La chiave di tutte le parabole di Gesù: chi vede me vede il Padre
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Luigi Accattoli
Per vedere il Regno in un seme. Come possiamo vedere il Regno in un seme o in un seminatore, in un pugno di lievito, in un banchetto? Come vedere il Signore nell’affamato e il Padre che è nei cieli nel padre terreno che corre incontro al figlio fuggiasco e ritornante? La chiave per vedere nel primo fuoco di ogni parabola il secondo fuoco inteso dal narratore sta nelle parole di Gesù riferite dal Vangelo di Giovanni: “Chi vede me vede il Padre” (14, 9). Questa chiave sarà al centro della serata di Pizza e Vangelo che faremo lunedì via Zoom.
26 Giugno, 2021 - 13:16
Luigi Accattoli
Sul parlare in parabole. Lunedì 28 torniamo su due versetti del capitolo 4 di Marco: versetti che abbiamo già letto la volta scorsa ma dai quali vogliamo partire per un approfondimento sul “parlare in parabole” di Gesù. Ci faremo aiutare da sei maestri cristiani del nostro tempo, che ora elenco in ordine cronologico, secondo la data di pubblicazione dell’opera alla quale faremo riferimento: Joachim Jeremias (1952), Rudolf Schnackenburg (1966), Carlo Maria Martini (1985), Hans Urs von Balthasar (1989), Joseph Ratzinger (2007), Bruno Maggioni (2008). Dopo richiamato il detto di Gesù sul parlare in parabole, riporto i sei testi e alla fine metto una mia guida alla lettura.
26 Giugno, 2021 - 13:18
Luigi Accattoli
Marco 4, 33 e 34. 33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
v. 33: Con molte parabole dello stesso genere. Tutti e tre i Sinottici hanno un capitolo dedicato alle parabole del Regno, incentrato sulla regina delle parabole che è quella del seminatore e ampliato alla questione del perché il Maestro parlasse in parabole: Matteo il capitolo 13, che nella traduzione Cei è intitolato “Sette parabole sul Regno”; Marco questo capitolo 4; Luca il capitolo 8.
v. 33 bis: annunciava loro la Parola. “Loro” è da intendere “a tutti”, cioè alla “folla enorme” nominata ad apertura del capitolo (4, 1), alla quale Gesù narra la parabola del seminatore; che è poi la stessa folla alla quale si rivolge di nuovo – dopo l’intermezzo della spiegazione ai discepoli – con le due parabole dei versetti 26-32.
v. 34: Senza parabole non parlava loro. Ripete quanto già detto al versetto 4, 11: “per quelli che sono fuori tutto avviene in parabole”.
26 Giugno, 2021 - 13:19
Luigi Accattoli
1.Jeremias. Gesù non soltanto ha parlato ma ha anche agito in parabole. Fra le sue parabole attualizzate la più efficace fu la concessione della comunione di mensa ai disprezzati (Luca 19, 5s) e l’accoglimento di questi in casa sua (Luca 15, 1-2) e persino nel cerchio dei suoi discepoli (Marco 2, 14). Questi pasti con dazieri sono segni profetici, i quali, più efficacemente che le parole, proclamano, in modo che non si può non sentire: ora è il tempo del Messia, il tempo del Messia è tempo di remissione […]. In modo sempre nuovo Gesù, mediante le proprie azioni, proclama il sorgere del tempo di salvezza: mediante le guarigioni, mediante la rinuncia al digiuno […], mediante l’ingresso trionfale a Gerusalemme e la cacciata dal tempio, mediante la scelta dell’asina come cavalcatura per quell’ingresso […]; ponendo un fanciullo innanzi ai discepoli ambiziosi, lavando loro i piedi […]. Anche il pianto su Gerusalemme si può porre tra le parabole attualizzate […]. Esse dimostrano che Gesù non soltanto ha proclamato il messaggio delle parabole, ma le ha vissute e incarnate nella sua persona. Gesù non annuncia soltanto il messaggio del Regno di Dio, egli nello stesso tempo lo è.
Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, Paideia 1967, pp. 276-279
26 Giugno, 2021 - 13:20
Luigi Accattoli
2. Schnackenburg. La frase di Gesù “Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere” può anche chiarire la funzione delle parabole come suscitatrici di crisi interiori: non tutti sono in grado di “intendere” allo stesso modo. Con le parabole Gesù prende in considerazione l’intelligenza, ma anche la ricettività degli uditori nei riguardi della fede. Così diventa comprensibile anche l’ultima osservazione: “ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa”. Poiché essi sono credenti e gli rimangono fedeli, egli li guida ancora più profondamente nella comprensione del grande evento, del “mistero del Regno di Dio” […]. Allora come oggi, a chi medita con fede le parabole, s’illumina d’improvviso l’avvenimento che riesce enigmatico al mondo: la nascosta attività di Dio. Così inteso, il versetto 34 diventa un profondo insegnamento nei riguardi della rivelazione stessa. Essa si presenta sempre avvolta in qualche modo in un velame: “senza parabole non parlava loro”; ma si rivela tuttavia a chi è ben disposto nella fede: “ai suoi discepoli spiegava ogni cosa”. La rivelazione divina contiene delle oscurità, ma anche delle luci a sufficienza. E’ Dio che rivolge la parola all’uomo, esigendo da quest’ultimo una risposta e una decisione.
