Abbiamo trovato costui che impediva di pagare tributi a Cesare
Commento
Luigi Accattoli
Tributo a Cesare e tributo al Tempio. Tra i testi evangelici che possiamo raccordare a questo brano, indico Matteo 17, 23-27, sul pagamento del tributo al Tempio; e Luca 23, 2 dove il Sinedrio consegna Gesù a Pilato con questa accusa: “Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re”.
Dal brano di Matteo sul tributo al Tempio (pagato con una moneta d’argento che Pietro trova nella bocca di un pesce preso all’amo nel lago di Galilea su indicazione di Gesù) si deduce che il rabbi di Nazaret il tributo al Tempio lo pagava, seppure muovendo a esso un’obiezione personale: cioè di non esservi tenuto in quanto “figlio” del Padre che è nei cieli. E’ verosimile, dal punto di vista fattuale, che il nostro rabbi pagasse anche il tributo a Cesare, com’erano tenuti a fare tutti i sudditi dell’Impero romano. Ma i suoi avversari avevano bisogno di un capo d’accusa civile, da far valere presso il procuratore romano e dunque interpretano come insegnamento contrario al pagamento del tributo imperiale le parole di Gesù: “quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, quello che è di Dio a Dio”. Parole che non avevano affatto quella valenza. Gesù infatti con il suo motto si era sottratto al laccio che gli avevano teso, aveva evitato di pronunciarsi sulla liceità del tributo e nella sostanza aveva detto: date pure a Cesare quel poco che gli spetta, ma ricordatevi di dare a Dio il molto, il tutto, che è suo.
Tributo a Cesare e tributo al Tempio. Tra i testi evangelici che possiamo raccordare a questo brano, indico Matteo 17, 23-27, sul pagamento del tributo al Tempio; e Luca 23, 2 dove il Sinedrio consegna Gesù a Pilato con questa accusa: “Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re”.
Dal brano di Matteo sul tributo al Tempio (pagato con una moneta d’argento che Pietro trova nella bocca di un pesce preso all’amo nel lago di Galilea su indicazione di Gesù) si deduce che il rabbi di Nazaret il tributo al Tempio lo pagava, seppure muovendo a esso un’obiezione personale: cioè di non esservi tenuto in quanto “figlio” del Padre che è nei cieli. E’ verosimile, dal punto di vista fattuale, che il nostro rabbi pagasse anche il tributo a Cesare, com’erano tenuti a fare tutti i sudditi dell’Impero romano. Ma i suoi avversari avevano bisogno di un capo d’accusa civile, da far valere presso il procuratore romano e dunque interpretano come insegnamento contrario al pagamento del tributo imperiale le parole di Gesù: “quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, quello che è di Dio a Dio”. Parole che non avevano affatto quella valenza. Gesù infatti con il suo motto si era sottratto al laccio che gli avevano teso, aveva evitato di pronunciarsi sulla liceità del tributo e nella sostanza aveva detto: date pure a Cesare quel poco che gli spetta, ma ricordatevi di dare a Dio il molto, il tutto, che è suo.