Il mio ricordo di Giovanni Benzoni: un credente operoso e lieto della fede

6 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Nelle sue cento avventure amicali e sociali. Parlerò di Giovanni Benzoni (1945-2024) per segnalare il credente lieto della fede che è sempre stato e che è figura rarissima oggi. Lo conoscevo dal 1967: ero nel pensionato romano della FUCI «Igino Righetti» e lui era presidente della Federazione insieme a Mirella Gallinaro, che sarà poi sua moglie. Non riuscendo a pagare la retta con l’attività di free lance che andavo sperimentando, Giovanni e Mirella mi fecero lavorare a Ricerca, la rivista fucina, aiutandomi a imboccare la via del giornalismo. Gli devo qualcosa nel gioco della vita.
    Siamo stati compagni di camera in casa FUCI e l’amicizia è cresciuta nei decenni. Conosco lo slancio con cui russava. Mi ha chiamato decine di volte per conferenze a Venezia e a Mestre, o ai convegni «Amici di don Benedetto» e «Oggi la Parola» che organizzava a Camaldoli.
    Dopo la sua morte ho riletto i testi da lui pubblicati sulle riviste Esodo, Servitium, Il Tetto e ho trovato luminosamente confermato il profilo che ne aveva tracciato nella messa d’addio – il 1° giugno a Venezia – don Giovanni Trabucco: «Uomo delle opere di misericordia, uomo di Chiesa, persona spirituale».
    Il bello di Giovanni era che questa sua caratura evangelica non metteva minimamente in ombra la sua gioia di vivere, lo scatenamento nella vita pubblica, la baldanza in cucina e a tavola, l’attivazione di cento avventure amicali e sociali: da insegnante e dirigente della CGIL scuola, da attivista della pace, da volontario sulla frontiera degli immigrati. Per 19 anni presidente della Casa dell’ospitalità di Mestre. Divoratore di giornali a partire dal Manifesto. Assessore al decentramento dal 1980 al 1985 al Comune di Venezia. Ha pubblicato tre volumi e centinaia di articoli sulla sua città.

    19 Luglio, 2024 - 22:43
  2. Luigi Accattoli

    Divagando sul corpo dice: risorgerò. Non inseguirò Giovanni in queste imprese, volendo solo lumeggiare il credente che è stato e che resta, vivissimo nelle parole che ci ha lasciato. Parto da un testo postumo che proietta le beatitudini sui drammi dell’umanità: «Con instancabile pazienza Gesù continua ad “alzare gli occhi verso i suoi discepoli” (Lc 6,20), cioè verso noi tutti per ricordarci di guardare dalla prospettiva dei poveri e degli oppressi, di quelli che piangono, dei miti sopraffatti, dei costruttori di pace derisi: solo così i nostri occhi sapranno riconoscere il bisogno che hanno i piccoli della terra di braccia che li accolgano, l’urgenza di tutta la creazione di continuare a sperare contro ogni speranza attendendo che giustizia e pace si abbraccino e si bacino. Sì, ancora instancabilmente, fino al nostro ultimo giorno» (esodoassociazione.it, 29.5.2024).
    Questo testo estremo di Giovanni ci provoca con la proiezione «fino all’ultimo nostro giorno». Ma nei suoi testi è abituale l’invito a «far tesoro dello scarto sul presente che il dono della fede ci dà quasi naturalmente, se siamo intesi a vivere cristianamente» (Servitium 243/2019).
    Lo «scarto sul presente», ovvero il principio di non appagamento: se sei cristiano non ti rassegnerai all’esistente. Interrogato in un’intervista a intonazione femminista sull’appartenenza alla Chiesa, questa fu la sua forte risposta: «Ogni giorno mi auguro di riuscire a rispondere pienamente e positivamente al dono della fede, informato dalle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Mi irrito quando colgo la dissipazione di questa ricchezza da parte di ciascuno di noi» (intervista a cura di Catti Cifatte, in Tempi di fraternità del maggio 2006, per la rubrica «Tempi di sororità»).
    Fede, speranza, carità: Giovanni riconosce ed enumera i pilastri della professione cristiana e sempre li raccorda agli impegni della vita associata. Ecco come collega preghiera e libertà: «La libertà per il credente è sperimentabile in modo del tutto gratuito nella preghiera» (Esodo 3/2005).

    19 Luglio, 2024 - 22:46
  3. Luigi Accattoli

    Scrittura e liturgia gli davano serenità. Ed ecco il raccordo tra fede e laicità: «La fede cristiana è il fondamento più certo della laicità» (Esodo 2/2005). Divagando sulla corporeità come mito dell’epoca afferma la risurrezione della carne: «Per fede in Cristo risorgerò: credo nella risurrezione del corpo» (Esodo 3/1998).
    Fin qui abbiamo a che fare con forti convincimenti espressi in contesti impegnativi ma niente di più: e invece in Giovanni c’è di più. Perché egli questi convincimenti li ha confermati nelle prove che ha dovuto affrontare: prima la morte precoce di due fratelli, poi il suicidio a vent’anni del figlio più giovane, infine le traversie di salute che l’hanno portato alla morte.
    Ecco alcune delle parole pagate con la vita sul figlio Marco che si è dato la morte: «A costo di presumere oso dire che da questo evento noi familiari siamo stati affinati in una capacità di affetto, tenerezza, amore, più radicata e radicale, non solo per noi stessi. Il silenzio con cui Marco ha definito la sua morte è ora attraversato da una comprensione di lui che lo rende vivo negli affetti e nelle attenzioni e che nella fede ce lo fa sperare nelle braccia misericordiose di Dio, per Gesù Cristo, morto, risorto e veniente per ciascuno di noi» (Servitium 121/1999).
    Scrittura e liturgia gli danno serenità anche nei giorni più neri: «Martedì 10 novembre [40 giorni dopo il suicidio di Marco; nda] ho partecipato ai Vespri che le carmelitane di Venezia cantano alle 18,30. Ogni parola e gesto mi riportavano a Marco sino a quando, muovendo le labbra anch’io (senza articolare alcun suono, perché sono stonato) nel cantare-leggere-sentire il Salmo 137 mi sono bloccato su: “Se cammino in mezzo alla sventura, tu mi ridoni la vita”. In forza di questa promessa riuscirò a cantare anch’io senza disturbare chi è intonato. E sarà per sempre» (ivi).

