Qui si racconta di un travestito di grande vocazione “senza fissa dimora e senza pace”: è un angelo di luce ma appare a tutti come un angioletto nero, persino i bambini che hanno l’occhio puro lo scambiano per un pipistrello e i grandi neanche sospettano che si possa nascondere nel marocchino che vende fazzoletti di carta e rose bianche alla porta della chiesa. Il “gloria” in latino gli manda a fuoco la testa – ma non lo spoglia dei suoi travestimenti.. Non conosco romanza più seducente e trasversale di questi nostri giorni intricati tra l’invadenza degli immigrati e la tentazione del ritorno al latino, tra buoni che sembrano neri e cattivoni che candeggiano le vesti.
Elena Bono pubblica prose e poesie dal 1950, pratica anche il teatro, ha avuto tanti riconoscimenti ed è tradotta nel mondo ma io l’ho appena scoperta. Me ne ha parlato con contagiosa passione la collega Stefania Venturino che ho conosciuto durante le ore trascorse al centro stampa di Savona in occasione della visita del papa, sabato 17 maggio. Tutte le opere di Elena sono pubblicate dall’editrice Le Mani. La poesia che riporto nel primo commento a questo post è del 2002 ed è contenuta nel volume Poesie. Opera omnia, 2007.
Una nevosa sera di Natale
senza fissa dimora e senza pace
girovagava un angioletto nero
sempre in pianto e in affanno
non riuscendo a capire
come e perché
si fosse mai imbrancato
con gli angeli cattivi
nel maledetto dì della rivolta.
Gli angeli della luce lo schivavano
come fellone reo di tradimento.
I tenebrosi invece
gli davano la caccia
con bieco accanimento
per inforcarlo ed isquartarlo
come elemento inaffidabile.
Lui si rendeva inafferrabile
vagolando alla cieca
qual foglia al vento,
ora in questo ora in quel travestimento.
Sfinito, intirizzito, disperato
per non poter manco impiccarsi
né buttarsi giù in mare,
essendo – ahimé – immortale,
una sera nevosa di Natale
si travestì da marocchino
e si mise alla porta della chiesa
dei reverendi Padri Cappuccini
offrendo inutilmente
fazzoletti di carta
e certe rose bianche
rubacchiate qua e là
da serre e da negozi di fiorai.
Terminato il viavai,
accovacciato a terra lacrimava
sulle sue rose bianche
rubate inutilmente
e sull’animo duro
della cristiana gente –
ma quando organo e coro
intonarono il Gloria,
gli andò a fuoco la testa
e si precipitò dentro la chiesa,
volò d’un balzo al soffitto azzurrino
dipinto a stelle d’oro
cantando alla distesa
insieme al coro
in perfetto latino
“Gloria in excelsis Deo”
con quel che segue
di quel salmo divino.
Indi, confuso, spaventato si rifugiò
nella gran nicchia dell’Immacolata
sull’altare maggiore
e depose le rose
su quei piccoli piedi immacolati
che calpestavano il serpente
così serenamente.
“Un pipistrello, un pipistrello!”
strillò un bambino.
Ma nessuno lo vide.
Anche perché Maria
aprì il manto celeste e lo nascose
lui e le sue rose bianche.
Natale 2002
(da Poesie. Opera Omnia, di Elena Bono, editore Le Mani, pp. 444s)
Aspetto che qualcuno pubblichi i riferimenti al Denzinger, alle encicliche, ai concilii giù giù fino ad Origene sull’apocatastasi… 🙂
Bellissima poesia signor Luigi! Complimenti, neppure io conosco Elena Bono, ma appena posso comprerò la sua raccolta.
So che sarò tacciata di eccessivo sentimentalismo, ma vi assicuro che vedere il bliz notturno del Prenestino in una tv satellitare questa mattina mi ha messo addosso una tale tristezza e angoscia che ancora non mi riprendo. Questa poesia capita a proposito: mi sono sovvenute le immagini unite ad una pietas profondissima!
