Oggi a Marsiglia, a conclusione degli “incontri del Mediterraneo”, il Papa ha proposto – nella maniera forse fino a oggi più completa – la sua idea del dovere cristiano di accogliere chi cerca scampo dalla guerra, dalla persecuzione, dalla fame. Ha richiamato la costante presenza della Chiesa su questa frontiera lungo gli ultimi 70 anni, ha riconosciuto che l’integrazione dei migranti è “faticosa” ma ha messo in guardia dalla tentazione di considerare le migrazioni un fenomeno contingente, misconoscendone la dimensione epocale: “Un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza” e con una “responsabilità europea”. Ha affermato con forza che in questo impegno dell’accoglienza i cristiani non possono essere “secondi a nessuno”. Nei commenti riporto la parte centrale del messaggio papale invitando i visitatori a una lettura integrale: aiuta a guardare più ampiamente e ad andare al largo.
Francesco: “Chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza, cerca vita”
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Francesco alla Sessione Conclusiva dei Rencontres Méditerranéennes, iniziativa promossa dall’Arcidiocesi di Marsiglia dal 18 al 24 settembre – Il porto di Marsiglia è da secoli una porta spalancata sul mare, sulla Francia e sull’Europa. Da qui molti sono partiti per trovare lavoro e futuro all’estero, e da qui tanti hanno varcato la porta del continente con bagagli carichi di speranza. Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, che non può essere chiusa. Vari porti mediterranei, invece, si sono chiusi. E due parole sono risuonate, alimentando le paure della gente: “invasione” ed “emergenza”. E si chiudono i porti. Ma chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza, cerca vita. Quanto all’emergenza, il fenomeno migratorio non è tanto un’urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza: con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà. Sto guardando, qui, in questa mappa, i porti privilegiati per i migranti: Cipro, la Grecia, Malta, Italia e Spagna… Sono affacciati sul Mediterraneo e ricevono i migranti. Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà. Anche qui il Mediterraneo rispecchia il mondo, con il Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi. Eppure, questa situazione non è una novità degli ultimi anni, e non è questo Papa venuto dall’altra parte del mondo il primo ad avvertirla con urgenza e preoccupazione. La Chiesa ne parla con toni accorati da più di cinquant’anni.
Si era da poco concluso il Concilio Vaticano II e San Paolo VI, nell’Enciclica Populorum progressio, scrisse: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (n. 3). Papa Montini enumerò “tre doveri” delle nazioni più sviluppate, «radicati nella fraternità umana e soprannaturale»: «dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri» (n. 44). Alla luce del Vangelo e di queste considerazioni, Paolo VI, nel 1967, sottolineò il «dovere dell’accoglienza», sul quale, scrisse, «non insisteremo mai abbastanza» (n. 67). A questo, quindici anni prima, aveva incoraggiato Pio XII, scrivendo che «la Famiglia di Nazaret in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe emigranti in Egitto […] sono il modello, l’esempio ed il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini di ogni età e di ogni paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, incalzati dalla persecuzione o dal bisogno, si vedono costretti ad abbandonare la patria, i cari parenti, […] e a recarsi in terra straniera» (Cost. Ap. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 1° agosto 1952).
Adorare Dio e servire il prossimo. Certo, sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà nell’accogliere. I migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati. Se non si arriva fino alla fine, il migrante finisce nell’orbita della società. Accolto, accompagnato, promosso e integrato: questo è lo stile. È vero che non è facile avere questo stile o integrare persone non attese, però il criterio principale non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità umana. Coloro che si rifugiano da noi non vanno visti come un peso da portare: se li consideriamo fratelli, ci appariranno soprattutto come doni. Domani si celebrerà la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Lasciamoci toccare dalla storia di tanti nostri fratelli e sorelle in difficoltà, che hanno il diritto sia di emigrare sia di non emigrare, e non chiudiamoci nell’indifferenza. La storia ci interpella a un sussulto di coscienza per prevenire il naufragio di civiltà. Il futuro, infatti, non sarà nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia. Contro la terribile piaga dello sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, secondo le possibilità di ciascuno, un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine. Dire “basta”, invece, è chiudere gli occhi; tentare ora di “salvare sé stessi” si tramuterà in tragedia domani, quando le future generazioni ci ringrazieranno se avremo saputo creare le condizioni per un’imprescindibile integrazione, mentre ci incolperanno se avremo favorito soltanto sterili assimilazioni. L’integrazione, anche dei migranti, è faticosa, ma lungimirante: prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà; l’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri paradigmi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che fa divampare ostilità e insofferenze. Abbiamo bisogno di fraternità come del pane. La stessa parola “fratello”, nella sua derivazione indoeuropea, rivela una radice legata alla nutrizione e al sostentamento. Sosterremo noi stessi solo nutrendo di speranza i più deboli, accogliendoli come fratelli. «Non dimenticate l’ospitalità» (Eb 13,2), ci dice la Scrittura. E nell’Antico Testamento si ripete: la vedova, l’orfano e lo straniero. I tre doveri della carità: assistere la vedova, assistere l’orfano e assistere lo straniero, il migrante.
