Oggi pomeriggio Francesco ha fatto visita alla scrittrice e poetessa ebrea Edith Bruck nella sua casa romana: aveva letto un’intervista data da Edith all’Osservatore Romano del 26 gennaio, nella quale narrava della sua esperienza dei lager nazisti, e mosso da quella lettura le aveva chiesto di incontrarla. Nei commenti riporto il comunicato sulla visita pubblicato appena ora dal portavoce vaticano, brani dell’intervista dell’Osservatore e la scheda biografica con cui il giornale vaticano l’ha presentata ai lettori.
Francesco va a casa della sorella maggiore Edith Bruck
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Comunicazione ai giornalisti del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni:
Questo pomeriggio, alle ore 16.00, il Santo Padre ha fatto visita alla Signora Edith Bruck, poetessa, sopravvissuta alla Shoah, nella sua casa a Roma. La conversazione con il Papa ha ripercorso quei momenti di luce di cui è stata costellata l’esperienza dell’inferno dei lager e ha evocato i timori e le speranze per il tempo che viviamo, sottolineando il valore della memoria e il ruolo degli anziani nel coltivarla e tramandarla ai più giovani. Dopo circa un’ora, Papa Francesco e la Signora Bruck si sono salutati e il Papa ha fatto ritorno in Vaticano.
Il Papa in casa di Edith Bruck
Come una rondine. Intervista 1. Il primo ricordo è legato a un momento di grande felicità: quando per un tema dedicato alla primavera vinsi una cartolina a colori con disegnata una rondine. Dietro la maestra Klara Tarpai aveva scritto: «Alla mia alunna più brava, più meritevole». Corsi a casa volando, proprio come una rondine, per mostrarla alla mamma e ai fratelli.
Eravamo sei figli. Intervista 2. Le due sorelle grandi Sara e Mirjam vivevano a Budapest dove erano andate a imparare il mestiere di sarta e mio fratello David era partito per andare a lavorare appena finite le elementari. A casa, in un piccolo villaggio ungherese ai confini con la Slovacchia, eravamo mia sorella Judit, mio fratello Jonas e io, l’ultima della nidiata. Una famiglia povera la nostra, dove il pochissimo aveva un valore immenso. Abitavamo in due stanze con il tetto di paglia. Ricordo il rumore di una goccia che cadeva e mia madre che rincorreva la pioggia sistemando per terra dei secchi. Ma ricordo anche la gioia per una caramella, per i nastri rossi che mi legavano le trecce, per la prima bambola vera che ricevetti in dono da mia sorella Mirjam. Fino a quel momento le mie bambole erano inventate con il granoturco o l’argilla. E ricordo quando dopo la morte della nonna trovammo, in una tasca cucita della sua vestaglia, un piccolo tesoro. Qualche banconota, due fedi nuziali e una catenina d’oro con la stella di David. Quella piccola eredità che la nonna aveva difeso tenacemente dal bisogno per noi significò una nuova casa, minuscola ma con il tetto di tegole rosse e un bel salice che si vedeva dalla finestra.
Se la mamma è tanto buona. Intervista 3. Il treno andava, andava e noi non sapevamo dove. Di quei momenti terribili ricordo un’altra luce, mia madre. Mi pettinava, mi intrecciava i capelli, li legava con i due nastri rossi e mi teneva stretta la mano tra le sue. Ho vissuto i giorni più teneri della mia vita anche se a un tratto pensai: se la mamma è tanto buona, per noi è finita. E poi ci sono state le luci che allora non mi sembrarono tali e che ho riconosciuto solo più tardi.
