Uomini di Dio come uccelli sul ramo

Ho visto il film UOMINI DI DIO del regista francese Xavier Beauvois – vedi post del 22 ottobre – ed è stata una felicità e quasi una preghiera. Ma anche un pianto, con l’anima che faceva la spola tra l’Atlas e Baghdad, tra i sette monaci algerini e i 46 martiri iracheni della messa di Ognissanti. La sequenza più coinvolgente: quando i monaci cantano sotto il rombo dell’elicottero. Le parole da ricordare: “Siamo come uccelli sul ramo”, dette da uno dei monaci alla gente del villaggio che li implora di restare. Le immagini che porto con me: i volti e gli occhi dei monaci nelle scene finali, precedenti la cattura. [Segue nel primo commento]

18 Comments

  1. Luigi Accattoli

    [Segue dal post] Mi ero preparato a vedere il film leggendo gli scritti dei monaci contenuti nel volume PIU’ FORTI DELL’ODIO, edizioni Qiqaion, a cura di Guido Dotti ed Enzo Bianchi, che era stato pubblicato già nel 1996 e che è stato ripubblicato ora con una nuova prefazione. Scrive Bianchi in essa: “Oggi, quando molti pensano all’islam come nemico, il gesto di chi si lascia sgozzare amando il proprio carnefice è l’estremo rifiuto della logica dell’inimicizia, è l’unico atto che può porre fine alla catena delle rivalse e delle vendette, è ‘il caso serio’ del cristianesimo. Gli scritti dei sette monaci e il loro martirio ci testimoniano come un cristianesimo apparentemente incapace di comunicare agli uomini d’oggi ritrova la forza di suscitare domande e di inquietare le coscienze”.

    5 Novembre, 2010 - 9:57
  2. Marcello

    Bellissimo film.

    A me ha colpito un dialogo tra Padre Christian, il superiore, e Padre Christophe, il più giovane e quello che più lentamente si convince dell’importanza di non lasciare il monastero.

    Vado a memoria:

    Padre Christophe: “A che serve donare la propria vita? Per cosa? Per la gloria?”
    Padre Christian “No. La vita si dona solo per amore. E in ogni caso, tu la tua l’hai già donata. Quando ti sei fatto monaco”

    Disarmante. Nel senso letterale del termine. E’ lo spirito del Vangelo.

    5 Novembre, 2010 - 10:16
  3. Già, i monaci. Penso a loro, a questireligiosi che donano la loro vita per noi nei monasteri. Grandi uomini e grande spiritualità. Poichè è lo spirito ed il silenzio che bisogna coltivare per essere immersi nel Mistero di Dio.
    E grande è ciò che ottengono dal Padre per l’umanità.
    Giorni fa pubblicavo questo sul mio inutile blog, e propongo un estratto:

    “Diceva san Francesco ai suoi frati: «Coloro che antepongono la scienza alla santità, non prospereranno; e sono servi della menzogna coloro che amano la lode degli uomini. Ma Dio è verità e manderà in rovina gli adoratori della menzogna».

    Vedendo per grazia dello Spirito Santo le cose future, diceva: «I frati, a motivo della predicazione e della edificazione degli altri, abbandoneranno la loro vocazione, e cioè la pura e santa semplicità, la santa orazione, l’umiltà e la nostra signora santa povertà. Ma avverrà ad essi che, per quelle cose attraverso le quali pensavano di infiammarsi alla devozione e all’amore di Dio, per le stesse diventeranno frigidi e vuoti di carità. E così non potranno ritornare alla loro vocazione, avendo perduto ormai il tempo di vivere secondo la loro vocazione, e c’è da temere che quanto credevano di possedere, sia loro tolto e si trovino con le mani vuote nel giorno della tribolazione. Invero, quelli che essi credono di convertire a Dio con le loro prediche, sono invece convertiti al Signore dalle preghiere dei santi frati, che in luoghi deserti piangono i peccati loro e degli altri. Infatti solo ai veri frati minori è dato da Cristo di conoscere i misteri di Dio, agli altri solo mediante parabole (cf. Mc 4,11; Lc 8,10). Ma sono tanti coloro che volentieri accedono alla scienza, che sarà beato colui che si farà sterile per amore del Signore Dio».

    5 Novembre, 2010 - 11:55
  4. Gerry

    Volevo postarvi, senza commenti inutili, il testamento spirituale del Padre Christian de Chergé:

    Quando si profila un ad-Dio
    Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.
    Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di tale offerta ? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
    La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
    Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
    Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.
    Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la “grazia del martirio”, il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam.
    So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.
    L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa; sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
    Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: “Dica adesso quel che ne pensa!”. Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.
    Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.
    Di questa vita perduta, totalmente mia, et totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.
    In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
    E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
    Insc’Allah

    Algeri, 1º dicembre 1993
    Tibhirine, 1º gennaio 1994

    5 Novembre, 2010 - 12:14
  5. discepolo

    Bellissimo film.
    e le parole del monaco “siamo come uccelli sul ramo” mi ha fatto venire in mente chissà perchè la poesia di Ungaretti

    si sta come
    d’autunno
    sugli alberi
    le foglie

    5 Novembre, 2010 - 12:21
  6. Bellissimo.
    La mano che scrisse era di uomo, lo Spirito che la guidò è di Dio palesemente.
    Senza il serbatoi di preghiera e di spiritualità di monaci e monache saremmo perduti.
    “Per amore di quei giusti” l’umanità può cavarsela ancora.