Capisco gli abitanti della zona, li capisco, so che sono esasperati ,disturbati dalla continua processione dei viados che fanno avanti e indietro senza veli e senza pudore, dallo sbeffeggiare dei protettori indegni, dalla fila dei clienti che disturbano in tutti i sensi..ma…
Ma quanto m’ha fatto brutto vedere quel razazzino dal corpo acerbo, vistosamente truccato con le gambette esili che uscivano da una succinta minigonna, il ciuffetto di capelli dal colore improbabile portati via a calci nel sedere, spinto, strattonato, esposto come un animaletto ferito alla berlina di tutti: chi lo schiaffeggiava, chi gli sputava, gli strappavano i capelli e i vestiti e gli strillavano:” Aaaa SSChifoso, maiale bastardone frociooo”…poi lo hanno, a forza, incastrato nella macchina e nell’infilarlo verso l’interno gli si è spaccato il sopracciglio. Piangeva , il trucco devastato. Che pena!!…una scena che mi ha dato un dolore infinito!
gli davano la caccia
con bieco accanimento
per inforcarlo ed isquartarlo
come elemento inaffidabile.
Luigi, che regalo è questo tuo! Grazie: è una torta fatta in casa, di quelle che raramente hai assaggiato, e anche se non riconosci con certezza gli ingredienti sai che la conosci e ne porti in cuore il profumo e il sapore inconfondibili. (Non sarà che siamo un po’ troppo iperdulici? Per quanto mi riguarda credo proprio che sia così).
Anch’io da qualche giorno ho scoperto una poesia: un poemetto, veramente. Mi piacerebbe ricambiare il tuo dono sussurrando qui, sul pianerottolo, qualche strofa a mo’ di assaggio.
All’inizio era solo la parola,
all’inizio era una parola sola.
L’inizio che iniziato trascolora
nel dubbio della fine che divora
l’oceano frammentato del creato
per una volta sola nominato
e nell’eterno poi moltiplicato
in mille forme d’altro rispecchiato.
L’inizio. La parola: vibrazione.
Un punto. Linee, sfere. Inclinazione
di atomi nella trasformazione
dal caos al cielo che diventa azione
e stasi, esilio e luce, migrazione
di particelle, geometria, alluvione
e siccità, la vita, e l’emozione
che sigla il ritmo della rotazione
terrestre (…)
(…) E dopo quella
parola che ogni cosa dimostrava,
parola che da secoli aspettava
lei, da millenni. Lei che così bella
le desse in questa terra nuova voce,
in lei non solo più parola: carne.
Che si potesse in questo mondo amarne
il volto nel mistero della croce.
(Aldo Nove, “Maria” (Einaudi, Torino, 2007, p.6)
Dinanzi a quelle parole in rima che diviene exultet degli ultimi,
le mie parole si spengono.
Ora percepisco il senso della festa del cuore misericordioso di Cristo e di quello di Maria.
Vien detto che taluni ci sorpasseranno nel Regno dei cieli,
e ho paura che io che mi son soffermato troppo a giudicare,
rimango ultimo,
e invano bussero’,
lo sposo già sarà arrivato, entrato.
Io rimarro’ fuori,
dentro,
la festa,
del banchetto celeste.
Gerusalemme sarà in festa,
gli ultimi e i perduti saranno stati ritrovati,
odor di vitelli inebrieranno l’aere,
coloro che parevano morti agli occhi degli uomini,
erano vivi agli occhi del Padrone di casa.
Grazie Luigi
Grazie Sump! Conoscevo Aldo Nove solo per recensioni. In vacanza leggero il poemetto che segnali. Appena ho letto quella poesia di Elena Bono alle parole “cantando alla distesa / in perfetto latino” ho pensato alla tua passione per il canto e per il latino.
E grazie a Maioba, a Clodine, a Matteo e a ognuno che apprezza la poesia che ho appeso stamane alla bacheca del pianerottolo.
Qui finisce che mi commuovo tutte le volte. Ci vuole moderazione 😉
Grazie Luigi per averci fatto rientrare nel senso della misura.
Gras, lo sai bene che la “moderazione” del padrone di casa è molto, molto … soft.
E cmq ne è passato di tempo da quando l’Aldo Nove se la prendeva con il nitore della poesia del medio Luzi.
Plaudo al novo Nove,
che riveste in modo rimario,
i singulti in ordine sparso
dell’ultimo metafisico Mario.
(…)
Adamo tentò sollevarsi con tutto il suo sforzo ma ricadde battendo il capo contro il petto di Abele; e il delicato petto tremò sotto la sua guancia: tristi lacrime allora caddero dagli occhi del padre nel sangue che il figlio continuava a versare dalla gola forata.
Dio guardò Adamo. «Vedo le tue lacrime», disse, «miste al sangue di tuo figlio. Non una lacrima è perduta per me, non una goccia di sangue. Fino a quando, Adamo, lotterai contro di me perché non renda giustizia?».
