Lettura vacanziera di luoghi mai visti e voglia di slanciarmi. La Camera d’Ambra del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo che ad entrarci era come tuffarsi nel miele e la Cappella della Pace sognata da Picasso a Vallauris in Costa Azzurra. E Isso, Tiro sull’isola, Alessandria nascente, Babilonia dove Dario ordinò il raduno dell’immenso esercito e ogni altra tappa della corsa del Macedone all’India, che inseguo nelle pagine di Curzio Rufo. Gaugamela dove Alessandro non si svegliava e dovettero scuoterlo: “E’ giorno fatto e il nemico ha mosso l’esercito”. Multa lux est: instructam aciem hostis admovit. Ma io sì che ero sveglio quella mattina.
Lettura di luoghi mai visti e voglia di partire
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Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt.
E anche: «tout le malheur des hommes vient d’une seule chose, qui est de ne savoir pas demeurer en repos dans une chambre».
Ancora Alessandro Magno ci fa sognare. Ma quello che ancora ci colpisce è il suo desiderio continuo di varcare il limite, di non accettare il limite delle cose. E alla fine rimase deluso.
Alessandro Magno come Ulisse. L’uomo che non ha tregua, che vuole nuove conoscenze, l’uomo che è sempre inquieto e non trova pace. Si viaggia in un mondo che mai è stato piccolo come oggi; altro che i confini oltrepassati da Alessandro! Quanti passi avanti da allora! E l’uomo resta sempre consapevolmente insoddisfatto, questo è il suo vero limite. C’è un modo per avere un po’ di pace? Alcuni grandi poeti del passato identificavano la pace col riposo eterno. Chi ha fede la vede nel riposo in Dio, ma tutti temiamo il passaggio estremo, quel confine ignoto che ci piace immaginare il più lontano possibile. Strano destino quello dell’uomo che, unico fra tutte le creature, lo conosce e, in alcuni casi, lo programma con una estrema lucidità.
Quando, da sopra al Campidoglio mi sorprendo ad osservare i Fori Romani, quella distesa di ruderi che si alterna a colonne imponenti, e l’occhio si posa sul tempio di Antonino e Faustina, o su quello del divo Romolo, sul Senato Romano,piuttosto che sull’Arco di Tito sotto il quale gli ebrei non sono mai passati per via del grande assedio e saccheggio del tempio di Gerusalemme in quel lontano 70d.c…e a destra le terme Traianee e più giù il Colosseo, e più su, il grande complesso severiano. Quando osservo questa città morta vengo assalita da un profondo senso di gratitudine, di rispetto per l’intrepida intelligenza di questi nostri predecessori e al contempo, quasi sotto l’effetto di una misteriosa malia mi ritrovo a riflettere sulla vacuità del tempo e di come, delle passate stagioni nulla resti su questa terra se non brandelli di una civiltà estinta. Nulla dei grandi imperi, delle gesta di grandi uomini che han fatto la storia resta. Anche del gran Macedone, III sec A.C, cosa di quel mondo cosmopolita, di quella globalizzazione che sotto il vessillo dell’unità tra i mondi, spiritualità- religiosità avrebbe dovuto dar vita ad un impero colossale all’insegna di un universalismo pacifista. Una politica, la sua, che si rivelò fallimentare, utopistica, come lo sarebbe oggi dopo 2300 anni, in cui lo stesso principio auspicato sta crollando miseramente, accortocciato su se stesso e noi con lui! Cos’è l’uomo su questa terra: nulla!! La terra continua ad spandersi, ad “espodere” a fare il suo perenne ciclo liberamente …e noi…siamo i suoi pidocchi! Solo i suoi pidocchi…
e come dice Marilisa: insoddisfatti…sicchè l’uomo su questa terra è un pidocchio insoddisfatto!
Dedicato a Clodine:
http://www.youtube.com/watch?v=zTL0NohzG2c&feature=related
” Non è per i re, o Lemuel, non è per i re bere vino né per gli alti funzionari [dire]: “Dov’è la bevanda inebriante?” perché non si beva e non si dimentichi ciò che è decretato e non si perverta la causa di qualche figlio di afflizione. 6 Date la bevanda inebriante a chi sta per perire e il vino a quelli che hanno l’anima amareggiata. 7 Beva e dimentichi la sua povertà, e non ricordi più il suo proprio affanno.” “Ecclesiaste 31.4-7)
“ Una moglie capace chi la può trovare? Il suo valore è molto maggiore di quello dei coralli.
