Marialuisa Donadio, stupenda sorella della fede, se ne è andata il 2 gennaio 1998: dopo 33 anni di totale immobilità, finalmente avrà potuto battere le mani, ridere e ballare nell’incontro con lo sposo. Mi permetto di raccontare così la sua partenza, perchè così lei ci aveva insegnato ad attenderla: come festa di nozze, come la notte nuziale. Invece di raccontare la sua vita tribolata, ascoltiamo la sua voce di findanzata:
Finalmente, batterò le mani
per fare festa alla tua presenza,
perchè mi aprirai
quando busserò alla tua porta!
Marialuisa non muoveva le mani. Quando si bloccò la destra, passò alla sinistra. Infine non le restò che dettare e non poteva girare la testa: colpita a 22 anni dalla sclerosi a placche, la precocità della disgrazia l’aveva aiutata a mantenere la freschezza di quell’età. Non poteva fare festa agli amici che andavano a trovarla. A questa lunga sofferenza va ricondotta la felice ispirazione di immaginare come un battito di mani l’incontro con l’Amato. In questa poesia intitolata «Domani» il battito di mani diventa un ballo cosmico:
Da un giorno all’altro
sono certa, camminerò,
sarò libera e canterò!
Ieri e oggi,
passato e presente
saranno un attimo
da dimenticare per vivere
ridendo e ballando
proiettata nel futuro
senza fine della gioia
concessami dal Padre.
Nona di dieci figli, nasce a Corigliano Calabro nel 1942. Aiutata dalla mamma e da tutti i familiari, specie dalla sorella Anna, Marialuisa ha vissuto – dopo l’arrivo dell’immobilità – una conversione evangelica di straordinaria progressione. Il diario e le poesie l’hanno portata da tanti che non l’hanno mai incontrata. Ha tenuto corrispondenza con Tonino Bello, Rita Levi Montalcini, Davide Maria Turoldo, per dire i nomi più noti. I titoli delle sue raccolte di poesie sono una traccia per la lettura:
«Un’esperienza forte», Ecumenica editrice, Bari 1983; «Una testimonianza», Arti Grafiche Ioniche, Corigliano Calabro 1987; «Sulla terra un grido», La Meridiana, Molfetta 1989; «La preghiera è nel corpo» e «Sul Cantico dei cantici» (ciclostilati in proprio).
Nelle poesie sul Cantico dei cantici fa la parte della sposa. Questa è intitolata «Mio Cantico»:
Se dormo mi sveglia,
se piango lo chiamo:
vieni, anima mia,
portami con te
al banchetto tuo nuziale.
Il vescovo Tonino Bello, vicino a morire, le mandò questo addio: «Carissima, ti scrivo in un momento per me non molto facile, per dirti che il tuo esempio e la tua freschezza d’animo mi sono stati di grande aiuto. Continua, anche quando pure per te la galleria si farà più buia. Il Signore ci è vicino. E noi dobbiamo saperlo dire a tutti. Coraggio a te, a me e agli altri che, per causa nostra, soffrono anch’essi. La Vergine ti custodisca nel cavo della sua mano. Ti abbraccio».
La più bella – per me – delle sue poesie è quella che riporto qui sotto: e la nota in prosa che la precede è meglio dei versi. Segnalo l’espressione «sicura nella fede» e la citazione – alla fine del componimento – del titolo di un libro di Papa Wojtyla: «Varcare la soglia della speranza»:
La Grande Vigilia
Stanotte, nel pianto silenzioso, con mente stanca, con palpiti e sospiri stroncati, ho pensato una preghiera calda come lampada sull’altare. La dirò tutti i giorni, tutte le ore, senza parlare, sicura nella fede, fino alla grande Vigilia, la notte dell’Immenso Atteso che ha già piantato la sua tenda fra noi:
Signore che mi leggi dentro il cuore
eccomi pronta a fare il tuo volere.
Assistimi.
Fa’ che io possa essere
tua vivente testimonianza.
Nella tua forza tutte le mie debolezze.
Nella tua vittoria le mie sconfitte.
Nel tuo abbraccio le mie solitudini.
Non sento più il peso
di avere un corpo malato.
Sono tua figlia con un cuore per amare.
Così, dopo aver varcato
la soglia della speranza,
sazia di pace, di luce, di armonia,
attendo il giorno dell’incontro con Te.
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nell’ottobre 1999]