Rudolf Schnackenburg, Vangelo secondo Marco. Volume 1°, Città Nuova 1969, p. 122
26 Giugno, 2021 - 13:21
Luigi Accattoli
3. Martini. Per comprendere l’intera vita di Gesù come parabola, propongo alcune affermazioni. Anzitutto consideriamo una tipica parabola in azione: il fico sterile maledetto: Marco 11, 12-14. 20-21 […]. E’ talmente chiaro che è un’azione simbolica che Marco si affretta ad annotare che non era stagione di fichi. La maledizione di Gesù, non può perciò riguardare la povera pianta […]. Al parallelo di Matteo (21, 19), la Bibbia di Gerusalemme spiega: “Gesù ha voluto fare un gesto simbolico nel quale il fico rappresenta Israele sterile e punito”. Gesù, come Geremia, ha compiuto azioni e gesti simbolici. Oltre questa parabola in azione, indiscussa per gli esegeti, abbiamo già ricordato altre parabole di Gesù in azione: lo stare a mensa con i peccatori, la chiamata di Levi il pubblicano, il dialogo con la samaritana, la guarigione del paralitico per mostrare che può rimettere i peccati, la donna curva guarita nel giorno di sabato. Ora vi invito a riflettere sull’osservazione che Matteo fa a proposito di Gesù che guarisce tanti malati: “Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie” (Matteo 8, 16-17). Il significato dei miracoli non si esaurisce nel risanamento fisico: essi sono segno della tenerezza, della compassione di Gesù. Potremmo dire che sono “parabole” della sua bontà […]. Gradualmente arriviamo a contemplare Gesù come parabola della misericordia del Padre: non si limita a raccontare la parabola del Padre misericordioso, ma la esprime in tutta la sua vita, la simbolizza, la rende concreta figurativamente […]. La vita intera di Gesù, il suo comportamento con la gente, il suo modo di amare si possono definire, in senso largo, parabola del Padre. E’ lo stesso evangelista Giovanni che ci invita a questo salto di fede: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (14, 9).
Carlo Maria Martini, Perché Gesù parlava in parabole?, EDB – EMI, 1985, pp. 140-143
26 Giugno, 2021 - 13:23
Luigi Accattoli
4. Von Balthasar. Il fatto che Gesù parlava solo in parabole (Marco 4, 34) indica che lui voleva stimolare i suoi ascoltatori a cercare, partendo dal primo dei due punti focali della parabola, il secondo, situato lontano, all’infinito. Una ricerca che esige uno slancio, un allungo verso l’inafferrabile […]. La cosa decisiva nelle parabole di Gesù è il fatto che esse partono dalla realtà più vicina e più quotidiana, già nota in tutto e per tutto, e mai assolutamente da una qualche realtà misteriosa di cui ci si debba impadronire come in un cruciverba. No, vi si perde semplicemente una moneta, o qualche pecora, oppure ci si meraviglia di come insorga la zizzania che non si era voluta seminare […]. E Gesù comincia: “A che cosa dobbiamo paragonare il Regno di Dio?” (Matteo 4, 30). Come se si domandasse in che modo alludere con abbastanza efficacia alla realtà nascosta che gli sta a cuore. Se egli sceglie a tanto la realtà quotidiana, dove sta il trampolino per il confronto? Di certo nel fatto che la stessa realtà più comune contiene in sé qualcosa di straordinario e di meraviglioso, coperto forse di terra come il tesoro nel campo. Il pezzo di pane che noi possiamo elaborarci e che ci mantiene in vita non è forse già un miracolo nascosto? […] Bisogna scoprire i miracoli nascosti dell’esistenza tutt’altro che ovvia, per poi, a partire da questi miracoli, andare a cercare l’assoluto Miracolo. Tutta la realtà naturalmente ovvia, che Gesù cita, è ben più meravigliosa di tutte le meraviglie tecniche prodotte dall’uomo. I gigli del campo sono più miracoli delle vesti sontuose di Salomone. Appartiene a simili miracoli anche la lingua umana che, con i suoi suoni percepibili, è in grado di comunicare realtà spirituali profonde. Ogni lingua è in se stessa una parabola. Ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo, in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili, divine.