Adamo taceva ma il suo cuore era un mare di angoscia che urlava dalle sue profondità fino a Dio. Allora lo Spirito di Dio si turbò.
«Tu sei l’opera delle mie mani, ed ecco mi stai davanti come polvere, sangue e pianto. Sento il tuo cuore che grida fino a me».
«Perché mi hai creato?» chiese Adamo in mezzo al suo pianto.
Lo Spirito di Dio riguardò in se stesso e disse: «Io volevo contemplarmi nell’opera delle mie mani. Ho creato il cielo e la terra, il fuoco e le acque, ma in te ho posto il soffio della mia bocca, ho esultato nella vastità del tuo cuore. Io venivo a parlare con te solo in tutto l’universo. Tu solo, Adamo, eri la mia somiglianza».
«Tu mi hai tentato», disse Adamo, «tu, prima che la donna e il serpente. Perché mi hai tentato?».
«Adamo», gridò Dio, «io volevo il tuo spirito in ogni momento dei tempi. Non l’ho preso io, tuo Dio, volevo che tu me lo dessi, in ogni momento dei tempi».
Allora Dio e Adamo tacquero, e il loro cuore era pieno di dolore:
(…)
Elena Bono, da “La morte di Adamo” (Garzanti, Milano, 1956)
“Elena Bono è la più grande scrittrice italiana del dopoguerra, ma sono in pochi a saperlo. Dagli anni cinquanta e sessanta, quando insieme a Pasolini era la giovane autrice di punta della Garzanti, Elena Bono ha scritto romanzi, opere teatrali e poesie di straordinario valore che sono stati prima confinate ai margini della grande editoria e poi dimenticate. (…)
Elena Bono è autrice radicalmente cristiana che non solo si preoccupa di far spazio alla realtà, prestando ad essa la sua voce per manifestarsi, ma che segue il destino dei suoi personaggi fino al punto estremo in cui, inevitabilmente, sorgono le domande fondamentali sul senso della vita, del tempo, del dolore, del perdersi di ogni cosa e di quel desiderio fortissimo di salvezza che è alla base delle tensioni umane fondamentali. È grande letteratura, quindi, una parola che, sulle tracce di Dostojevskj o di T.S. Eliot, entra nelle pieghe dei comportamenti, delle parole e dei pensieri dei personaggi per mettere a nudo la profonda sofferenza e incompletezza che muove lo sguardo interiore di ogni uomo verso un luogo, di salvezza o di definitiva perdizione, in cui sciogliere il segreto dolore dell’essere al mondo.”
Stas’ Gawronski
Grazie per gli interventi bellissimi di tutti voi, grazie dott Luigi per questo momento di riflessione.
Un’altra bravissima è Alda Merini dai grandi occhi assenti, tragici, carichi di passione e di bontà. Una vita vissuta nella sofferenza, in una condizione di instabilità emotiva e profondità di pensiero che convivono nella stessa anima. Lo dimostrano l’ alternarsi di versi dalla bellezza vertiginosa, vere epifanie verbali, a letterine da scolaretta di terza media La sua poesia viene fuori da lei quasi a sua insaputa, come il gas solforoso dalle solfatare: immergi il bastone qui e sprizza fuori gas; lo immergi più in là e non viene fuori niente. A regolare il gioco sono le strutture sotterranee della sua psiche. Fin dall’adolescenza variamente turbata e spesso in cura da psichiatri: sicché quando stava male scriveva testi dal folgorante potere metaforico. Un’anima bellissima che ha saputo trasformare il dolore in profonda spiritualità e fiducioso e totale abbandono: molto amata da Dio!
Abbi pietà di me che sto lontana
che tremo del tuo futile abbandono,
tienimi come terra che pur piana
dia nella pace tutto il suo perdono
od anche come aperta meridiana
che dia suono dell’ora e dia frastuono,
abbi pietà di me miseramente
poichè ti amo tanto dolcemente.
Alda Merini
P.S
Chiedo scusa amici per le espresioni forti che ho riportato nel post di sopra, giusto per rendere l’idea della drammaticità delle immagini.