    19 Luglio, 2024 - 22:47
  4. Luigi Accattoli

    Una nuova parabola di Giobbe il giusto. L’intera vicenda della vita di Giovanni ce la possiamo figurare come una nuova parabola di Giobbe il giusto messo alla prova dal Satana in scommessa con Dio: «Ma stendi un poco la mano e colpiscilo nelle ossa e nella carne e vedrai come ti maledirà apertamente!» (Gb 2,5).
    Come Giobbe, Giovanni non ha maledetto il Signore che infine ha benedetto la sua tribolazione con il dono di una sorprendente serenità. Dapprima riguardo agli anni che passano: «Iniziando a invecchiare sono entrato lentamente, ma decisamente, in una sorta di seconda giovinezza: avverto una leggerezza nello stare al mondo davvero invidiabile (…) Soprattutto se ti sciogli in un canto di riconoscenza a Dio che viene: il Veniente è promessa che illumina il tuo presente» (Servitium 163/2006).
    E poi nella gratitudine per la vita che lievita invece di scemare: «Da alcuni anni il tempo mi si è dilatato e ogni giorno vivo un tempo tendenzialmente senza limite, perché non cesso di pensare e operare per portare a compimento ogni intendimento e proposito, sia vecchio sia nuovo. Vivo un felice stato di coscienza sempre più grato per il tempo che mi è stato e mi è dato di vivere» (Gino e Giovanni Benzoni, Epistolario 2001-2022 in quattro mail, La Toletta edizioni, Venezia 2022, 33s).
    Questo prezioso amico ci ha informati infine che è possibile vivere nella riconoscenza anche i giorni dell’indebolimento estremo: «Mi vedo e sono curvo e traballante, quasi a ogni passo mi dico: cado o non cado? Oggi, ritornando dalla messa, mi sono ritrovato a rivolgermi con insistenza al Signore: “Fammi arrivare a casa, non tirarmi bidoni”. A casa sono arrivato, felice e ho ripetuto un versetto del Salmo 4, intitolato non a caso Rendimento di grazie: “Hai messo più gioia nel mio cuore / di quando abbondano vino e frumento”» (ivi, 35).

    19 Luglio, 2024 - 22:49
  5. Luigi Accattoli

    Mi è stato di aiuto a credere. Giovanni era animato da una straordinaria capacità d’interrogazione all’intorno. Il fratello Gino è agnostico e lui lo pungola sulla fede e sulla laicità. E infine il fratello lo ringrazia per «l’appiglio salvifico della tua generosità» (ivi, 30). Gli amici conosciuti negli anni della FUCI si rassegnano al riflusso e lui chiama tutti, instancabile, alle iniziative che mette in cantiere l’una dopo l’altra. E anche costoro alla fine gli sono grati.
    Per tutti il suicidio di un figlio costituirebbe un tabù, ma non per lui che propone il terribile argomento per convegni e quaderni monografici di riviste, lasciandosi guidare dall’idea che «il darsi la morte dell’uomo è dentro il mistero divino, non è cosa altra» (Esodo 4/2001). Sono testimone di una proposta a me rivolta in privato, a proposito dell’indice del mio volume Cerco fatti di Vangelo: «Manca un capitolo sul suicidio cristiano». Mi segnalò poi che in un quaderno di Servitium sul «Custodire» (232/2017) aveva richiamato un testo di Enrico Peyretti che ne citava un altro di Giuseppe Capograssi ambedue intitolati «Suicidio e preghiera».
    «Uomo di comunità e di condivisione», l’ha chiamato il nipote Pietro al termine della messa di addio. «Con le sue iniziative dava un messaggio di fiducia nella vita», ha scritto la nipote Elena. L’aiutavano a trovare ascolto l’umiltà e l’autoironia, che trasmetteva anche con l’abbigliamento, a partire dal basco «portato a mezzo tra l’operaio e l’artista», come amava dire.
    Cercava spunti conoscitivi ovunque: nella pubblicità televisiva come nelle carovane dei turisti che affollano Venezia. Tutto valorizzava e tutto ridimensionava, aiutato da una sorgiva radicalità evangelica: «Il cristiano non ha maestri se non il Maestro» (Servitium 129/2000).
    Non che Giovanni non avesse difetti e anche vistosi. In politica, nell’editoria, nella convegnistica è stato spesso un adorabile don Chisciotte. Non era facile collaborare con lui. La sua critica al patriarca Moraglia mi è parsa eccessiva (Il Tetto 308-309/2015). Ma la sua generosità sociale e cristiana ha convinto chiunque l’abbia conosciuto. A me è stata di aiuto a credere. Di essa lo ringrazio.

    19 Luglio, 2024 - 22:50
  6. roberto 55

    Era un mio conterraneo, e ne sono del tutto orgoglioso: non ho avuto il bene di conoscerlo personalmente ma posso dire, senza tema di smentite, che era una figura di grandissimo spessore.
    Grazie, Luigi, per il tuo ricordo.

    Roberto Caligaris

    23 Luglio, 2024 - 22:13

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