Hans Urs von Balthasar, Senza parabole non parlava loro, capitolo 45 del volume Tu hai parole di vita eterna, Jaca Book 1989, pp. 104 e 105
26 Giugno, 2021 - 13:24
Luigi Accattoli
5. Joseph Ratzinger. Che cos’è propriamente una parabola? E che cosa vuole colui che la racconta? […] Si tratta di un duplice movimento: da un lato, la parabola trasporta la realtà lontana vicino a coloro che l’ascoltano e la meditano. Dall’altro viene messo in cammino l’ascoltatore stesso […]. Ciò significa, però, che la parabola richiede la collaborazione di chi l’apprende, che non solo riceve un insegnamento, ma deve assumere egli stesso il movimento della parabola, mettersi in cammino con essa […]. Gesù, infatti, non vuole comunicare a noi nozioni astratte che, nel profondo, non ci riguarderebbero. Deve guidarci al mistero di Dio – a quella luce che i nostri occhi non riescono a sopportare e alla quale, di conseguenza, ci sottraiamo. Affinchè essa divenga accessibile per noi, egli mostra la trasparenza della luce divina nelle cose di questo mondo e nelle realtà della nostra vita quotidiana. Per mezzo delle realtà comuni vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose e così la vera direzione che dobbiamo imboccare nella vita di tutti i giorni, per seguire la retta via. Egli ci mostra Dio, non un Dio astratto, ma il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano. Attraverso la vita di tutti i giorni ci mostra chi siamo e che cosa dobbiamo fare di conseguenza […]. E’ una conoscenza che ci reca un dono: Dio è in cammino verso di te. Ma è anche una conoscenza che ci chiede qualcosa: credi e lasciati guidare dalla fede. Così la possibilità del rifiuto è molto reale: alla parabola manca la necessaria evidenza […]. Da ultimo, le parabole sono espressione del nascondimento di Dio in questo mondo e del fatto che la conoscenza di Dio chiama sempre in causa l’uomo nella sua totalità.
Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli 2007, pp. 228-230
26 Giugno, 2021 - 13:24
Luigi Accattoli
6. Maggioni. Senza parabole non parlava loro. Se per “parabola” si intende un modo di insegnamento, si dovrebbe allora concludere che si tratta di un’evidente esagerazione: le parabole del Vangelo di Marco sono poche. Ma forse Marco intende riferirsi all’intera storia di Gesù (“tutto accade in parabole”: v. 11) che alle folle appare come una realtà velata, una parabola da decifrare, di cui si intravede qualcosa ma non il disegno complessivo […]. La sua identità e la sua vicenda, e non soltanto le sue parole, risultano chiare per alcuni (per coloro che “sono dentro” e a cui “è dato”) e restano oscure per molti (coloro che sono “fuori” e ai quali tutto “accade in parabole”): perché? E’ un interrogativo che suscita molte perplessità. La ragione per cui quelli di “fuori” non comprendono sta proprio nel fatto che rimangono fuori: è solo dall’interno che si comprende quella grande parabola che è l’evento di Gesù. Al discepolo è dato comprendere, perché sta con Gesù, lo segue e può sempre interrogarlo. La folla, invece, intravede soltanto, e resta perplessa, perché sta all’esterno a guardare. Il mistero del Regno lo si coglie unicamente dall’interno, decidendosi, decidendosi per lui. Il testo dice “è dato” (“didonai” al perfetto passivo): il donatore è Dio. Il Regno è sempre un dono, mai una conquista. E non si dice “è dato comprendere”, ma semplicemente “è dato”. E’ il Regno che viene donato, non soltanto la sua comprensione: un Regno da accogliere e vivere. E il tempo perfetto suggerisce che il Regno, che Dio ci ha donato in Gesù, continua tuttora a essere dato: “essere donato” è la condizione permanente del Regno.
Bruno Maggioni, Il racconto di Marco, Cittadella editrice 2008, pp. 99-101
26 Giugno, 2021 - 13:26
Luigi Accattoli
All’ascolto dei sei maestri. Jeremias ci avverte che Gesù non solo parla in parabole ma anche agisce in parabole, le vive nella sua persona. Il tema è ripreso da Martini, che invita a considerare l’intera vita di Gesù come “parabola del Padre”; e da Maggioni, che segnala come Marco con l’espressione “tutto accade in parabole” intenda riferirsi a tutta la storia di Gesù. Abbiamo dunque tre maestri che ci incoraggiano ad ampliare il concetto di parabola dai racconti proposti da Gesù all’intero evento del Cristo.