In lei ha confidato il cuore del suo proprietario, e non manca alcun guadagno.
Essa lo ha compensato col bene, e non col male, tutti i giorni della propria vita.
Essa ha cercato la lana e il lino, e lavora a tutto ciò che è il diletto delle sue mani.
Ha mostrato d’essere come le navi di un commerciante. Da lontano porta il suo cibo.
Si leva inoltre mentre è ancora notte, e dà cibo alla sua casa e la prescritta porzione alle sue giovani.
Ha considerato un campo e lo ha ottenuto; dal frutto delle sue mani ha piantato una vigna.
Ha cinto i suoi fianchi di forza, e rinvigorisce le sue braccia.
Ha intuito che il suo commercio è buono; la sua lampada non si smorza di notte.
Ha steso le sue mani alla conocchia, e le sue proprie mani afferrano il fuso.
Ha allargato la palma della mano all’afflitto, e ha teso le mani al povero.
Non teme per la sua casa a causa della neve, poiché tutta la sua casa indossa doppie vesti.
Ha fatto per sé dei copriletto. La sua veste è di lino e di lana tinta di porpora rossiccia.
Il suo proprietario è uno noto alle porte, quando siede con gli anziani del paese.
Ha fatto pure sottovesti e si è messa a vender[le], e ha dato cinture ai trafficanti.
Forza e splendore sono la sua veste, e ride del giorno futuro.
Ha aperto la bocca nella sapienza, e la legge di amorevole benignità è sulla sua lingua.
Vigila su ciò che avviene nella sua casa, e non mangia il pane di pigrizia.
I suoi figli si sono levati e l’hanno dichiarata felice; il suo proprietario [si leva], e la loda.
Ci sono molte figlie che hanno mostrato capacità, ma tu, tu sei ascesa al di sopra di esse tutte.
L’attrattiva può essere falsa, e la bellezza può essere vana; [ma] la donna che teme Geova è quella che si procura lode.” (Ecclesiaste 31.10-30)
“Io stesso mi volsi, si volse anche il mio cuore, per conoscere e per esplorare e per cercare la sapienza e la ragione delle cose, e per conoscere la malvagità della stupidità e la stoltezza della pazzia; e trovavo: Più amara della morte [trovavo] la donna che è essa stessa reti da caccia e il cui cuore è reti a strascico [e] le cui mani sono ceppi. ( Eccelsiaste 7.25)
“C’è un modo per avere un po’ di pace? si che c’è ! basta non programmarlo con estrema lucidità !
“non siate mai ansiosi del domani, poiché il domani avrà le proprie ansietà. Basta a ciascun giorno il proprio male.” ( Matteo 6.34)
AHAHAHAH…..grazie Leonardo, quelle immagini han risvegliato il sacro fuoco di antica vestale che arde in me sotto le ceneri. A proposito di fuoco: che caldo!La sacra URBE è un enorma barbecue [40 gradi all’ombra] però, c’è sempre quel leggero venticello di ponente che solleva le vesti e ad ogni 100 metri una fontana d’acqua fresca, zampillante, friccicarella.
Ascolta questo sonetto del Belli, scritto tra il 1791 e il 1863 nel quale descrive la situazione politica dell’epoca, del tutto identica alla nostra attuale. Aveva un ben dire Gioacchino da Fiore sui corsi e ricorsi storici.
Mentre ch’er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che sò finiti li mijioni
pe turà un deficit de la Madonna
Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l’atenei nun c’hanno più quadrini
pè la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi
Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni sò sempre ppiù basse
Una luce s’è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano.