    5 Novembre, 2010 - 12:23
  7. discepolo

    Anche se, ovviamente, la poesia di Ungaretti parla di disperazione
    perchè le foglie secche si disperdono nel vento, mentre le parole del monaco parlano di speranza perchè gli uccelli sul ramo, volano nel cielo come gli Angeli…
    tuttavia tra speranza assoluta e disperazione assoluta , tra pessimismo e misticismo non c’è forse questa gran distanza, ma una dialettica necessaria.

    5 Novembre, 2010 - 12:27
  8. discepolo

    Sempre di Ungaretti:

    Eterno

    Fra un fiore colto e l’altro donato
    l’inesprimibile nulla.

    5 Novembre, 2010 - 12:32
  9. marta09

    Davanti a questi martiri (di tutti i secoli e di ogni genere di martirio) non è certo odio e desiderio di vendetta ciò che nasce in me, ma il dolore e lo sgomento di chi si chiede:
    “Ma cosa è successo a quegli uomini, come noi, come tutti, per diventare così duri davanti all’amore incarnato e per nulla interessato, totalmente umano con nessun risvolto “politico”? Cosa è successo a loro? Cosa li ha portati ad un odio cosi gratuito come è gratuito il bene?”

    Sembra impossibile che il bene stuzzichi il male, pare impensabile eppure è sempre successo … ma perchè?
    Non c’è logica nell’odio e nella strage, non c’è la minima logica.

    5 Novembre, 2010 - 17:56
  10. roberto 55

    Non sono riuscito ancora ad andare a vedere il film: spero di farcela la prossima settimana.
    Sono, però, contento che se ne parli, qui tra noi, nel “pianerottolo”: francamente, non riuscivo molto a sopportare (e l’ho manifestato, forse, un pò troppo rumorosamente, e me ne scuso) che tra i nostri argomenti di dibattito comparisse Lele Morta ………………

    Buona notte a tutti.

    Roberto 55

    5 Novembre, 2010 - 22:19
  11. roberto 55

    …………………. ops ! “Lele Mora” e non “Lele Morta” ……………….
    Buon sabato.

    Roberto 55

    5 Novembre, 2010 - 22:20
  12. Syriacus

    [ Presente anche nel Messale paolino del 1970 , Messa dei Santi Innocenti :

    ” Salmo responsoriale

    Sal 123

    Chi dona la sua vita risorge nel Signore.

    Se il Signore non fosse stato per noi,
    quando eravamo assaliti,
    allora ci avrebbero inghiottiti vivi,
    quando divampò contro di noi la loro collera.

    Allora le acque ci avrebbero travolti,
    un torrente ci avrebbe sommersi;
    allora ci avrebbero sommersi
    acque impetuose.

    Siamo stati liberati come un passero
    dal laccio dei cacciatori.
    Il nostro aiuto è nel nome del Signore:
    egli ha fatto cielo e terra.

    Canto al Vangelo

    Alleluia, alleluia.
    Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore;
    ti acclama la candida schiera dei martiri.
    Alleluia. ” ]

    6 Novembre, 2010 - 1:51
  13. lycopodium

    “Grazie anche a te, amico dell’ultima ora, perchè non sai quello che fai”.
    Splendida questa finale identificazione con il Crocifisso.
    Ma è vero, paradossalmente, un po’ anche il “contrario”. L’odium fidei è esso stesso una testimonianza. [E’ un po’ che ci rifletto ecerco, invano, qualche feedback qui…]
    Ottimo l’accostamento di Syr, è di pochi giorni il link tra Ognissanti e Santi Innocenti.

    6 Novembre, 2010 - 6:23
  14. marta09

    Mi sto chiedendo se mai qualcuno si è accorto che “Dieu”, nel titolo del film, è stato scritto al plurale (Dieux) e che prima di “hommes” e “Dieux” c’è la preposizione articolata al plurale.
    Cosa che è stata mantenuta nella traduzione inglese
    “Men of Gods” dove Dio è di nuovo al plurale
    Cosa che non è avvenuta nella traduzione italiana dove Dio è al singolare.
    Eppure non credo sia un errore linguistico del regista e credo – invece – voglia dire qualcosa di sottile, ma importante … quasi un scegliere a quale Dio credere.

    In questi giorni ho letto alcuni post su vari blog riguardo questo film (che non ho ancora visto), ma nessuno ha mai “indagato” su questa stranezza del “Dieux” (che io trovo geniale).

    6 Novembre, 2010 - 6:35
  15. marta09

    (correzione)
    il titolo in inglese è
    “Of men and Gods”
    … e quell’ “and” la dice lunga su quale messaggio voleva far passare il regista anche e soprattutto in una visione cristiana.

    6 Novembre, 2010 - 6:55
  16. Marcello

    Quel “des” è un articolo partitivo.
    La traduzione corretta è “Uomini e dei”.

    Si tratta di un riferimento -credo- alla capacità che hanno gli uomini (e che ebbero questi santi monaci) di farsi simili a Dio, pur con tutta la loro umanità.

    All’inizio del film si cita poi il salmo 82(81),6-7: “Io ho detto: -Voi siete dèi,
    siete tutti figli dell’Altissimo,ma certo morirete come ogni uomo,
    cadrete come tutti i potenti-“.

    6 Novembre, 2010 - 10:06

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