Schnackenburg, Von Balthasar e Ratzinger ci invitano poi a concentrare l’attenzione sul passaggio dal primo al secondo punto focale delle parabole: dal seme al Regno. Ma anche questi tre maestri invitano a leggere le parabole tenendo d’occhio l’intero messaggio evangelico.
Schnackenburg segnala che quello che vale per le parabole – a intendere le quali è necessaria la guida personale del Signore – vale per tutta la rivelazione, che è sempre in qualche modo avvolta in un velame.
Von Balthasar arriva ad affermare che “ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo”, in quanto “in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili”.
Ratzinger insiste – per intendere questo passaggio dal primo al secondo fuoco delle parabole – sulla necessità della “collaborazione di chi ascolta” il messaggio proposto in parabole.
Maggioni infine – sempre per il passaggio dal seme al Regno – chiarisce il ruolo dello “stare con Gesù” proprio dei discepoli, in quanto “il mistero lo si coglie unicamente dall’interno”. E segnala anche che questo dono del mistero del Regno viene “dato” oggi a noi come fu dato allora ai discepoli, con la stessa difficoltà di comprensione per chi vi resta estraneo e con lo stesso aiuto a comprendere che viene dalla discepolanza.
26 Giugno, 2021 - 13:26
Luigi Accattoli
C’è pizza e pizza. Chi voglia sapere che sia “Pizza e Vangelo” vada nella pagina che ha questo nome: è elencata per quarta sotto la mia foto, ad apertura del blog. Propongo nel blog i testi che affrontiamo nel gruppo biblico [c’è da 18 anni] perché chi può tra i visitatori mi dia una mano – un suggerimento, uno spunto, una critica – nella preparazione della lectio. Gli incontri si chiamano “pizza e Vangelo” perchè prima si mangia una pizza e poi si fa la lectio. Ora la pizza non c’è ma il nome è sempre quello: i nomi durano più delle cose.
26 Giugno, 2021 - 14:26
Luigi Accattoli
Forza venite gente. Siamo un gruppo di una ventina di lettori della Bibbia che da quasi vent’anni si riunisce a casa mia per una lettura continuata del Nuovo Testamento: abbiamo fatto ad oggi il Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli e ora stiamo leggendo il Vangelo di Marco. Dall’arrivo della pandemia gli incontri avvengono via Zoom. Chi non è stato mai agli incontri in presenza e non si è mai collegato, e magari non abita a Roma, e lunedì voglia provarci, mi scriva in privato [andando alla finestra “manda un’email” che è sotto la mia foto] e io privatamente gli indicherò il modo di unirsi al meeting, che andrà dalle ore 21.00 alle 22.30 di lunedì 28. L’ultimo appuntamento fu lunedì 14 giugno e la registrazione audio di quell’incontro la trovi nel post del 20 giugno. Invito chi già partecipa a cercare nuovi pizzaroli.
Si potrebbe estendere l’intuizione profonda del card. Martini su “la vita di Gesu’ come parabola del Padre o del Regno “all’intera vita. Cioe’non solo la vita di Gesu’ ma ogni vita e in assoluto la Vita non è:che una parabola ,segue le leggi della narrazione delle parabole. Per questo Gesu’parlava solo in parabole. Anche i saggi rabbini Chassidici di Praga o di Varsavia, come si legge nelle amabili pagine raccolte da Martin Buber,quando venivano consultati su un problema rispondevano con un racconto.raccontavano un episodio accaduto al tale o talatro rabbino o santo , per illuminare il problema posto loro dal consultante. Non sempre il consultante capiva,,infatti con tipico umorismo ebraico, si vede spesso raffigurato il povero ebreo che torna dall’aver consultato il Rabbino, piu’confuso e dubbioso di prima. Che ti ha detto il Santo Rabbino? Mah, mi ha raccontato una storia….
La stessa cosa ,in altri contesti, sono i piccoli apologhi che il Maestro del buddismo Zen sottopone ai suoi monaci …
Gesu’ voleva parlare della Vita,del mistero della Vita, non di una teoria astratta, ne’ di norme morali o moralisteggianti, p , la Vita,di chiunque anche del piu’ misero di noi uomini, non e’che una parabola. Piena di detto e non-detto, di mistero eppure di evidenza, di luce che ci pare di percepire e poi di tenebra.Di contraddizioni eppure nel suo fondo giace la Verita’ . Anche il fulmineo episodio del Buon Ladrone crocifisso a destra di Gesù e istantaneamente salvato dopo una vita di chissa’quali crimini,e’ una parabola della vita uman.Per questo l’eterno ritornello del Vangelo:chi ha orecchie per intendere intenda…
27 Giugno, 2021 - 8:42
maria cristina venturi
E naturalmente tutte le parabole sono contenute “in potenza” nel versetto o fondamentale della Rivelazione :
Ascolta Israele, Il Signore e”il nostro Dio, il Signore e’ UNO
E tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore con tutte le tue forze e con tutta la tua mente. E il prossimo tuo come te stesso. ( Non sono forse gia’ qui in “potenza” la parabola del buon samaritano, delle vergini sagge , del banchetto di nozze, del padrone della vigna, del figliol prodigo ecc.?)
