«Io sono un missionario della foresta, non sono un teologo, non sono nessuno e voglio tornare nella mia parrocchia. Voglio essere un uomo normale, ho il diritto di essere sporco»: così aveva parlato ai confratelli gesuiti e ai giornalisti il missionario polacco Adam Kozlowiecki al momento della nomina a cardinale nel 1998. Il padre Adam è morto il 28 settembre in Zambia all’età di 96 anni. Cinque anni passati nei campi di concentramento nazisti e poi tanti decenni in sperduti villaggi africani. Fatto cardinale da Giovanni Paolo era voluto tornare laggiù, dov’era viceparroco nella foresta a 40 chilometri dal primo posto telefonico pubblico. Di quelle parole da pesce fuor d’acqua, pronunciate al momento di indossare la porpora, mi è stata testimone diretta la collega dell’Ansa Elisa Pinna che l’aveva intervistato alla vigilia del concistoro. – Altro cardinale africano – stavolta non d’adozione ma nativo – che ha colpito tutti con il suo spirito di nascondimento è Bernardin Gantin, che dopo 25 anni passati nella Curia romana, al compimento degli 80 rinunciò senza esservi tenuto alla carica di “decano” del collegio dei cardinali (il suo posto fu preso da Ratzinger) e tornò nel suo Benin dove vive tutt’ora.
“Ho diritto di essere sporco” disse il cardinale
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Una volta stavo con un amico di un potente professore universitario irrimediabilmente single e solo. Un uomo di una grande bontà nonostante il carattere spigoloso. Parlando parlando arrivammo al punto dolente: la pensione. Il professore, vicino ai 75 anni in cui si decade definitivamente dall’insegnamento universitario, non aveva altro che dei parenti nel lontano paese del Sud da dove era venuto. Osservò il mio amico: “Sai, dopo una vita passata da soli, forse è anche giusto tornare al proprio paese per passarci gli ultimi anni. Ritrovi la tua terra, tante cose ti sembrano diverse e ci fai pace, e in un certo senso ti senti a casa”. Ci ripenso ora, a queste parole, e ringrazio Luigi dell’ennesimo frammento che ci regala. Posso dire questo e chiedere a tutti voi: dove vorreste tornare l’ultima volta?
Perché il cardinale Gantin è tornato a casa come Kozlowiecki? Perché forse, mi dico, la vita del prete è questa: solitudine. E’ vero, sei un potente, un Principe della Chiesa, ma sei sempre solo. Devi avere Dio e questo deve bastarti. E poi torni a casa, dove troverai che quell’amico non c’è più, quel bambino della missione è diventato un medico, perfino la terra ti sembra diversa. Invece ti ha aspettato perché in fondo ti voleva bene. Anche l’albero in giardino: è più vecchio ma ti aspetta e ricorda come una mattina di tanti anni fa, quando hai deciso di andartene. E aspetterà anche dopo che sarai tornato in un’altra Casa, quella eterna.
Tonizzo, l’ultima volta starò dove la vita mi avrà mandato. Ma se non sarà per un grande compito o una grande missione (non credo), tornerò nel piccolo villaggio dove sono nato e dove c’è il ramo materno della mia famiglia.
L’umilissima casa dei mie nonni, un ruscello e un ponte, una piccola chiesa (che vorrei anche restaurare, con una iniziativa popolare), il cimitero alle pendici del monte, sotto i faggeti, dove dalle lapidi già mi guardano tanti, tanti di quelli che ho conosciuto.
Anche io andrò a stare lì, e pensarci già oggi non mi atterrisce affatto.
Caro signor Accattoli, completamente fuori tema…..
…vorrei chiederle se il corrispondente a Roma della radio svizzera romanda le ha chiesto un`intervista sulla polemica creata da Micromega.
Le chiedo questo perchè oggi il giornale della mezza giornata, molto ascoltato, ha dato la parola a Flores e a Politi, il che già la dice lunga sull`orientamento della nostra” informazione”, i quali, con accenti di chi conosce la verità, hanno chiaramente sostenuto la tesi che conosciamo.
Politi esprimendosi in francese, ha descritto la Chiesa come il solo e ultimo ostacolo a quello che la stragrande maggioranza degli Italiani vuole , con la solita riduttiva divisione fra i laici, quelli buoni, e la Chiesa….Lamentable !
