcio che ho scritto nel post nel volume “Gadamer una biografia” ma ci sono altre opere fantastiche la più importante delle quali ” Verità e metodo” è considerata un classico. Se ti interessa posso suggerirti qualcosa..se lo desideri.
a proposito di manicomi, ricorre come noto il trentennale della legge 180.
(Basaglia, padre putativo di questo blog frequentato da folli cattivoni sconsacrati)
Tanto per restare in tema: ma lo sai cosa ho a portata di mano? La dispensa del prof di psicologia della religione indovina di cosa parla? dell’insieme degli archetipi dell’inconscio collettivo cui appartengono i concetti di PERSONA, ANIMA, ALTER-EGO o OMBRA, SE’.
” La PERSONA è l’archetipo che indica il ruolo assunto dai soggetti nelle situazioni sociali in cui essi si trovano ad agire.Essa corrisponde alle strategie messe in atto dagli individui per mantenere di fronte agli altri un’immagine di sé positiva e ottenere il successo all’interno della comunità, e consente al tempo stesso di custodire e proteggere la propria vita intima!
eh !! …cade come il cacio sui maccheroni….!
aaah, Clodine ha fatto l’esame col “prof. Palumbieri”… questo spiega molto, ahime’…e magari anche col “prof. Mantovani”, no? Le auguro di trovare qualche filosofo cristiano come si deve, dico sul serio.
bello il tizio qua sopra che dice che i cristiani devono sperare e non disperare, evitando parole “acide e accusatorie”, e poi e’ lui che manda a quel paese tutti quelli che non gli garbano, per far vedere quanto e’ vicino alla Plebe, poverino, si vergogna delle sue origini aristocratiche… Ma per piacere… qui c’e’ materia per uno psichiatra, altro che insulti a me!
Filosofia l’ho fatta con il professor don Adriano Alessi perché?
Iginio, ci conosciamo?
Per iginio:
e io sò marchese e tù nnooo, tiè tiè tiè.
Ma quando mai me ne sarei vergognato?
Per iginio:
(seconda puntata quiz)
io ho 34 anni, tu?
io faccio l’insegnante, tu?
Io vivo in Italia nella pianura padana, tu?
Io sono marchese, tu? No.
“Signori si nasce ! ..Ed io…lo nacqui!”
“…modestamente…”
che ci fosse materia per psichiatri, qui dentro, si era già detto mi pare… se nun so matti nun ce li volemo…
ps. altra citazione colta: “io so marchese e voi nun sete un c…o”
Iginio, quali sarebbero i filosofi cristiani “come si deve”? Recentemente ho ascoltato Virgilio Melchiorre (della Cattolica), Adriano Fabris (di Pisa), Luigi Alici (di Macerata, Presidente uscente dell’AC), Paola Ricci Sindoni (di Messina, mi pare) e li ho trovati molto validi e stimolanti.
stavo pensando… se mi dicessero vecchia lesbica pecorara, direi grazie!
M cos’è che ti lusingherebbe di più: vecchia, lesbica o pecorara?
io invece penso che prenderebbe d’aceto e …. perché sai ignigo com’è : genio e sgregolatezza ! …non sai mai come ti reagisce..eh..
: 0 potrebbe sorprenderci !
Se mi dicessero “vecchio frocio pecoraro” sarebbe il “pecoraro” a mandarmi al settimo cielo: perchè vecchio lo sono a evidenza e frocio mi parebbe ininfluente.