Luigi, mi hai fatto sobbalzare il cuore. Elena Bono mi ha sedotto qualche mese fa con questo verso – “tra i massimi del novecento” ha scritto Giovanni Casoli – con cui inizia la sua raccolta poetica: Così semplice era tutto: chiudere gli occhi e guardare
Le dedicai subito uno dei primi post del mio blog: http://alessandroiapino.blogspot.com/2007/10/chiudere-gli-occhi-e-guardare.html
Poi lessi finalmente le sue poesie e rimasi abbagliato dalla bellezza umile e potente dei suoi versi. In particolare, segnalo a tutti le sue raccolte dedicate alla Resistenza che sono a mia memoria la più grande poesia civile – e cristiana – che abbia mai letto. Questi, ad esempio, dedicati ad un giovanissimo partigiano ucciso, a me fanno tremare i polsi:
Nessun te l’ha detto
che un animo da re ci vuole
per entrare negli alti
palazzi della morte,
non da qualunque porta
alla rinfusa gettati
ma dalla grande entrata
a testa dritta
graziosamente
recando le ferite come fiori in dono
mentre il Signore si affretta all’incontro
giù per la scalea aprendo le braccia.
Nessuno te l’ha detto,
ragazzo di campagna.
Ma così tu sei entrato
Anch’io apprezzo molto i versi di Elena Bono: ne sentii recitare alcuni circa trent’anni fa… Non vedo la necessità di tirare in ballo il Denzinger e le encicliche: si tratta di forme diverse di comunicazione, ognuna delle quali ha la sua funzione ed il suo valore, senza negare le altre. La poesia, quando è profonda (come in questo caso) è più evocativa ed allusiva, per cui può aiutare più di un’enciclica ad avvicinare il non credente al Mistero. Ma questo non significa negare il valore dei dogmi e delle encicliche: l’uomo è fatto di cuore e di ragione, tra loro complementari, per cui non ha senso contrapporre queste due dimensioni.
Raffaele, la mia era una battuta… visto che la poesia parla di un diavoletto “redento”… certi incendiari in questo pianerottolo (me compreso), hanno la miccia sempre accesa… 🙂
Un abbraccio e buona domenica a tutti
Caro Maioba,
noi poveri presunti incendiari con la miccia accesa non siamo nemmeno lucciole: siamo – nel caso migliore – diavoletti da quattro soldi molto bisognosi di redenzione. La fiamma – l’unica al mondo, inestinguibile, abbagliante, infuocata – è quella che il “Gloria” scatena (il canto, la musica, il rito, la fede nel riscatto, il sacrificio “in mei memoriam”, la presenza viva e materiale di Cristo nell’ostia): lo credo bene che il diavoletto della poesia sente che gli va a fuoco la testa e si mette a volare. Certo, poi si tratta di non sprecarlo quel dono di Dio, quel lampo di luce, quel sentirsi sollevati da terra e attratti sulla Croce: il manto celeste di Maria Immacolata, ai cui piedi t’inginocchi, indirizza, rassicura, protegge. Anche dalla crudeltà inconsapevole del bambino (una volta tanto gli occhi, pur innocenti, sbagliano: il re non è nudo!).
Maioba, so che la tua era una battuta: ho colto le tue parole per tentare di chiarire a me stesso la commozione che da ieri mi dà un groppo alla gola.
Sto per andare in chiesa, a partecipare al sacrificio di Cristo; canterò il “Gloria” con uno spirito nuovo; non dimenticherò di pregare per Tommy. Un abbraccio.
“Poi lo hanno, a forza, incastrato nella macchina e nell’infilarlo verso l’interno gli si è spaccato il sopracciglio. Piangeva , il trucco devastato…”.
Cara Clodine, non ho visto il filmato cui ti riferisci, né lo cercherò in rete: mi basta la foto che i quotidiani hanno piazzato in bella evidenza qualche giorno fa: un ragazzino che si lasciava fare, strattonato e trattato da bestia, con gli occhi terrorizzati…
Stamattina, aspettando l’inizio della messa col messalino aperto, l’occhio mi è andato sull’antifona dell’offertorio della festa del Sacro Cuore. Ho pensato alle tue parole addolorate, agli occhi del ragazzino e allo sconforto di Gesù abbandonato e flagellato:
(Ps 68, 21) “Improperium exspectavit Cor meum, et miseriam: et sustinui qui simul mecum contristaretur et non fuit; consolantem me quaesivi, et non inveni”. Insulti e miserie piovvero addosso al mio povero Cuore in attesa: cercai con gli occhi qualcuno che mi compatisse, e non c’era; qualcuno che mi consolasse, e non lo trovai.
OFF-TOPIC
Scusate, ma desideravo salutare Luigi e tutti gli amici-amiche del pianerottolo.