A noi ce sarveranno le mignotte
Ah si avevo dimenticato il Grande Macedone:
“E io, da parte mia, continuai a considerare, ed ecco, un capro veniva dal ponente sulla superficie dell’intera terra, e non toccava la terra. E riguardo al capro, aveva fra gli occhi un corno notevole. E continuò a venire fino al montone che aveva le due corna, che io avevo visto stare davanti al corso d’acqua; e venne correndo verso di esso nel suo poderoso furore….E il capro, da parte sua, si diede grandi arie fino all’estremo; ma appena fu divenuto potente, il grande corno si ruppe, e invece d’esso ne crescevano notevolmente quattro, verso i quattro venti dei cieli…..E udivo la voce di un uomo terreno in mezzo all’Ulai, e chiamava e diceva: “Gabriele, fa comprendere a quello lì la cosa vista”…E proseguì, dicendo: “Ecco, ti faccio conoscere ciò che avverrà nella parte finale della denuncia, perché è per il tempo fissato della fine. “Il montone che hai visto possedere le due corna [rappresenta] i re di Media e di Persia. E il capro peloso [rappresenta] il re di Grecia; e in quanto al grande corno che era fra i suoi occhi, [rappresenta] il primo re. Ed essendo quello stato rotto, così che quattro infine sorsero invece d’esso, dalla [sua] nazione sorgeranno quattro regni, ma non con la sua potenza.” (Daniele 5.5-22)
Wikipedia “In soli dodici anni conquistò l’intero Impero Persiano, dall’Asia Minore all’Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Morì a Babilonia nel mese di daisios (targelione) del 323 a.C., ….Dopo la sua morte l’impero macedone fu suddiviso tra i 4 generali che lo avevano accompagnato nelle sue spedizioni e si costituirono i regni ellenistici, tra cui quello tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria, Asia Minore e negli altri territori orientali.”
Come faceva a saperlo Gabriele ?
Ho dimenticato (Daniele 8.5-22)
No, Clodine, pidocchi no, per favore….
Nel Romanzo di Alessandro (II, 41), un testo tardo – antico, si immagina che il re macedone decida di esplorare il cielo, legandosi a due grandi e mostruosi uccelli, e che esprima queste considerazioni:
“Continuavo a ripensare tra me e me, se davvero era là il confine del mondo, dove il cielo si appoggia sulla terra: decisi allora di indagare per sapere la verità”.
E l’avventura così continua:
“Io mi sporgo, pieno di paura, e vedo un grande serpente arrotolato, e in mezzo alle sue spire un piccolissimo disco. E quell’essere che mi era venuto incontro (per invitarlo a tornare indietro) mi dice: “Punta la lancia nel disco, tra le spire del serpente, perché quello è il cosmo e il serpente è il mare che circonda la terra” (traduzione M. Centanni).
Anche dopo tanti secoli non possiamo sottrarci alla magia di questo racconto. L’universo è immenso, la terra piccola, una piccola aia (una aiola) che pure è continuamente agitata da drammi senza fine e problemi incommensurabili..
Antonella Lignani immagino che la prossima estate leggerò Il Romanzo di Alessandro Magno. Ma ho una domanda per te: come mai Curzio Rufo – che a me pare ottimo scrittore – è così poco nominato? Sto leggendo Le Historiae Alexandri Magni Macedonis (Storie di Alessandro Magno) aiutandomi con la traduzione a fronte di Giovanni Porta (BUR 2005) e la sua prosa mi pare degna di quella di Tito Livio.
Multitudo inundaverat campos: Una marea di soldati era dilagata per la campagna.
Ancora Antonella e Curzio.
Hoc modo instructo exercitu ac perarmato Babylone copias movit. A parte dextra erat Tigris, nobilis fluvius, laevam tegebat Euphrates, agmen mesopotamiae campos impleverat:
Con l’esercito equipaggiato in tal modo e accuratamente armato, Dario mosse i suoi effettivi da Babilonia. Sul settore destro v’era il célèbre fiume Tigri, quello sinistro lo copriva l’Eufrate. Le truppe in marcia avevano gremito le piane della Mesopotamia.
Sono ammirato dei campi lunghi di Curzio Rufo.
Vedo con piacere, caro Luigi, che ti stai dando al latino! Curzio Rufo ha avuto molta fortuna nel Medioevo, e vi si è ispirato anche Gautier de Chatillon per il suo poema Alexandreis. Perchè ora è menp nominato? Forse perché la fama di Plutarco ha in qualche modo oscurato la sua opera. E poi in fondo ognuno ama rappresentarsi Alessandro come avrebbe voluto che fosse.
