“Ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo, in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili, divine”: parole di Von Balthasar che abbiamo letto nell’ultimo Pizza e Vangelo – lunedì 28 giugno – chiedendoci perché mai Gesù parlasse in parabole. Qui trovi la registrazione audio della serata e nel primo commento l’intero brano balthasariano.
Von Balthasar: ogni parlata di Dio in suoni umani non può essere che parabola
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Von Balthasar. Il fatto che Gesù parlava solo in parabole (Marco 4, 34) indica che lui voleva stimolare i suoi ascoltatori a cercare, partendo dal primo dei due punti focali della parabola, il secondo, situato lontano, all’infinito. Una ricerca che esige uno slancio, un allungo verso l’inafferrabile […]. La cosa decisiva nelle parabole di Gesù è il fatto che esse partono dalla realtà più vicina e più quotidiana, già nota in tutto e per tutto, e mai assolutamente da una qualche realtà misteriosa di cui ci si debba impadronire come in un cruciverba. No, vi si perde semplicemente una moneta, o qualche pecora, oppure ci si meraviglia di come insorga la zizzania che non si era voluta seminare […]. E Gesù comincia: “A che cosa dobbiamo paragonare il Regno di Dio?” (Matteo 4, 30). Come se si domandasse in che modo alludere con abbastanza efficacia alla realtà nascosta che gli sta a cuore. Se egli sceglie a tanto la realtà quotidiana, dove sta il trampolino per il confronto? Di certo nel fatto che la stessa realtà più comune contiene in sé qualcosa di straordinario e di meraviglioso, coperto forse di terra come il tesoro nel campo. Il pezzo di pane che noi possiamo elaborarci e che ci mantiene in vita non è forse già un miracolo nascosto? […] Bisogna scoprire i miracoli nascosti dell’esistenza tutt’altro che ovvia, per poi, a partire da questi miracoli, andare a cercare l’assoluto Miracolo. Tutta la realtà naturalmente ovvia, che Gesù cita, è ben più meravigliosa di tutte le meraviglie tecniche prodotte dall’uomo. I gigli del campo sono più miracoli delle vesti sontuose di Salomone. Appartiene a simili miracoli anche la lingua umana che, con i suoi suoni percepibili, è in grado di comunicare realtà spirituali profonde. Ogni lingua è in se stessa una parabola. Ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo, in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili, divine.
Hans Urs von Balthasar, Senza parabole non parlava loro, capitolo 45 del volume Tu hai parole di vita eterna, Jaca Book 1989, pp. 104 e 105
https://gpcentofanti.altervista.org/il-segno-di-gesu/
“Ogni lingua e’in se stessa una parabola”
Gli antichi kabbalisti ebrei addirittura credevano che in ogni singola lettera dell’alfabeto ebraico, proprio nel modo in cui era scritta la lettera e pronunciata ci fosse un’intero universo .L’antica Bibbia ebraica non aveva segni di interpunzione o spazi fra le parole ,era un continuo fluire di lettere , cioe’di simboli, e chi avesse trovato in questo continuo fluire delle “stringhe”particolari di lettere che erano i Nomi di Dio, pronunciandolo avrebbe avuto una vertiginoso conoscenza dell’intero Universo .Da qui il racconto di Jorge Borges ” L’Aleph”.
Purtroppo l’interesse per questo aspetto dello studio delle Sacre Scritture si e’perso nel tempo. L’interpretazione (umana) ha preso piu’ importanza del testo ( divino) , e addirittura si e’ arrivato a considerare la Sacra Scrittura come un verbale redatto su certi avvenimenti in una certa epoca storica, un verbale pieno di errori umani piuttosto che come la Parola Divina
Caro Luigi,
che dire a conclusione di questa stagione di Pizza&Vangelo. Solo grazie, per l’ospitalità e per il buon esempio.
Lo dico così, con un’espressione all’antica, senza enfasi, il buon esempio. Il buon esempio di dedizione alla Parola, parola da ascoltare con attenzione e da cui lasciarsi interrogare. In mezzo c’è stata l’evoluzione online e poi quello che sappiamo; ed è stata una grandissima gioia tornare a vederti.
A proposito di dedizione alla Parola, desidero aggiungere solo un commento a proposito di una delle ultime parabole che abbiamo commentato, quella del seme che cresce da solo.
Consentimi di preferire l’intitolazione di Jeremias “il contadino paziente”.
Effettivamente nel testo è scritto che il contadino non sa come avvenga la germinazione, quel “non sa” io lo interpreto alla lettera “non sa come” (anche se è prevalente l’interpretazione “non sa perché”, per forza intrinseca del seme).
Può mai un seme germogliare senza minima cura? Poteva Gesù proporre una parabola del tutto inverosimile? Quella parabola ci dice che dobbiamo fare la nostra parte, almeno innaffiare, con pazienza, senza preoccuparci troppo del come. Il resto, “misteriosamente”, verrà.
Tu ci hai aiutato a coltivare. Grazie. E buone ferie, per te e la tua famiglia.