Per alcuni giorni sarò in Spagna…Cuenca, per la precisione. Mi assento dal blog.
Auguro a tutti, BUONA SETTIMANA! Ci sentiamo al mio ritorno.
F.
Il mio incontro con l’opera di Elena Bono è stato e resta sempre per me “folgorante”: non un incontro intellettuale, ma essenzialmente personale ed esperienziale. I suoi libri, i suoi versi, i dialoghi di tanti suoi personaggi mi hanno guidata, arricchita, edificata, educata, commossa.
La sapienza è più grande del sapere. Elena Bono lo ha sperimentato perchè ha scritto “per obbedienza” non per compiacere sé stessa o i lettori. Per Elena lo scrivere non è la risposta ad un bisogno personale ma ad un “imperativo”, una risposta ad una vera e propria chiamata cui non ha potuto e voluto sottrarsi.
L’opera di Elena è certamente molto dotta, ma soprattutto sapiente perché è ispirata.
La parola, in lei, è dolorosamente accolta, faticosamente ricercata, religiosamente rispettata, umilmente riportata e teneramente amata.
Per chi volesse conoscerla meglio, ho pubblicato di recente “Il castello in fiamme e l’unguento della parola – Elena Bono e la sua opera” (Le Mani Ed. 2007), che raccoglie una ventina di preziose testimonianze da parte di registi, attori, uomini e donne di cultura, laici e religiosi che l’hanno conosciuta, nonché una nutrita sezione antologica (poesia, racconto, dramma) e di fotografie tratte dall’album di famiglia; il libro contiene anche un DVD, registrato a Chiavari, dove la Bono tutt’ora vive.
Sono lieta, Luigi, di averti fatto incontrare una poetessa di cui anche tu ti sei “innamorato”. Davvero belli anche i commenti di tutti voi.
Chiudo, nella odierna festa della Repubblica, con queste tre poesie composte dalla Bono poco dopo la grande guerra (e pubblicate nella raccolta Piccola Italia, 1981; e in Poesie Opera Omnia –Ed.Le Mani, 2007).
AH ITALIA ITALIA
Ah Italia Italia
mugnaia che macini male.
Tu che trattieni la pula
e getti via la farina….
EUROPA I
Per tutti è la battaglia. Eschilo
Le spalle al muro, combattiamo questa battaglia
Per i morti, i vivi e coloro che nasceranno.
Combattiamo per tutti anche per i nemici.
Se il destino è cadere, cadiamo da uomini
noi che dicemmo al mondo che cos’è l’uomo.
EUROPA II
Europa Europa non farti rapire dal toro,
guardalo negli occhi, Europa
non ti smarrire.
Nessuna bestia sopporta lo sguardo umano.
Tu hai occhi solari, Europa
anche se hai pianto.
Il mio benvenuto nel blog a Stefania Venturino e il mio nuovo grazie per avermi parlato di Elena Bono a Savona, mentre aspettavamo il papa.
Dott. Luigi e voi tutti, vi ho mai detto che da buon ambrosiano autentico non sono nato a Milano ma a Chiavari?
Elena Bono mi è molto cara, molto.
Scrivo da Chiavari, vengo da un pomeriggio passato con Elena. Era un mese che non la vedevo, così ci siamo aggiornati a vicenda e ho saputo della telefonata che ti ha fatto, Luigi, dopo aver saputo del tuo innamoramento.
Non vuol sapere di Internet né tantomeno di blog, ma l’amore sempre la cattura.
Capitò così anche con me nel giugno dell’88, quando ebbi a dichiararmi pubblicamente e quanto mai sfrontatamente con dei versi a lei dedicati, nel corso di una serata in suo onore. Nacque allora l’amicizia con Elena e con suo marito Gian Maria: dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo. Quando c’è.
Con loro si parlava del passaparola, che ancor oggi appare il modo prevalente con cui pian piano si allarga il cerchio dei lettori di Elena.
So di farle cosa gradita lasciando qui una sua poesia:
Lamento di David sul gigante ucciso.
La notte è troppo pesante sopra il mio capo
la luna non s’alza
non s’alza sulle colline,
io grido
e non mi risponde la terra di bronzo.
Ma ieri chiamavo la luna su quelle colline
e il giovane vento a giuocare
nella foresta
e i cani e le nuvole
l’acqua del fiume
ed il sonno.
Docile sonno, o mio agnello perduto
io non so dove.
Giuochi che David
non giuocherà mai più.