Sempre in estate leggo un autore greco e uno latino. Il greco di quest’anno è un volume delle VITE PARALLELE di Plutarco: DEMOSTENE E CICERONE. Il volume ALESSANDRO E CESARE letto l’anno scorso mi aveva portato a Curzio Rufo.
Però questi antichi erano proprio “forti”. E sempre più bello mi sembra il discorso di Oaolo all’Areopago di Atene.
Paolo, san Paolo, naturalmente!
Mi permetto di segnalare a Luigi e a tutti voi che è stato pubblicato pochi giorni fa dalla Dehoniana libri un libro dedicato alla cara memoria di un prete bolognese, don Antonio Pullega: “Oltre la storia, oltre la memoria. Esperienze pastorali del dopo Concilio…”, curato da Roberto e Grazia Cazzola e dal sottoscritto.
Giusto per restare in tema : ai musei capitolini c’è il monumento sepolcrale di due tra gli ultimi rappresentanti del paganesimo, il console Pretestato e la moglie Paolina, morti nel 384 e 385 dell’era volgare.I due coniugi si rivolgono a vicenda alcuni. Lui dice a lei: “dedita ai templi e amica dei Numi, pudica, fedele, pura nella mente e nel corpo, benigna a tutti, utile ai Penati”; lei esalta lui identificandolo con uno dei dodici dèi del culto romano [ il numen multiplex del dio unico, il Sole, il Zeus pater] e gli chiede di mostrargli “la via che porta su, verso la divinità”. Credo che la religiosità romana fu molto più tollerante, pur nel suo politeismo, rispetto al monoteismo. Tolto il sacrificio delle vestali per inadempienze rispetto al rito, Plinio il vecchio, già nel 287 a.C. ci narra i romani, primi tra tutti i popoli, nell’emendare l’antica legge delle XII Tavole, che abolisce “quei sacrifici mostruosi nei quali era considerato cosa religiosissima uccidere un uomo” (ne homo immolaretur), condannarlo x motivi religiosi è aberrante! Tolleranza testimoniata anche da iscrizioni greche ed ebraiche dove si legge che “non solo venerano i loro dèi, ma accolgono con anche maggiori onori gli dèi degli altri”.Lucrezio invoca Venere quale immagine della rigogliosa natura, e denuncia ogni mentalità religiosa, al punto di esclamare: “Quanti mali la religione poté persuadere!”; e laicamente pensava: “Dio è che il mortale aiuti il mortale, e questa è la via verso l’eterna gloria”. E che dire di Virgilio, col suo evocare lo Spiritus vivificante e la mens che “diffusa per le membra, agita l’intera mole e si confonde con gran corpo”. O a Ovidio, che all’inizio del gran poema sulle Metamorfosi, capolavoro del politeismo, ripercorre i due miti orientali delle origini con formulazioni identiche a quelle della Genesi biblica. E Seneca? Con la sua riflessione morale, alta indagine interiore della coscienza, che gli stessi cristiani vollero accaparrarsi? Oppure Cicerone: disposto a credere negli dèi e in un cielo per le anime grandi (si quis piorum manibus locus…) e respinge gli aruspici. Religiosità, dunque, solo in quanto rispetto per la tradizione mentre trovano incomprensibile il settarismo, lo stesso Plinio il vecchio, accomuna la religione di Mosè ad una “sètta magica”, parla degli ebrei come di “un popolo insigne per il suo disprezzo verso gli dèi”; Svetonio li descrive come di “una razza di gente di una nuova e malefica superstizione”; Tacito di “un popolo incline alla superstizione e contrario alle religioni”, che “nella sua ostinazione religiosa e nel suo odio accanito verso tutti… considera empio tutto ciò che da noi è sacro… disprezza gli dèi e ha a vile la patria”. Perciò, non fu Roma e il paganesimo intollerante, ma il monoteismo ebraico, che esalta un Dio geloso e guerriero!
Grazie per la segnalazione Raffaele. Se è stato pubblicato è già sugli scaffali credo. Vorrò senza indugio leggerlo…
Un caro saluto!
Clo
Nell’ interessante scritto di Clodine mi ha colpito quanto riferito su Lucrezio, cioè quel “Dio è che il mortale aiuti il mortale, e questa è la via verso l’eterna gloria”. A ben guardare è una straordinaria intuizione della carità cristianamente intesa. Per dire che nella religione di ogni tempo e di tutti i popoli è possibile trovare i semi di Dio, cosa di cui sono convinta più che mai. E a questo punto mi rifaccio all’ultima frase di Clodine: il monoteismo ebraico esalta un Dio geloso e guerriero.