La posizione della Chiesa è stata sbarazzata via in 30 secondi, con la “tardiva e imbarazzata” reazione del cardinal Barragan.
Ma non si è dimenticato di fare pubblicità al prossimo libro di Politi sugli ultimi momenti di Giovanni Paolo, almeno così ci è stato detto.
Quanto è bella la solidarietà di una certa informazione..la malafede e la desinformazione non conoscono frontiere…!
La Radio svizzera romanda non mi ha chiesto interviste. Luigi
“Io sono un missionario della foresta, non sono un teologo, non sono nessuno e voglio tornare nella mia parrocchia”.
Sono più o meno le stesse parole che mi ha detto a metà agosto p. Giancarlo Bossi quando l’ho incontrato a Roma. Era appena rientrato in Italia dalla sua terra di missione, le Filippine, dove tra giugno e luglio aveva trascorso 39 giorni di prigionia nelle mani dei rapitori. Mi disse che non aveva nessuna voglia di andare a fare il testimone all’Agorà dei giovani di Loreto, anche se capiva che era necessario. Mi fece capire che non ama i riflettori e voleva solo tornare nella sua parrocchia a Myndanao.
Francesco, la penso come te. Per fortuna, per ora, la Provvidenza ha voluto mettermi una persona accanto. Ogni giorno ringrazio per questo dono.
AFRICA/ZAMBIA – Il ricordo del Cardinale Adam Kozlowiecki: primo Vescovo di Lusaka e per 20 anni Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie
Lusaka (Agenzia Fides)-“Mi piace ricordare il Cardinale Adam Kozlowiecki con le parole espresse dall’Ambasciatore di Francia nel 2006, nel consegnargli la Legione d’Onore: “La sua vita, Eminenza, è uno straordinario riassunto delle sofferenze e delle speranze degli europei nel Ventesimo secolo. Lei è stato un prigioniero politico, un deportato, un rifugiato, un senza patria, un sacerdote, un educatore, un promotore dello sviluppo umano, un amministratore, un principe della Chiesa cattolica romana”. Così p. James McGloin, Provinciale per lo Zambia e il Malawi dei Gesuiti, ricorda all’Agenzia Fides il Cardinale Adam Kozlowiecki, missionario gesuita in Zambia e primo Arcivescovo di Lusaka, la capitale del Paese, scomparso all’età di 96 anni il 28 settembre.
“Nato da nobili origini a Huta Komorowska, in Polonia, il 1° aprile 1911 (“sono stato un pesce d’aprile” diceva di sé scherzando) il Cardinale Kozlowiecki” ricorda p. McGloin “è stato educato come i suoi fratelli presso il collegio gesuita di Chyrów, nell’attuale Ucraina. Per l’interesse del giovane Adam nei confronti dell’Ordine dei Gesuiti fu inviato dalla famiglia a completare gli ultimi due anni di studio in una scuola privata a Poznan”. Dopo il diploma, rinunciò ai titoli nobiliari e all’eredità, e due mesi dopo entrò nel noviziato dei Gesuiti di Stara Wies. Dopo aver completato gli studi nel 1939, gli fu ordinato di recarsi a Cracovia per ottenere un incarico. Ma lo stesso giorno la Polonia veniva invasa dalle truppe tedesche. Il viaggio per Cracovia divenne impossibile. “Ma p. Adam” ricorda il Provinciale “non si perse d’animo e affrontò il viaggio a piedi, mettendoci una settimana per arrivare a Cracovia. Due settimane dopo la Gestapo nazista lo arrestò assieme a 24 confratelli”. Nel giugno 1940 fu trasferito ad Auschwitz e in seguito a Dachau, dove visse fino alla liberazione nell’aprile 1945. P. Adam ricordava così gli anni della prigionia: “È stato il miglior tirocinio di noviziato che abbia ricevuto, migliore di quanto i Gesuiti mi abbiano dato” oppure amava scherzare: “Ho trascorso 5 anni come ospite speciale di Hitler”. P. Adam ha descritto la sua prigionia nel libro “Oppressione e afflizione. Diario di un prigioniero”. Alla fine della guerra lasciò la Germania con solo un documento che attestava che era il detenuto n. 22187. Si recò quindi a Roma, presso la Casa Generalizia per chiedere un incarico. Espresse ai superiori il desiderio di tornare in Polonia ma gli fu chiesto se fosse disponibile ad andare in missione nella Rhodesia settentrionale (l’attuale Zambia), dove vi era già una presenza di Gesuiti polacchi. Non voleva recarsi in Africa ma, venendo la richiesta dai suoi superiori, si sentì obbligato a esser fedele al suo voto di obbedienza e rispose: “Sì, ci vado”. Mentre era a Roma pronunciò i voti perpetui come Gesuita.
