Demetrio da Vicenza loda l’ospedale ma deplora il fai da te

“Buongiorno, sono Demetrio Antonello di Vicenza. Le invio la mia esperienza Covid, trovando interessante la sua iniziativa di raccogliere i vissuti, piuttosto che ascoltare in TV gli opinionisti”: parte così una risposta alla mia richiesta di storie della pandemia. Il racconto di Demetrio è gemello della mia esperienza e lo riporto nelle parti essenziali, anticipando la doppia conclusione: lode per il trattamento ricevuto in ospedale, protesta per il “fai da te” cui siamo costretti prima (dice lui) e dopo (aggiungo io) l’ospedale. Io ora sono in attesa di una chiamata per il “post Covid” che non arriva e non riesco neanche a sapere se la mia domanda è stata “processata”, come si dice dei tamponi. Nei commenti riporto il vivo racconto di Antonello che ringrazio.

6 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Telefono e cerco in internet. Demetrio Antonello 1. Il 30 ottobre, giovedì, ho i primi sintomi. Il medico di base prescrive un antibiotico. Nel fine settimana compaiono febbre e tosse. La guardia medica dà suggerimenti generici, avverto l’esigenza di fare il tampone. Faccio più telefonate: tutte inutili. Cerco in Internet e penso alle persone che con internet non hanno dimestichezza.
    Mi registro sul portale dell’Ulss 8 e trovo un posticino per il tampone lunedì in un ospedale a 30 chilometri da Brendola, dove abito. L’attesa è pesante. Infine mi dicono che in caso di positività l’ospedale mi avviserà subito. Invece aspetto la comunicazione via e-mail fino a giovedi: quattro giorni di tosse, mancanza di respiro, febbre. Ho il Covid-19 e il mio medico dice di continuare la terapia già prescritta.
    Sabato sera fatico a respirare e chiamo il 118. L’ambulanza mi porta a un ospedale della provincia: visita veloce, auscultazione approssimativa dei polmoni. Non ci sono posti-letto. Alle 3 mi rispediscono a casa dicendo che non ci sono i presupposti per il ricovero. Ma le cose peggiorano. Cerco altri numeri di telefono dedicati al Covid ma non risponde nessuno. Mi sento quasi in colpa a chiamare e risultare un piagnone. Non sono un piagnone. Non respiro.
    Domenica 6 a sera, al limite dello stress e della resistenza fisica, chiamo nuovamente il 118. Stavolta mi portano all’ospedale di Vicenza. Diagnosi polmonite bilaterale. Inizia la lotta con strategia mirata in Terapia pre-intensiva. Dodici giorni di degenza.
    Scruto con attenzione, ansia e speranza gli occhi dei medici e gli infermieri (vedo solo gli occhi). Li vedo determinati, hanno un protocollo da seguire, attaccano/staccano ossigeno con maschera agganciata alla testa con due fasce.