Dobbiamo tener presente che il popolo ebraico fu quello, “privilegiato”, a cui Dio si rivelò per la prima volta come puro spirito; una novità assoluta dalla quale fu possibile arrivare a parlare dell’ unico Dio di tutti. Il monoteismo degli ebrei fu l’unica grande prerogativa di questo popolo fra quelli del Vicino Oriente, che si distinguevano ciascuno per qualche particolarità (scrittura, commercio, politica di guerra etc…). “Geloso” è da intendersi nel senso che questo Dio, così diverso da tutti gli altri nei quali gli uomini avevano creduto, non voleva che alcun altro dio fosse considerato superiore e fosse adorato ( non avrai altro Dio all’infuori di me). “Guerriero” perché la terra ( terra di Canaan-Palestina) nella quale gli ebrei si stanziarono conobbe molte guerre per il suo possesso, proprio come anche oggi avviene. E noi conosciamo dall’A.T. che Dio, prima della venuta fra noi di Gesù Cristo, si manifestava attraverso la specificità della storia di quel popolo perché lo accompagnava concretamente. È il motivo per cui non dobbiamo stupirci del fatto che nell’A.T. si parla di guerre e di un Dio più “guerriero” e giustiziere che compassionevole e misericordioso. La Bibbia è sostanzialmente la storia degli interventi di Dio per salvare il “suo” popolo.
Osea 2,16-25
Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acòr
in porta di speranza.
Là canterà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d’Egitto.
E avverrà in quel giorno
– oracolo del Signore – mi chiamerai: Marito mio,
e non mi chiamerai più: Mio padrone.
Le toglierò dalla bocca
i nomi dei Baal,
che non saranno più ricordati.
In quel tempo farò per loro un’alleanza
con le bestie della terra
e gli uccelli del cielo
e con i rettili del suolo;
arco e spada e guerra
eliminerò dal paese;
e li farò riposare tranquilli.
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nella benevolenza e nell’amore,
ti fidanzerò con me nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore.
E avverrà in quel giorno
– oracolo del Signore –
io risponderò al cielo
ed esso risponderà alla terra;
la terra risponderà con il grano,
il vino nuovo e l’olio
e questi risponderanno a Izreèl.
Io li seminerò di nuovo per me nel paese
e amerò Non-amata;
e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio,
ed egli mi dirà: Mio Dio.
(VIII sec. a.C.)
Potendo, consiglio vivamente una visita alla Cappella della Pace di Picasso a Vallauris, in Costa Azzurra:è una esperienza “potente” che resta dentro per la vita.
Inoltre, il paese di Vallauris è piccolino, ben attrezzato e non costa come le città del circondario.
“Ma io sì che ero sveglio quella mattina”
Che cosa intendi con questa frase, Luigi?
A chi ti riferisci? A quali nemici ti riferisci? A quale mattina?
Non so perchè, ma non credo tu abbia voluto “solamente” condividere le tue letture vacanziere … L’ultima frase del post è un po’ sibillina-
Lieto che abbia citato Osea, mi permetto aggiungere qualche ulteriore spiegazione:
“e questi risponderanno a Izreèl.” – Izreèl [Dio seminerà seme] ma è anche il nome della città natale di Ahionam moglie di Davide, nonché nome profetico del figlio di Osea.
Nella seconda metà del X secolo a.E.V. Izreel fu la residenza reale di Acab re di Israele e di suo figlio e suo successore Ieoram,10° re del regno settentrionale anche se la capitale era in effetti Samaria. (1Re 18:45, 46; 21:1; 2Re 8:29)
Nella vigna di Nabot vicino al palazzo reale di Izreel, il profeta Elia pronunciò il giudizio di Geova contro la casa di Acab. (1Re 21:17-29) La profezia si adempì: Ieu (figlio del RE Giosafat – Regno di Giuda) uccise il figlio di Acab, il re Ieoram, e ne fece gettare il cadavere nel campo di Nabot. Izebel, moglie di Acab, fu precipitata da una finestra per ordine di Ieu e venne divorata dai cani randagi di Izreel. Le teste dei 70 figli di Acab, messi a morte dai loro educatori a Samaria, furono ammassate in due mucchi alla porta di Izreel. Non scampò nessuno degli uomini preminenti, dei conoscenti e dei sacerdoti di Acab a Izreel. — 2Re 9:22-37; 10:5-11.