Arrivò a Lusaka il 14 aprile 1946. Venne destinato alla più antica missione dei gesuiti a Kasisi, dove gli venne affidata la scuola elementare. Qui il futuro Cardinale sviluppò un forte attaccamento alle persone semplici di origine rurale che lo segnò per il resto dei suoi giorni.
Nel 1955 venne nominato Vescovo e Vicario Apostolico del Vicariato di Lusaka, e quattro anni dopo divenne il primo Arcivescovo di Lusaka. In questa veste prese parte al Concilio Vaticano II e, nel 1961, fu eletto primo Presidente della neonata AMECEA (Associazione dei Membri delle Conferenze Episcopali dell’Africa Orientale).
Dopo l’indipendenza dello Zambia nel 1964, Mons. Adam chiese di nominare al suo posto un Vescovo africano, e nel 1969 furono accettate le sue dimissioni, suscitando vasta eco in tutta l’Africa. Da allora ha lavorato come semplice sacerdote in diverse aree del Paese e per 20 anni è stato Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie dello Zambia. Nel 1998 Papa Giovanni Paolo II lo ha creato Cardinale. “Accetto questo segno con profonda gratitudine in quanto segno di riconoscimento per ogni semplice missionario” scrisse al Santo Padre. Tra i riconoscimenti ricevuti dal Cardinale vi sono la Legione d’Onore francese nel 2006 e le più alte decorazioni della Polonia e dello Zambia. (L.M.)
(Agenzia Fides 2/10/2007)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=14062&lan=ita
Queste due figure di Cardinali, presentateci da Luigi, sono la Chiesa in cui io credo.
E’ la CHIESA CHE NON CERCA VANTAGGI, ma che ha come unico scopo quello di servire l’uomo, come ci ha detto Benedetto XVI nell’incontro con il nuovo ambasciatore italiano presso la Santa Sede.
X Tonizzo: Carissimo, lei tocca il tema della solitudine dei Sacerdoti: da laico, le posso dire che mi convinco sempre di più, che non è solo il pastore a guidare il gregge, ma anche il gregge a guidare il pastore (scusate il gioco di parole) e a fargli un pò di comagnia.
X Luisa: Carissima, ahinoi la Svizzera si conferma terra difficile per il Cattolicesimo, ma chi crede non è mai solo.
Un caro saluto a tutti. F.
Mah, credo che il fine ultimo dell’ anima di un cristiano dovrebbe essere quello di andare in Paradiso, non di ottenere un seggio all’Assemblea Generale dell’ONU delle Religioni… (Poi, ognuno la pensi come vuole..)
“E anche a noi peccatori servi tuoi, che speriamo nella moltitudine delle tue misericordie, dégnati di dare qualche parte e società coi tuoi santi Apostoli e Martiri: con Giovanni, Stefano, Mattia, Bárnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felícita, Perpetua, Ágata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia, e con tutti i tuoi Santi; nel cui consorzio ti preghiamo di accoglierci, non guardando al merito, ma elargendoci la tua grazia. Per Cristo nostro Signore.”
Gennaio 2003 – Chiese e religioni in dialogo
Una sfida per l’evangelizzazione
Missione e dialogo tra le fedi
Uno dei temi più suggestivi trattati dal Concilio Vaticano II è stato quello dei rapporti con le religioni non cristiane.
Tema classico della missione fin dai tempi della Chiesa apostolica, esso tormentò anche san Paolo apostolo, che cercò in forme, tempi e luoghi diversi altrettante vie di soluzione. Tutte allora provvisorie e aperte a ricerche, approfondimenti e alternative successivi.