Per vedere il Regno in un seme. Come possiamo vedere il Regno in un seme o in un seminatore, in un pugno di lievito, in un banchetto? Come vedere il Signore nell’affamato e il Padre che è nei cieli nel padre terreno che corre incontro al figlio fuggiasco e ritornante? La chiave per vedere nel primo fuoco di ogni parabola il secondo fuoco inteso dal narratore sta nelle parole di Gesù riferite dal Vangelo di Giovanni: “Chi vede me vede il Padre” (14, 9). Questa chiave sarà al centro della serata di Pizza e Vangelo che faremo lunedì via Zoom.
Sul parlare in parabole. Lunedì 28 torniamo su due versetti del capitolo 4 di Marco: versetti che abbiamo già letto la volta scorsa ma dai quali vogliamo partire per un approfondimento sul “parlare in parabole” di Gesù. Ci faremo aiutare da sei maestri cristiani del nostro tempo, che ora elenco in ordine cronologico, secondo la data di pubblicazione dell’opera alla quale faremo riferimento: Joachim Jeremias (1952), Rudolf Schnackenburg (1966), Carlo Maria Martini (1985), Hans Urs von Balthasar (1989), Joseph Ratzinger (2007), Bruno Maggioni (2008). Dopo richiamato il detto di Gesù sul parlare in parabole, riporto i sei testi e alla fine metto una mia guida alla lettura.
Marco 4, 33 e 34. 33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
v. 33: Con molte parabole dello stesso genere. Tutti e tre i Sinottici hanno un capitolo dedicato alle parabole del Regno, incentrato sulla regina delle parabole che è quella del seminatore e ampliato alla questione del perché il Maestro parlasse in parabole: Matteo il capitolo 13, che nella traduzione Cei è intitolato “Sette parabole sul Regno”; Marco questo capitolo 4; Luca il capitolo 8.
v. 33 bis: annunciava loro la Parola. “Loro” è da intendere “a tutti”, cioè alla “folla enorme” nominata ad apertura del capitolo (4, 1), alla quale Gesù narra la parabola del seminatore; che è poi la stessa folla alla quale si rivolge di nuovo – dopo l’intermezzo della spiegazione ai discepoli – con le due parabole dei versetti 26-32.
v. 34: Senza parabole non parlava loro. Ripete quanto già detto al versetto 4, 11: “per quelli che sono fuori tutto avviene in parabole”.
1.Jeremias. Gesù non soltanto ha parlato ma ha anche agito in parabole. Fra le sue parabole attualizzate la più efficace fu la concessione della comunione di mensa ai disprezzati (Luca 19, 5s) e l’accoglimento di questi in casa sua (Luca 15, 1-2) e persino nel cerchio dei suoi discepoli (Marco 2, 14). Questi pasti con dazieri sono segni profetici, i quali, più efficacemente che le parole, proclamano, in modo che non si può non sentire: ora è il tempo del Messia, il tempo del Messia è tempo di remissione […]. In modo sempre nuovo Gesù, mediante le proprie azioni, proclama il sorgere del tempo di salvezza: mediante le guarigioni, mediante la rinuncia al digiuno […], mediante l’ingresso trionfale a Gerusalemme e la cacciata dal tempio, mediante la scelta dell’asina come cavalcatura per quell’ingresso […]; ponendo un fanciullo innanzi ai discepoli ambiziosi, lavando loro i piedi […]. Anche il pianto su Gerusalemme si può porre tra le parabole attualizzate […]. Esse dimostrano che Gesù non soltanto ha proclamato il messaggio delle parabole, ma le ha vissute e incarnate nella sua persona. Gesù non annuncia soltanto il messaggio del Regno di Dio, egli nello stesso tempo lo è.
Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, Paideia 1967, pp. 276-279
2. Schnackenburg. La frase di Gesù “Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere” può anche chiarire la funzione delle parabole come suscitatrici di crisi interiori: non tutti sono in grado di “intendere” allo stesso modo. Con le parabole Gesù prende in considerazione l’intelligenza, ma anche la ricettività degli uditori nei riguardi della fede. Così diventa comprensibile anche l’ultima osservazione: “ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa”. Poiché essi sono credenti e gli rimangono fedeli, egli li guida ancora più profondamente nella comprensione del grande evento, del “mistero del Regno di Dio” […]. Allora come oggi, a chi medita con fede le parabole, s’illumina d’improvviso l’avvenimento che riesce enigmatico al mondo: la nascosta attività di Dio. Così inteso, il versetto 34 diventa un profondo insegnamento nei riguardi della rivelazione stessa. Essa si presenta sempre avvolta in qualche modo in un velame: “senza parabole non parlava loro”; ma si rivela tuttavia a chi è ben disposto nella fede: “ai suoi discepoli spiegava ogni cosa”. La rivelazione divina contiene delle oscurità, ma anche delle luci a sufficienza. E’ Dio che rivolge la parola all’uomo, esigendo da quest’ultimo una risposta e una decisione.