Qualche momento di luce c’è stato. Intervista 4. A Dachau dove lavoravamo a scavare trincee e alle traversine dei binari un soldato tedesco un giorno mi lanciò la sua gavetta perché la lavassi, ma al fondo aveva lasciato della marmellata per me. Qualche tempo dopo fummo selezionate, mia sorella e io, in un gruppo di 15 donne che avrebbero lavorato nelle cucine di un castello poco lontano dove alloggiavano alcuni ufficiali con le loro famiglie. Se non fosse stato per lo schiaffo che ogni mattina la SS ci dava senza motivo o per le impiccagioni dei ragazzini fuori del campo alle quali eravamo costrette ad assistere, furono quelli i giorni meno disgraziati della nostra vita nei lager. Una buccia, una foglia, un pezzetto di verdura, in una cucina c’era sempre qualcosa da mettere segretamente in bocca. E qui un giorno si accese un’altra luce. Il cuoco a cui stavo consegnando delle patate pulite mi chiese il nome. Dissi «Edith» con una voce sottile che tremava e lui aggiunse: «Ho una bambina della tua età». Poi tirò fuori dalla tasca un pettinino e guardando la mia testa con i capelli appena appena ricresciuti me lo regalò. Fu la sensazione di trovarmi davanti dopo tanto tempo un essere umano. Mi commosse quel gesto che era vita, speranza. Bastano pochi gesti per salvare il mondo.
La memoria è vivere. Intervista 5. Non ho mai nutrito odio né sentimenti di vendetta, piuttosto incredulità e pena infinita. Per me la memoria è vivere e la scrittura è respirare.
Attenzione: puoi leggere qui l’intera intervista:
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-01/quo-020/la-memoria-e-vita-br-la-scrittura-e-respiro.html
Edith Bruck nasce nel 1931 in un piccolo villaggio ungherese, ultima di sei figli di una povera famiglia ebrea. Nell’aprile del 1944 insieme ai genitori e a due fratelli viene deportata nel ghetto del capoluogo e poi nei lager di Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta insieme alla sorella Judit, approda dopo diversi anni in Italia e si stabilisce a Roma. Qui inizia a scrivere in italiano, una «lingua non sua» che finirà per diventare la sua, per raccontare l’esperienza terribile della deportazione. Ha svolto attività in diversi settori, giornalismo, teatro, cinema, traduzioni ma costante è stato l’impegno nella scrittura e nella testimonianza. Tra le sue opere ricordiamo: Chi ti ama così (1959), Andremo in città (1962), Lettera alla madre (1988), Quanta stella c’è nel cielo (2009, trasposto nel film di Faenza Anita B.), La donna dal cappotto verde (2012), La rondine sul termosifone (2017), Ti lascio dormire (2019) e il recentissimo Il pane perduto (La nave di Teseo, 2021).
A questa scheda – che ho preso dall’Osservatore Romano – aggiungo che Edith è nota negli ambienti del cinema e della letteratura anche per il suo lungo sodalizio con il poeta e regista Nelo Risi.
Grazie di tutte queste utili informazioni. Non conosco Bruck.
Identità e incontro, specie dal vivo, sono, fin dalla scuola, essenziali vie di rinascita mentre dove si contrastano tra loro finiscono per svuotare e manipolare le persone.
https://gpcentofanti.altervista.org/lopposizione-farsa/
Bello questo incontro.
Che bello vedere in tutte le foto pubblicate dai giornali e dai media, il papa e la poetessa in una stanza chiusa a pochissima distanza l’uno dall’altra e senza mascherina! Vuol dire sicuramente che entrambi sono vaccinati o immuni dal Covid, e cosi’pure il fotografo che scatta la foto.Oppure che l’isolamento il distanziamento e la mascherina , insomma le regole per i comuni mortali, non valgono a certi livelli.
Propenderei per l’ipotesi che siano stati vaccinati tutti e tre. Di Papa Francesco sappiamo con certezza (lo riporta il sito di Avvenire, citando fonti della Santa Sede), che il 3 febbraio ha ricevuto la seconda dose di vaccino dopo la prima del 13 gennaio, somministrata insieme al Papa emerito Benedetto XVI
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/vaccini-seconda-dose-papa
Analogamente, è ragionevole pensare che abbia ricevuto il vaccino anche il fotografo dell’Osservatore Romano, dipendente dell’amministrazione vaticana, il cui personale era stato inserito nella campagna vaccinale. Quanto a Edith Bruck, si può supporre che abbia ricevuto il vaccino, in ragione della sua età (89 anni) e considerando che le vaccinazioni per gli over 80 nel Lazio sono iniziate il 1° febbraio e proseguono, a detta dell’assessore regionale alla Sanità, “senza alcun intoppo”
https://www.ansa.it/lazio/notizie/2021/02/15/covid-lazio-superata-quota-50mila-vaccini-a-over-80-anni_27b3f22b-c311-47a0-9e8d-82edc67a85c5.html