Se io fossi morto, mia madre
piangerebbe su di me,
s’io fossi ferito, qualcuno
laverebbe il mio sangue.
Non piange nessuno
se in qualche parte ho perduto
il mio vergine cuore;
se grondo del sangue di un altro
nessuno mi lava.
Tutti laggiù fanno festa,
io sono qui solo
con quello che ho ucciso.
Alzati, rosso gigante
ammucchiato ai miei piedi,
riprenditi il tuo respiro le cento teste
e l’ira e le armi di bronzo.
Ridammi la semplice fionda
e il mio cuore
il mio veloce cuore
in corsa sulle colline.
Tu non rispondi, gigante di bronzo.
Terra, tu non rispondi.
E sia pure così. E’ inutile gridare.
Dunque la luna ieri
non si alzava per me.
Pierluigi Valvesi benvenuto nel blog! Elena mi ha telefonato già due volte e si diverte molto quando io rido. Per me ridere al telefono è metà della conversazione e lei lo sa interpretare. Grazie della poesia, che ritrovo a p. 295 del volume Poesie. Opera omnia che ho in programma di leggere nelle prossime vacanze.
Luigi Accattori grazie per il benvenuto (se rivuoi la tua elle, ridammi la mia erre).
Docile sonno, o mio agnello perduto io non so dove, scrive Elena. E così io stanotte, svegliato dal ticchettio della pioggia sul tetto del camper, ripenso al poliziotto cui poche ore fa è toccato di uccidere un rapinatore e di arrestarne un altro in quel di Napoli, per poi scoprire che erano padre e figlio e che ben si conoscevano: il morto era il suo portiere, e col figlio abitava nel suo palazzo.
E il poliziotto? Un padre di famiglia, che si imbatte nella rapina mentre porta a spasso la figlia di 9 anni, la mette al sicuro e va in battaglia. Penso alla sua notte insonne, questa notte, e la accosto alla notte di David. Penso al morto all’obitorio e al figlio in galera, e tutti accosto all’invocazione che Elena mette in bocca a Giovanna d’Arco (p. 301 del volume Poesie. Opera omnia):
SANTA GIOVANNA
preghiera prima della battaglia,
Bel principe
signor San Michele,
prendete, ve ne prego, buona spada
e venite con me.
Questo è il campo
principe San Michele;
ora a voi il comandare
a noi il seguire.
Dovunque s’alzerà la vostra voce
noi saremo.
Breve è il tempo,
signor San Michele
e breve la preghiera,
ma una cosa vi voglio domandare.
Non ritornate questa sera
su nei vostri stellati accampamenti
senza per questo campo ripassare.
Quelli di noi che troverete
col viso nella terra
vi prego non voltate
se amico o se nemico
per vedere.
Nelle tende di Dio
conduceteci tutti a riposare.
Varvesi Varvesi Varvesi Varvesi Varvesi… e pensare che ci conosciamo, anche se non ci vediamo mai!
Dai, non fare così, ché non me la sono mica presa. Rieccoti la tua elle, caro Accattoli, e amici come prima anzi di più, visto che ci ritroviamo dopo quasi trent’anni non più come colleghi in sala stampa vaticana ma con un’amicizia in comune, e di quelle che affratellano.
Anzi, quanto ad Elena Bono ricordo che di avervi trovati rentrambi nella raccolta di testimonianze su papa Wojtila “l’uomo delle alte vette” curata dal vescovo di Sanremo Careggio, raccolta che tu stesso presentasti, se ben ricordo, poco più di un anno fa.
Segnalo sul web, tra le centinaia di link su di lei,
http://www.ilportoritrovato.net/html/elenabono1a.html
pagine curate da Rosa Elisa Giangoia con un Profilo bio-bibliografico, un’antologia poetica, un’antologia critica e un’intervista di Liliana Porro Andriuoli.
Propongo inoltre due video:
http://it.youtube.com/view_play_list?p=CD74067EF7504635
in cui Daniela Franchi legge la poesia “Delirio e pianto di Maria” e
http://video.google.it/videoplay?docid=1966538040450331090&hl=it
con la registrazione dello spettacolo “Le parole di Elena” con cui quest’anno i comuni del Levante Ligure Sestri, Chiavari e Lavagna hanno celebrato il 25 aprile. La registrazione è stata effettuata il 24 a Lavagna. Vi ho assistito anch’io e ho trovato particolarmente suggestiva la scelta di mettere in musica alcune delle poesie più belle di Elena ispirate alla resistenza.