Maria Pia è il tipo di medico che mi sarebbe piaciuto incontrare, le poche volte che sono stato in ospedale per me e le molte che vi ho accompagnato persone che mi erano care: sveglia e curiosa, si è laureata in lettere con una tesi su Pirandello, legge Borges mentre fa anticamera, ama i cani e gli uccelli e i fiori. Ma lei ci assicura – nel diario della sua malattia: Riconquisto la mia vita! Nei labirinti della sanità e nell’umana solidarietà, Cittadella editrice 2000 – di non essere stata così, quand’era solo un medico: incredibilmente ci dice che quella sua viva umanità, quella passione per tutto e per tutti, a partire dai più deboli, l’ha scoperta facendo l’esperienza della malattia. Ecco una pagina chiave di quel diario:
E’ veramente facile divenire amici, o almeno affratellarsi in una corsia d’ospedale, quando si è dalla parte del letto. Io conoscevo assi bene l’altra parte della sponda, quando ero solo un povero medico: conoscevo bene le rivalità, gli attivismi, la sudditanza, i tanti dubbi, l’arroganza, lo sconforto, l’impotenza, le rare vittorie…
Oggi conosco l’altezza umana, la ricchezza del malato e la penetrazione psicologica di chi, sdraiato sul letto, aspetta l’aiuto, comprende e sperimenta la pochezza di chi si barrica dietro al suo camice con la testa infilata nella segreta cartella clinica. Questa cela ciò che solo il malato profondamente conosce e ha maturato con la sua sofferenza.
Oggi, in questo reparto, è tutto da scoprire; sono solo una paziente e nessuno deve sapere che sono un medico.
Prima della scoperta del tumore – che avviene nel 1997 – Maria Pia era sì un medico responsabile, ma non conosceva dal di dentro la paura e la dignità del malato. Ora ha imparato a essere una sorella per ogni malato. Anzi per ogni vivente. Parla al suo cane, che si chiama Mosè. Ha imparato a godere le piccole gioie, a “vedere” oltre le apparenze: “Tale maturazione è merito della mia malattia, che mi ha spalancata la coscienza della dimensione divina dell’anima che accompagna un corpo sofferente”.
Francescanamente ora Maria Pia benedice ogni creatura che la porta al Signore, fino a quella che non sapremmo neanche definire “creatura”: “Benedetto il mio male che mi fa comprendere il pianto notturno, sommesso, discreto, disperato di Ivana”.
Arriva persino a nominare serenamente – più volte – “sorella morte”, come in questo dialogo con Lina, la pietosa infermiera che se ne è andata per sempre: “Dimmi, Lina, questi rari incontri già ci hanno premiato e nulla più dobbiamo desiderare, o tu sai dirmi se c’è di più oltre il silenzio di sorella morte?”.
Maria Pia ci dice che fu in una notte d’ospedale che scoprì l’amore: “E’ una notte al Fatebenefratelli in cui l’incontro intimo di quattro sofferenze si concretizza per me nella scoperta dell’amore per eccellenza; è una notte in una corsia ospedaliera in cui il pianto mi rivela la presenza divina, la sofferenza è la carica vitale di chi si ribella, la disperazione è l’invocazione affinchè l’umanità malata sia soccorsa”.
Il diario Maria Pia non l’ha scritto per pubblicarlo, ma per aiutarsi a tenere stretto il timone nell’avventura della malattia. Ha deciso di pubblicarlo quando l’aveva già scritto e lo presenta come “un atto d’amore per quei tanti fratelli che ho incontrato nella strada della sofferenza, per quelli che ho conosciuto e per quelli che erano nell’altra corsia; tutti li riconosco, tutti ci conosciamo e ci somigliamo: siamo quelli che, scoprendo una o più metastasi, continuiamo a lottare e a sperare, mostrando il valore della vita in ogni situazione”.
Il libro è una denuncia contro i “grovigli della sanità”. Ed è bello sentire da un medico, dette con precisione, tutte le storture che ci è capitato di sperimentare anche solo visitando dei ricoverati, increduli se le avevamo viste o sognate.
Nella prima pagina c’è questo distico: “Dedicato a quei medici che sanno soffrire insieme ai loro malati e trovano la forza per non fuggire davanti alla malattia inarrestabile”.
Anche nella preghiera, Maria Pia è un bel tipo! Il diario è pieno di invocazioni ed eccone una, centrale, rivolta a Gesù Crocifisso: “Conservami fino alla fine quella dignità umana che ho sempre difesa e che ora potrei vedere affievolita per il male, per la disperazione; conserva alla mia persona quel valore che tu le hai riconosciuto calandoti nel corpo umano”.
La preghiera che ho trascritto è bella, ma ancora più bella è la nota che l’accompagna: “La mia richiesta è stata categorica, forte, impositiva e sento dentro di me che sono stata ascoltata”. Anche noi lo sentiamo, da tutto il volume, che Maria Pia riesce a tenere alta la dignità che la fa immagine di Dio. E mandiamo tutta la nostra solidarietà a questa sorella combattiva e combattente.
Nove anni dopo. Avevo scritto la recensione riportata qui sopra alla fine del 2000. Maria Pia è poi morta il venerdì 18 ottobre 2002. Sulla rivista FateBeneFratelli di ottobre – dicembre 2002 Fra Marco Fabello riportava l’ultima lettera che gli aveva scritto Maria Pia il luglio precedente: “Oggi sento la necessità di comunicare con lei quasi nel timore che il mio tempo sia prossimo a finire. Effettivamente da sei mesi il mio male ha fatto passi da gigante come se l’organismo fosse stanco di combattere e sentisse che le difese non bastano più in questa impari lotta. Grazie perché sa amare i malati e grazie a tutti i Figli di San Giovanni di Dio che imboccano quella strada solo per amore dell’umanità nella quale riscoprono il primo sofferente lassù sulla croce”.
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel dicembre 1996, aggiornato nel novembre 2009]