Se sia bene che il papa lasci la diplomazia e dica «pane al pane»: una questione che ha piroettato notte e giorno nel mio blog lungo i 10 anni di Bergoglio. Nel decennale ho provato a prenderla di petto, scuotendo da ogni lato 5 fuoriuscite di Francesco dalla tradizione diplomatica intervenute tutte – tranne la prima – negli ultimi tempi. Volevo indagare, attraverso di esse, la possibilità di tenere come positiva quell’uscita: è l’attacco di un mio articolo pubblicato dalla rivista Il Regno con il titolo “Il Papa e la diplomazia: pane al pane”. Lo riproduco per intero nei commenti e metto in coda un aggiornamento della mia indagine alle battute sulla guerra ucraina dette da Francesco domenica in aereo, anch’esse in libera uscita da ogni diplomazia.
Se Francesco parla fuori dalle regole: acquisti e perdite
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Parole sante sgradite a tutti. Queste le affermazioni di Francesco che ho preso in esame e che elenco per importanza decrescente: conflitto ucraino come scandalo di una guerra tra cristiani; il patriarca di Mosca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin; responsabilità della NATO che abbaia alle porte della Russia; questa è una guerra mondiale perché tutte le grandi potenze vi sono coinvolte; dittatura grossolana del Nicaragua guidata da uno squilibrato.
Questa la prima delle 5 affermazioni «pane al pane», che risale al 4 febbraio 2015, quand’era già guerra tra Russia e Ucraina: «Io penso a voi, fratelli e sorelle ucraini: pensate, questa è una guerra fra cristiani! Voi tutti avete lo stesso battesimo! State lottando fra cristiani. Pensate a questo scandalo».
Parole sante, le più utili che possano venire da un papa nel mezzo di una guerra tra battezzati. Ma totalmente aliene dalla diplomazia, tant’è che provocarono proteste dalle due sponde, dove nessuno voleva riconoscere l’altro come cristiano. E lo scandalo si è riproposto quando Francesco ha consacrato i due popoli a Maria (25.3.2022) e quando ha chiamato due donne, una ucraina e una russa, a portare insieme la croce nell’ultima stazione della Via crucis dell’anno scorso al Colosseo.
Ed ecco le parole provocatorie sul patriarca di Mosca: «Fratello [ho detto al patriarca Kirill; nda], noi non siamo chierici di stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin» (intervista al Corriere della sera del 3.5.2022; cf. Regno-att. 10, 2022,273s). Sappiamo la tempesta che queste parole hanno provocato.
Gli imperi che dominano il mondo. Sulla NATO: «Forse l’abbaiare della NATO alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. Un’ira che non so dire se sia stata provocata ma facilitata forse sì» (ivi). Un coro di esecrazioni antipapali si è levato in Occidente, da Washington a Varsavia.
Sulla guerra di Ucraina come guerra di tutti: «Questa è una guerra mondiale. È cominciata in pezzetti e adesso nessuno può dire che non è mondiale. Perché le grandi potenze sono tutte invischiate» (intervista del 12.3.2023 alla Radiotelevisione svizzera italiana).
Qui il papa dice per la prima volta una cosa importantissima, per tante ragioni scomoda a tutti i protagonisti del conflitto: che cioè su di esso puntano alte somme tutti gli imperi che dominano il mondo: l’impero russo e quello americano, quello dell’Unione Europea, quello della Cina che si proietta sul Pacifico e sull’Africa, quello dell’India che signoreggia tra l’Asia e l’Africa.
Sul Nicaragua: «Non ho altra scelta che pensare a uno squilibrio nella persona che guida [Daniel Ortega]. È come portare la dittatura comunista del 1917 o hitleriana del 1935, riportarle qui oggi, no? Sono una sorta di dittature rozze, grossolane» (intervista a Infobae del 10.3.2023). Mai nessun papa ha parlato così di una qualsiasi dittatura: ha fatto bene Francesco a farlo? Io credo abbia fatto bene.
Non vuole il titolo di capo di stato. A mio parere oggi, a 10 anni dall’elezione di Francesco, ci appare chiaro che il suo progetto di «conversione del papato» comporta anche una fuoriuscita – un progetto di fuoriuscita – dalla tradizione statuale e diplomatica: «Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale» (Evangelii gaudium, n. 32).