Rudolf Schnackenburg, Vangelo secondo Marco. Volume 1°, Città Nuova 1969, p. 122
3. Martini. Per comprendere l’intera vita di Gesù come parabola, propongo alcune affermazioni. Anzitutto consideriamo una tipica parabola in azione: il fico sterile maledetto: Marco 11, 12-14. 20-21 […]. E’ talmente chiaro che è un’azione simbolica che Marco si affretta ad annotare che non era stagione di fichi. La maledizione di Gesù, non può perciò riguardare la povera pianta […]. Al parallelo di Matteo (21, 19), la Bibbia di Gerusalemme spiega: “Gesù ha voluto fare un gesto simbolico nel quale il fico rappresenta Israele sterile e punito”. Gesù, come Geremia, ha compiuto azioni e gesti simbolici. Oltre questa parabola in azione, indiscussa per gli esegeti, abbiamo già ricordato altre parabole di Gesù in azione: lo stare a mensa con i peccatori, la chiamata di Levi il pubblicano, il dialogo con la samaritana, la guarigione del paralitico per mostrare che può rimettere i peccati, la donna curva guarita nel giorno di sabato. Ora vi invito a riflettere sull’osservazione che Matteo fa a proposito di Gesù che guarisce tanti malati: “Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie” (Matteo 8, 16-17). Il significato dei miracoli non si esaurisce nel risanamento fisico: essi sono segno della tenerezza, della compassione di Gesù. Potremmo dire che sono “parabole” della sua bontà […]. Gradualmente arriviamo a contemplare Gesù come parabola della misericordia del Padre: non si limita a raccontare la parabola del Padre misericordioso, ma la esprime in tutta la sua vita, la simbolizza, la rende concreta figurativamente […]. La vita intera di Gesù, il suo comportamento con la gente, il suo modo di amare si possono definire, in senso largo, parabola del Padre. E’ lo stesso evangelista Giovanni che ci invita a questo salto di fede: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (14, 9).
Carlo Maria Martini, Perché Gesù parlava in parabole?, EDB – EMI, 1985, pp. 140-143
4. Von Balthasar. Il fatto che Gesù parlava solo in parabole (Marco 4, 34) indica che lui voleva stimolare i suoi ascoltatori a cercare, partendo dal primo dei due punti focali della parabola, il secondo, situato lontano, all’infinito. Una ricerca che esige uno slancio, un allungo verso l’inafferrabile […]. La cosa decisiva nelle parabole di Gesù è il fatto che esse partono dalla realtà più vicina e più quotidiana, già nota in tutto e per tutto, e mai assolutamente da una qualche realtà misteriosa di cui ci si debba impadronire come in un cruciverba. No, vi si perde semplicemente una moneta, o qualche pecora, oppure ci si meraviglia di come insorga la zizzania che non si era voluta seminare […]. E Gesù comincia: “A che cosa dobbiamo paragonare il Regno di Dio?” (Matteo 4, 30). Come se si domandasse in che modo alludere con abbastanza efficacia alla realtà nascosta che gli sta a cuore. Se egli sceglie a tanto la realtà quotidiana, dove sta il trampolino per il confronto? Di certo nel fatto che la stessa realtà più comune contiene in sé qualcosa di straordinario e di meraviglioso, coperto forse di terra come il tesoro nel campo. Il pezzo di pane che noi possiamo elaborarci e che ci mantiene in vita non è forse già un miracolo nascosto? […] Bisogna scoprire i miracoli nascosti dell’esistenza tutt’altro che ovvia, per poi, a partire da questi miracoli, andare a cercare l’assoluto Miracolo. Tutta la realtà naturalmente ovvia, che Gesù cita, è ben più meravigliosa di tutte le meraviglie tecniche prodotte dall’uomo. I gigli del campo sono più miracoli delle vesti sontuose di Salomone. Appartiene a simili miracoli anche la lingua umana che, con i suoi suoni percepibili, è in grado di comunicare realtà spirituali profonde. Ogni lingua è in se stessa una parabola. Ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo, in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili, divine.