A tale proposito, il porto di Marsiglia è anche una “porta di fede”. Secondo la tradizione, qui approdarono i Santi Marta, Maria e Lazzaro, che seminarono il Vangelo in queste terre. La fede viene dal mare, come rievoca la suggestiva tradizione marsigliese della Candelora con la processione marittima. Lazzaro, nel Vangelo, è l’amico di Gesù, ma è anche il nome del protagonista di una sua parabola attualissima, la quale apre gli occhi sulla disuguaglianza che corrode la fraternità e ci parla della predilezione del Signore per i poveri. Ebbene, noi cristiani, che crediamo nel Dio fatto uomo, nell’unico e inimitabile Uomo che sulle rive del Mediterraneo si è detto via, verità e vita (cfr Gv 14,6), non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse. Non chiudiamo le vie dell’incontro, per favore! Non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte! La Chiesa, confessando che Dio in Gesù Cristo «si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22), crede, con San Giovanni Paolo II, che la sua via è l’uomo (cfr Lett. enc. Redemptor hominis, 14). Adora Dio e serve i più fragili, che sono i suoi tesori. Adorare Dio e servire il prossimo, ecco cosa conta: non la rilevanza sociale o la consistenza numerica, ma la fedeltà al Signore e all’uomo!
Cristiani secondi a nessuno. Questa è la testimonianza cristiana, e tante volte è pure eroica; penso ad esempio a San Charles de Foucauld, “fratello universale”, ai martiri dell’Algeria, ma anche a tanti operatori di carità di oggi. In questo stile di vita scandalosamente evangelico, la Chiesa ritrova il porto sicuro a cui attraccare e da cui ripartire per intessere legami con la gente di ogni popolo, ricercando ovunque le tracce dello Spirito e offrendo quanto per grazia ha ricevuto. Ecco la realtà più pura della Chiesa, ecco – scrisse Bernanos – «la Chiesa dei santi», aggiungendo che «tutto questo grande apparato di saggezza, di forza, di disciplina elastica, di magnificenza e di maestà, non è nulla di per sé, se la carità non lo anima» (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994, 74). Mi piace esaltare questa perspicacia francese, genio credente e creativo, che ha affermato tali verità attraverso una moltitudine di gesti e scritti. San Cesareo di Arles diceva: «Se hai la carità, hai Dio; e se hai Dio, che cosa ti manca?» (Sermo 22,2). Pascal riconosceva che «l’unico oggetto della Scrittura è la carità» (Pensieri, n. 301) e che «la verità fuori della carità non è Dio, ma è la sua immagine e un idolo che non bisogna amare, né adorare» (Pensieri, n. 767). E San Giovanni Cassiano, che qui morì, scrisse che «tutto, anche ciò che si stima utile e necessario, val meno di quel bene che è la pace e la carità» (Conferenze spirituali XVI,6).
È bello dunque che i cristiani non siano secondi a nessuno nella carità; e che il Vangelo della carità sia la magna charta della pastorale. Non siamo chiamati a rimpiangere i tempi passati o a ridefinire una rilevanza ecclesiale, siamo chiamati alla testimonianza: non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne; non a misurare la visibilità, ma a spenderci nella gratuità, credendo che «la misura di Gesù è l’amore senza misura» (Omelia, 23 febbraio 2020). San Paolo, l’Apostolo delle genti che trascorse buona parte della vita sulle rotte mediterranee, da un porto all’altro, insegnava che per adempiere la legge di Cristo occorre portare gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,2). Cari fratelli Vescovi, non carichiamo di pesi le persone, ma alleviamo le loro fatiche in nome del Vangelo della misericordia, per distribuire con gioia il sollievo di Gesù a un’umanità stanca e ferita. La Chiesa non sia un insieme di prescrizioni, la Chiesa sia porto di speranza per gli sfiduciati. Allargate il cuore, per favore! La Chiesa sia porto di ristoro, dove le persone si sentano incoraggiate a prendere il largo nella vita con la forza impareggiabile della gioia di Cristo. La Chiesa non sia dogana. Ricordiamo il Signore: tutti, tutti, tutti sono invitati.
Per leggere il testo integrale del discorso papale: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/09/23/0660/01432.html
Qui un editoriale di commento di Andrea Tornielli direttore editoriale dei media vaticani:
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-09/papa-marsiglia-incontri-mediterranei-editoriale-tornielli.html
Ieri aveva ricordato David Sassoli. Del dramma dei migranti Francesco aveva parlato anche ieri, nel “momento di raccoglimento con i leader religiosi nei pressi del Memoriale dedicato ai marinai e ai migranti dispersi in mare”. Qui aveva citato parole di grande impegno di David Sassoli, che da presidente del Parlamento Europeo aveva invitato ad “abbattere muri, costruire ponti, dare corpo ad un nuovo umanesimo, guardare in profondità il nostro tempo e amarlo anche di più quando è difficile da amare”.
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/09/22/0657/01423.html
https://gpcentofanti.altervista.org/la-serena-vigilanza-sulla-crescita-vangelo-di-lunedi-25-settembre-2023-e-commento/