    13 Gennaio, 2021 - 19:13
  2. Luigi Accattoli

    Professionisti preparati. Demetrio Antonello 2. Non posso sdraiarmi altrimenti inizio a tossire in modo esagerato: impossibile dormire. In quella camera ci troviamo in 4. I pensieri vanno a mille anche se nessuno riesce a parlare. Ci si guarda, qualcuno tiene gli occhi chiusi più a lungo possibile, il silenzio mi deprime.
    Ognuno attende l’orario in cui entra in campo il personale medico e infermieristico. Entrano 3 volte al giorno in 6/7: devono lavorare in gruppo e concentrano gli interventi in quei tempi evitando di girare per il reparto in continuazione. In queste mezz’ore fanno di tutto: ci porgono oggetti, sono giovani, cordiali: sanno che è importante tenere alto il morale. Metà di loro ha avuto il Covid, ma non si sono dati per vinti.
    Sono professionisti seri e preparati. Rappresentano l’Italia che mi piace, che mi commuove, che è forte. E’ l’Italia solidale, che si allena quotidianamente con estrema responsabilità. Che non si arrende, che vuole vincere.
    La mia salute peggiora, mi portano in Pneumologia: altro reparto barricato. Il virus è un avversario infido, gioca “sporco”. Lo chiamano proprio così: reparto “sporco”. Sono dipendente dall’ossigeno. Qui il tempo trascorre lentamente: lunghi giorni di silenzio, ma anche di lievi miglioramenti. Dopo tre giorni il medico mi dice: ”Signor Antonello, se aspettava altre 24 ore avremmo dovuto intubarla”. Ho rischiato di perdere la partita. Mi sono sentito gelare.
    Col trascorrere del tempo mi hanno tolto l’ossigeno, i valori sono migliorati, ho iniziato a fare due passi, agganciato ancora al tubo dell’ossigeno. Poi me lo hanno allungato e invece di 2 metri potevo spostarmi di 4: finalmente potevo guardare fuori, vedere l’autunno, il sole. Cercavo anche di comunicare con i miei compagni di stanza, ma percepivo che non ne avevano voglia.

    13 Gennaio, 2021 - 19:14
  3. Luigi Accattoli

    Inaccettabile l’attesa. Demetrio Antonello 3. Finalmente una bella notizia: l’esito del tampone è negativo, ma la polmonite rimane. Mi spostano nel reparto negativizzati per due giorni. Non sono ancora convinti per le dimissioni. In un giorno mi fanno una lunga serie di controlli clinici. Mi affido alla loro sapiente strategia.
    Giovedi 19 dicembre alle 20,00 il caporeparto entra nella mia zona e mi dice che in base agli esiti degli accertamenti clinici, se voglio, posso essere dimesso dall’ospedale perché i valori degli esami permettono di continuare la terapia a casa. Hanno bisogno del posto-letto. Devo decidere in 5 minuti. Mi vengono a prendere, verso le 21.00 sono a casa.
    Dodici giorni difficili. Ho visto cose molto tristi ma ho visto anche cose belle e importanti che mi aiuteranno nel futuro. Dovrò affrontare una lunga riabilitazione non solo fisica ma anche psicologica. Però sono stato fortunato.
    Questa esperienza mi ha portato a concludere che è inammissibile che una persona col Covid si trovi costretta al fai da te con febbre alta, a cercare spiegazioni dei peggioramenti in rete, o chiamando numeri verdi occupati, sentendosi isolata e disorientata. Ho sentito altre storie in ospedale, di persone che al telefono chiedevano disperate cosa potessero fare per il papà che stava male. Ho sentito la sorella di un malato che piangeva al telefono per non riuscire a ricevere un aiuto.
    Si sapeva che sarebbe arrivata la seconda ondata. Bisognava cercare medici e infermieri nei mesi estivi. La difficile situazione nella quale ci troviamo non proviene da un attacco inaspettato da parte di alieni: si conosceva il nemico e anche il periodo della comparsa.

    13 Gennaio, 2021 - 19:15
  4. Beppe Zezza

    Credo che questa storia porti acqua al mulino di una delle critiche che si fanno alla gestione italiana e mondiale della epidemia : l’avere concentrato tutta la attenzione ai vaccini e trascurato la messa a punto di protocolli sanitari per il contrasto della malattia al suô primo sorgere. Ascoltando i media si leggono ora qui ora lì testimonianze di clinici che asseriscono di avere ottenuto buoni risultati con certi provvedimenti. A mio parere uno sforzo dovrebbe essere fatto da parte delle autorità sanitarie per dotare i medici di famiglia di protocolli di cura ai quali riferirsi. Sono i medici di famiglia a essere in prima linea e sono loro che possono avere questa funzione « limitatrice «  o dobbiamo pensare che questa «  non esista «  e tutto dipenda dalla «  buona sorte «  della capacità individuale di rispondere all’assalto del virus?

    14 Gennaio, 2021 - 9:24

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