Hans Urs von Balthasar, Senza parabole non parlava loro, capitolo 45 del volume Tu hai parole di vita eterna, Jaca Book 1989, pp. 104 e 105
5. Joseph Ratzinger. Che cos’è propriamente una parabola? E che cosa vuole colui che la racconta? […] Si tratta di un duplice movimento: da un lato, la parabola trasporta la realtà lontana vicino a coloro che l’ascoltano e la meditano. Dall’altro viene messo in cammino l’ascoltatore stesso […]. Ciò significa, però, che la parabola richiede la collaborazione di chi l’apprende, che non solo riceve un insegnamento, ma deve assumere egli stesso il movimento della parabola, mettersi in cammino con essa […]. Gesù, infatti, non vuole comunicare a noi nozioni astratte che, nel profondo, non ci riguarderebbero. Deve guidarci al mistero di Dio – a quella luce che i nostri occhi non riescono a sopportare e alla quale, di conseguenza, ci sottraiamo. Affinchè essa divenga accessibile per noi, egli mostra la trasparenza della luce divina nelle cose di questo mondo e nelle realtà della nostra vita quotidiana. Per mezzo delle realtà comuni vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose e così la vera direzione che dobbiamo imboccare nella vita di tutti i giorni, per seguire la retta via. Egli ci mostra Dio, non un Dio astratto, ma il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano. Attraverso la vita di tutti i giorni ci mostra chi siamo e che cosa dobbiamo fare di conseguenza […]. E’ una conoscenza che ci reca un dono: Dio è in cammino verso di te. Ma è anche una conoscenza che ci chiede qualcosa: credi e lasciati guidare dalla fede. Così la possibilità del rifiuto è molto reale: alla parabola manca la necessaria evidenza […]. Da ultimo, le parabole sono espressione del nascondimento di Dio in questo mondo e del fatto che la conoscenza di Dio chiama sempre in causa l’uomo nella sua totalità.
Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli 2007, pp. 228-230
6. Maggioni. Senza parabole non parlava loro. Se per “parabola” si intende un modo di insegnamento, si dovrebbe allora concludere che si tratta di un’evidente esagerazione: le parabole del Vangelo di Marco sono poche. Ma forse Marco intende riferirsi all’intera storia di Gesù (“tutto accade in parabole”: v. 11) che alle folle appare come una realtà velata, una parabola da decifrare, di cui si intravede qualcosa ma non il disegno complessivo […]. La sua identità e la sua vicenda, e non soltanto le sue parole, risultano chiare per alcuni (per coloro che “sono dentro” e a cui “è dato”) e restano oscure per molti (coloro che sono “fuori” e ai quali tutto “accade in parabole”): perché? E’ un interrogativo che suscita molte perplessità. La ragione per cui quelli di “fuori” non comprendono sta proprio nel fatto che rimangono fuori: è solo dall’interno che si comprende quella grande parabola che è l’evento di Gesù. Al discepolo è dato comprendere, perché sta con Gesù, lo segue e può sempre interrogarlo. La folla, invece, intravede soltanto, e resta perplessa, perché sta all’esterno a guardare. Il mistero del Regno lo si coglie unicamente dall’interno, decidendosi, decidendosi per lui. Il testo dice “è dato” (“didonai” al perfetto passivo): il donatore è Dio. Il Regno è sempre un dono, mai una conquista. E non si dice “è dato comprendere”, ma semplicemente “è dato”. E’ il Regno che viene donato, non soltanto la sua comprensione: un Regno da accogliere e vivere. E il tempo perfetto suggerisce che il Regno, che Dio ci ha donato in Gesù, continua tuttora a essere dato: “essere donato” è la condizione permanente del Regno.
Bruno Maggioni, Il racconto di Marco, Cittadella editrice 2008, pp. 99-101
All’ascolto dei sei maestri. Jeremias ci avverte che Gesù non solo parla in parabole ma anche agisce in parabole, le vive nella sua persona. Il tema è ripreso da Martini, che invita a considerare l’intera vita di Gesù come “parabola del Padre”; e da Maggioni, che segnala come Marco con l’espressione “tutto accade in parabole” intenda riferirsi a tutta la storia di Gesù. Abbiamo dunque tre maestri che ci incoraggiano ad ampliare il concetto di parabola dai racconti proposti da Gesù all’intero evento del Cristo.
Schnackenburg, Von Balthasar e Ratzinger ci invitano poi a concentrare l’attenzione sul passaggio dal primo al secondo punto focale delle parabole: dal seme al Regno. Ma anche questi tre maestri invitano a leggere le parabole tenendo d’occhio l’intero messaggio evangelico.
Schnackenburg segnala che quello che vale per le parabole – a intendere le quali è necessaria la guida personale del Signore – vale per tutta la rivelazione, che è sempre in qualche modo avvolta in un velame.