Il nome profetico Izreel, che Geova disse a Osea di mettere al figlio avuto da Gomer, additava un futuro giudizio contro la casa di Ieu. La resa dei conti per la casa di Ieu venne quando Zaccaria, discendente di Ieu, fu assassinato dopo sei mesi di regno, e il suo assassino, Sallum, usurpò il trono. (2Re 15:8-10) Così finì la dinastia di Ieu. Circa 50 anni dopo, nel 740 a.E.V., quando il regno settentrionale si arrese all’Assiria e i suoi abitanti furono esiliati, il dominio regale della casa di Israele cessò del tutto. Allora “l’arco d’Israele”, cioè la sua potenza militare, fu definitivamente spezzato. La profezia aveva indicato che ciò sarebbe avvenuto nel bassopiano di Izreel, forse perché là gli assiri riportarono una vittoria decisiva. — Os 1:4, 5.
Tuttavia, per mezzo del profeta Osea, Geova aveva indicato anche un significato favorevole del nome Izreel. Radunando di nuovo un rimanente di Israele e di Giuda e riportando il suo popolo nella loro terra, Geova avrebbe seminato seme, nel senso che li avrebbe fatti moltiplicare. — Os 1:11; 2:21-23; cfr. Zac 10:8-10.
Un po’ complesso ma chiarisce il senso della profezia che ebbe un adempimento in quel tempo ma ne avrà anche un altro nel futuro.
“Ma io sì che ero sveglio quella mattina”
Che cosa intendi con questa frase, Luigi?
A chi ti riferisci? A quali nemici ti riferisci? A quale mattina?
Non so perchè, ma non credo tu abbia voluto “solamente” condividere le tue letture vacanziere … L’ultima frase del post è un po’ sibillina.
@ Marilisa
mi congratulo con la sua eccellente spiegazione sull’A.T.
“La Bibbia è sostanzialmente la storia degli interventi di Dio per salvare il “suo” popolo.”
E’ ancora così, “Poiché io sono Geova; non sono cambiato E voi siete figli di Giacobbe; non siete giunti alla vostra fine. “ Malachia 3.6
““Io, Geova, il Primo; e con gli ultimi sono lo stesso”. Isaia 41.4
“Voi siete i miei testimoni”, è l’espressione di Geova, “pure il mio servitore che io ho scelto, ” ( Isaia 43.10)- “ quelli che portano il mio nome “ ( Isa 43.7)
Scusate il doppio insierimento, ma non è colpa mia …
Scusate il doppio inserimento, ma non è colpa mia …
Sì, Clodine, il libro è già disponibile in libreria, perlomeno a bologna. Ma non aspettarti troppo: è un libro divulgativo, un omaggio affettuoso ad una cara figura, non un testo “scientifico”…
E’ ciò di cui ho bisogno in questo momento caro Raffaele! Sono certa che è bellissimo!
La Cina perseguita la Chiesa. Il Vaticano risponde con un blog!
http://www.corriere.it/esteri/11_luglio_13/cina-blog-vescovi_1adcc35c-ad81-11e0-83b2-951b61194bdf.shtml
Purtroppo questi cinesi per una loro “forma mentis”, o meglio, per l’atavica formazione monolitica inculcata dal Partito comunista inquadrano tutto, perfino la religione, come una questione privata, che appartiene esclusivamente alla loro visione delle cose e del mondo completamente scevri da sentimenti di obbedienza o subordinanza circa eventuali regolamenti canonici dei quali se ne fottono completamente.Motivo per il quale lo stesso culto cattolico [che ha una sua gerarchia,sue proprie tradizioni millenarie dalle quali non si prescinde] diventando anch’esso parte di una organizzazione strettamente controllata alla quale non si sentono più di aderire, a loro preme che si costituisca una chiesa in loco, di stampo patriottico, una celluka impazzita insomma! Questi sono fuori completamente! Lo stesso clero, elude disobbedisce, irrita moltissimo la Chiesa cattolica la quale si ritroverà a dover affrontare presto o tardi uno scisma. Ma, del resto, non era una novità, mai furono idilliaci i rapporti con la Cina. Nel 51 per via delle persecuzioni cui erano sottoposti i cristiani cinesi, ed ora -peggio che andare di notte- per 40 ordinazioni di vescovi senza il permesso del Papa…ma roba da matti veramente! .