Nel corso dei secoli questo problema è riapparso diverse volte nella storia della Chiesa. Anzi, si è riproposto a ogni vera “svolta epocale”, allorché il linguaggio ecclesiale si dovette confrontare con altri linguaggi, altri umanesimi, altri orizzonti.
Uno dei momenti più cruciali fu all’inizio dell’epoca moderna, nel secolo XVI, allorché si sommarono e spesso si sovrapposero nuovi tempi e nuovi luoghi di evangelizzazione: basti pensare all’esplorazione dei nuovi continenti: Americhe e Asia. Tali incontri-scontri posero alla Chiesa grandi e nuovi problemi.
Per esempio, come annunciare il Vangelo alle popolazioni dell’Oriente? Una delle prime sensazioni che si avvertono nel contatto con i popoli dell’Asia, a partire dallo Sri Lanka, che ho recentemente visitato, è quella di essere dinanzi a veri e propri “giganti di umanità”. Non predomina la sensazione del “buon selvaggio” (come talvolta poteva essere dinanzi a popolazioni più primitive), ma quella del sacro rispetto e timore dinanzi a una umanità da cui promana un profondo senso del mistero, della preghiera, della contemplazione e della ricerca interiore.
I rapporti con l’Oriente sono sempre marcati dal “misterioso”, a partire anche dagli aspetti più quotidiani e immediati nei quali sembra che i nostri punti di riferimento (vero-falso, chiaro-scuro, alto-basso, destra-sinistra…) siano assolutamente inadeguati a delimitare quelle culture. L’evangelizzazione non può evidentemente sottrarsi a questi problemi. Fino a un passato recente, il sostegno e l’appoggio delle potenze coloniali favorirono certamente una certa diffusione del Cristianesimo in Asia, a partire proprio dall’India e dallo Sri Lanka. Tanto che alcuni pensarono che la caduta degli imperi coloniali francese e britannico in Oriente avrebbe portato con sé il crollo e la scomparsa delle religioni colonialiste, il Cristianesimo in primo luogo.
Ma così non fu. Come nei tempi della Chiesa primitiva avvenne una duplice grande trans-culturazione con il passaggio da una Chiesa palestinese a un’altra greca e poi ancora a un’altra latina, così nel recente Novecento, grazie anche all’opera del Concilio, abbiamo assistito alla nascita di vere e proprie nuove Chiese in Asia, Africa, America Latina. Non nel senso di nascita storica, bensì antropologica, cioè il riconoscimento del loro valore in sé e non come mere appendici o dipendenze di quelle di origine e influenza europea e latina.
Naturalmente il cammino è agli inizi, queste “creature” sono appena nate. Il grande impegno della Chiesa nei confronti delle popolazioni asiatiche è sintetizzabile nell’espressione “dialogo interreligioso”. È un lungo itinerario da percorrere, durante il quale occorrerà conoscersi meglio, approfondire le reciproche sensibilità e originalità, ma evidenziare anche ciò che unisce le varie entità umane e che è assai più ampio e profondo di ciò che le differenzia.
In un’epoca in cui sembrano riproporsi fortemente le differenze, le radicalità e le contrapposizioni etniche e religiose, occorre rafforzare ancor più questa sfida alla mutua intesa, non per edificare una sorta di “Onu delle religioni”, ma per riconoscere quanto di buono, di vero, di valido, di bello c’è già nelle religioni non cristiane e, inversamente, quanto l’annuncio cristiano non sradica o cancella tali ricchezze, ma le sa portare a compimento nel rispetto della loro originalità. Questo si nota, per esempio, specialmente dinanzi al buddhismo, che rappresenta una delle più antiche e professate religioni dell’Asia. Non a caso il grande teologo del Concilio, l’indimenticabile padre gesuita e poi cardinale De Lubac, nella sua vita dedicò una parte cospicua del suo tempo allo studio del buddhismo come una delle religioni non cristiane più meritevoli dell’attenta cura del teologo, oltre che del missionario sul campo.
Carlo Sorbi S.I.
http://www.gesuiti.it/popoli/anno2003/01/ar030106.htm