Von Balthasar arriva ad affermare che “ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo”, in quanto “in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili”.
Ratzinger insiste – per intendere questo passaggio dal primo al secondo fuoco delle parabole – sulla necessità della “collaborazione di chi ascolta” il messaggio proposto in parabole.
Maggioni infine – sempre per il passaggio dal seme al Regno – chiarisce il ruolo dello “stare con Gesù” proprio dei discepoli, in quanto “il mistero lo si coglie unicamente dall’interno”. E segnala anche che questo dono del mistero del Regno viene “dato” oggi a noi come fu dato allora ai discepoli, con la stessa difficoltà di comprensione per chi vi resta estraneo e con lo stesso aiuto a comprendere che viene dalla discepolanza.
C’è pizza e pizza. Chi voglia sapere che sia “Pizza e Vangelo” vada nella pagina che ha questo nome: è elencata per quarta sotto la mia foto, ad apertura del blog. Propongo nel blog i testi che affrontiamo nel gruppo biblico [c’è da 18 anni] perché chi può tra i visitatori mi dia una mano – un suggerimento, uno spunto, una critica – nella preparazione della lectio. Gli incontri si chiamano “pizza e Vangelo” perchè prima si mangia una pizza e poi si fa la lectio. Ora la pizza non c’è ma il nome è sempre quello: i nomi durano più delle cose.
Forza venite gente. Siamo un gruppo di una ventina di lettori della Bibbia che da quasi vent’anni si riunisce a casa mia per una lettura continuata del Nuovo Testamento: abbiamo fatto ad oggi il Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli e ora stiamo leggendo il Vangelo di Marco. Dall’arrivo della pandemia gli incontri avvengono via Zoom. Chi non è stato mai agli incontri in presenza e non si è mai collegato, e magari non abita a Roma, e lunedì voglia provarci, mi scriva in privato [andando alla finestra “manda un’email” che è sotto la mia foto] e io privatamente gli indicherò il modo di unirsi al meeting, che andrà dalle ore 21.00 alle 22.30 di lunedì 28. L’ultimo appuntamento fu lunedì 14 giugno e la registrazione audio di quell’incontro la trovi nel post del 20 giugno. Invito chi già partecipa a cercare nuovi pizzaroli.
https://gpcentofanti.altervista.org/levangelizzazione-di-gesu/
Si potrebbe estendere l’intuizione profonda del card. Martini su “la vita di Gesu’ come parabola del Padre o del Regno “all’intera vita. Cioe’non solo la vita di Gesu’ ma ogni vita e in assoluto la Vita non è:che una parabola ,segue le leggi della narrazione delle parabole. Per questo Gesu’parlava solo in parabole. Anche i saggi rabbini Chassidici di Praga o di Varsavia, come si legge nelle amabili pagine raccolte da Martin Buber,quando venivano consultati su un problema rispondevano con un racconto.raccontavano un episodio accaduto al tale o talatro rabbino o santo , per illuminare il problema posto loro dal consultante. Non sempre il consultante capiva,,infatti con tipico umorismo ebraico, si vede spesso raffigurato il povero ebreo che torna dall’aver consultato il Rabbino, piu’confuso e dubbioso di prima. Che ti ha detto il Santo Rabbino? Mah, mi ha raccontato una storia….
La stessa cosa ,in altri contesti, sono i piccoli apologhi che il Maestro del buddismo Zen sottopone ai suoi monaci …
Gesu’ voleva parlare della Vita,del mistero della Vita, non di una teoria astratta, ne’ di norme morali o moralisteggianti, p , la Vita,di chiunque anche del piu’ misero di noi uomini, non e’che una parabola. Piena di detto e non-detto, di mistero eppure di evidenza, di luce che ci pare di percepire e poi di tenebra.Di contraddizioni eppure nel suo fondo giace la Verita’ . Anche il fulmineo episodio del Buon Ladrone crocifisso a destra di Gesù e istantaneamente salvato dopo una vita di chissa’quali crimini,e’ una parabola della vita uman.Per questo l’eterno ritornello del Vangelo:chi ha orecchie per intendere intenda…
E naturalmente tutte le parabole sono contenute “in potenza” nel versetto o fondamentale della Rivelazione :
Ascolta Israele, Il Signore e”il nostro Dio, il Signore e’ UNO
E tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore con tutte le tue forze e con tutta la tua mente. E il prossimo tuo come te stesso. ( Non sono forse gia’ qui in “potenza” la parabola del buon samaritano, delle vergini sagge , del banchetto di nozze, del padrone della vigna, del figliol prodigo ecc.?)
https://gpcentofanti.altervista.org/locchieggiare-politicante-e-la-vita-semplice/
https://gpcentofanti.altervista.org/la-voce-silenziata-del-popolo-semplice/