A proposito del mio omomino mi è venuta in mente una poesia di Pascoli che lessi molti anni fa e che molti di voi conosceranno già. Ve la riporto comunque.
I
Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla!
Non altra terra se non là, nell’aria,
quella che in mezzo del brocchier vi brilla,
o Pezetèri: errante e solitaria
terra, inaccessa. Dall’ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria,
l’ultimo fiume Oceano senz’onda.
O venuti dall’Haemo e dal Carmelo,
ecco, la terra sfuma e si profonda
dentro la notte fulgida del cielo.
II
Fiumane che passai! voi la foresta
immota nella chiara acqua portate,
portate il cupo mormorìo, che resta.
Montagne che varcai! dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidïate.
Azzurri, come il cielo, come il mare,
o monti! o fiumi! era miglior pensiero
ristare, non guardare oltre, sognare:
il sogno è l’infinita ombra del Vero.
III
Oh! più felice, quanto più cammino
m’era d’innanzi; quanto più cimenti,
quanto più dubbi, quanto più destino!
Ad Isso, quando divampava ai vènti
notturno il campo, con le mille schiere,
e i carri oscuri e gl’infiniti armenti.
A Pella! quando nelle lunghe sere
inseguivamo, o mio Capo di toro,
il sole; il sole che tra selve nere,
sempre più lungi, ardea come un tesoro.
IV
Figlio d’Amynta! io non sapea di meta
allor che mossi. Un nomo di tra le are
intonava Timotheo, l’auleta:
soffio possente d’un fatale andare,
oltre la morte; e m’è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.
O squillo acuto, o spirito possente,
che passi in alto e gridi, che ti segua!
ma questo è il Fine, è l’Oceano, il Niente…
e il canto passa ed oltre noi dilegua.
V
E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall’occhio nero come morte;
piange dall’occhio azzurro come cielo.
Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell’occhio nero lo sperar, più vano;
nell’occhio azzurro il desiar, più forte.
Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell’immenso piano,
come trotto di mandre d’elefanti.
VI
In tanto nell’Epiro aspra e montana
filano le sue vergini sorelle
pel dolce Assente la milesia lana.
A tarda notte, tra le industri ancelle,
torcono il fuso con le ceree dita;
e il vento passa e passano le stelle.
Olympiàs in un sogno smarrita
ascolta il lungo favellìo d’un fonte,
ascolta nella cava ombra infinita
le grandi quercie bisbigliar sul monte.
@ Clodine
perchè pensa che sia opportuno imporre le proprie regole in casa d’altri ?
Se in casa d’altri le abitudini non piacciono non ci si va o se ci si va non ci si lamenta se non agiscono in conformità. Non le pare ? Perchè ritiene che chi abusa dell’ospitalità debba dettare le regole ?
Ma forse non essendo cattolico ragiono al rovescio.
Sì, Alexandros, il poemetto di Pascoli è veramente splendido. “E così piange, poi che giunse anelo … “. Gli antichi non avevano questa sensibilità, ma ci hanno lasciato un mito, quello di Alessandro, che non cessa di produrre sempre nuove commozioni.
Per Alexandros a riguardo del suo omonimo e di quanto immagina il Pascoli della lana che le “vergini sorelle” filano per lui in Macedonia mentr’egli si indirizza ai confini del mondo: “Alessandro si recò dunque personalmente da Sisigambi [mamma di Dario, sua prigioniera] e le parlò: Madre, nel vestito che io indosso, tu puoi vedere non solamente un regalo, ma anche un capo lavorato dalle mie sorelle” (Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno a cura di Giovanni Porta, Bur 2005, p. 455).
Grazie Luigi dell’estratto. E’ bello immaginare anche la quotidianità dei grandi personaggi storici e constatare come i sentimenti degli uomini, pur nel trascorrere dei secoli, non mutano.