Francesco non ama e non vuole il titolo di «capo dello Stato della Città del Vaticano». Non lo può abolire ma non lo usa. Lo ha fatto mettere tra i «titoli storici». E tanti sono i suoi gesti e le sue parole ispirati a quel disamore: i 5 spunti da me escussi possono valere come modello interpretativo applicabile a cento altri.
La fuoriuscita personale dalla tradizione diplomatica la possiamo vedere come particella del progetto di Chiesa in uscita che Francesco ha posto a motto del pontificato. I primi passi non possono che essere fatti a tentoni e l’uomo Bergoglio vi aggiunge i suoi malestri, ma a mio parere è comunque un bene che l’impresa sia tentata. Sarà opera di più pontificati.
Siamo al preludio e forse questo primo atto può riuscire meglio, chissà, a un papa improvvisatore piuttosto che a uno calcolatore. Perché vi sono muraglie sulle quali il calcolo non ha presa.
Mia nota aggiuntiva. Il testo che ho riportato nei commenti che precedono conclude un’istruttoria che avevo condotto qui nel blog a partire da un post del 26 marzo al quale avevo dato seguito con altri apparsi il 28 e il 30 marzo, il 4 e il 10 aprile. L’avessi scritto ora, quel testo, vi avrei potuto aggiungere una puntata sulle parole dette domenica dal Papa in aereo a riguardo delle iniziative della Santa Sede per la pace in Ucraina: “Adesso è in corso una missione, ma ancora non è pubblica. Vediamo come… [andrà]. Quando sarà pubblica la dirò”. Più avanti, in quella stessa conversazione, Francesco si è sbilanciato anche a riguardo di un possibile interessamento vaticano alla vicenda dei bambini ucraini “deportati” in Russia: “Penso di sì [che quell’interessamento vi sarà] perché la Santa Sede ha fatto da intermediario in alcune delle situazioni di scambio di prigionieri, e tramite l’ambasciata questa è andata bene, penso che può andare bene anche questa”. La grammatica della diplomazia proibisce – a meno di uno specifico accordo congiunto – di parlare di iniziative riservate che si conducono in un contesto di guerra, quali sono le due toccate da Francesco nella conversazione con i giornalisti. Da qui le proteste delle due parti in conflitto e da qui il faticoso rimedio apportato ieri dal cardinale Parolin. Senza entrare nel merito di queste nuove, complicatissime questioni, dirò che trovo utile la sgrammaticatura papale nel segno della veracità e della vocazione a smuovere le cose, nonché della pedagogia di pace mirata all’opinione pubblica mondiale. Ma essa appare anche, a una prima occhiata, controproducente per quanto riguarda l’efficacia operativa delle due iniziative. Se non altro perchè, mettendo in chiaro le tue intenzioni, offri armi a chi ha interesse a farle fallire. Se ardua è la grammatica della diplomazia, almeno altrettanto spinoso è lo sganciamento da essa.
https://gpcentofanti.altervista.org/il-dono-della-sincerita-del-cuore/
“trovo utile la sgrammaticatura papale nel segno della veracita’”
Se fosse nel segno della veracita’ sarebbe utile certo, ma e’ più probabile che non vi sia in realta’ alcuna “missione segreta” in atto e che Bergoglio scambi i vaghi e confusionari sforzi che sta facendo ,per una ” missione segreta” in atto.
Purtroppo a furia di governare rilasciando interviste il pontefice attuale vive in una “bolla” mediatica in cui crede di essere l’ influentissimo laedet politico mondiale che i giornalisti gli assicurano che e’.
Viva il Sismografo. Il mio articolo è stato ripreso dal Sismografo:
https://ilsismografo.blogspot.com/2023/05/vaticano-il-papa-e-la-diplomazia-pane.html
Ma pensa te, parla di bolla chi vive in una bolla dal 2013.
Cristina Vicquery
Dall’arcivescovo Agostino Marchetto ricevo questo messaggio:
Carissimo, Buonasera.
Leggo oggi il tuo “Il Papa e la Diplomazia” apparso su Il Regno. Posso dirti che i cinque punti che hai scelto li considero azzeccati e che fondamentalmente valido sia anche quel che in essi scrivi? Bene e grazie.
+ Agostino
Mia nota. L’apprezzamento è particolarmente pertinente venendo da un ex nunzio.