Sedici testi di sorprendente attualità
Gianni Baget Bozzo (1925-2009) è stato un difensore degli omosessuali a partire dalla frontiera più difficile, che è quella teologica, e occupando nei decenni postazioni scomodissime: da prete obbediente e disobbediente al cardinale Giuseppe Siri, da teologo in prestito prima al quotidiano «la Repubblica» e poi al quotidiano «il Giornale», da parlamentare europeo del gruppo socialista, da consulente culturale di Forza Italia.
Una difesa controvento condotta per oltre un trentennio, nella quale don Gianni investì con generosità le sue risorse intellettuali e che merita di essere valorizzata a oltre un decennio dalla morte. Nessuno ha mai inventariato questo suo lascito. Qui per la prima volta lo documento, riporto i testi maggiori, abbozzo un’interpretazione.
Per dirla veloce: ha esplorato il possibile nuovo linguaggio su questa acuminata frontiera e l’ha fatto con genialità. La sua audacia è stata la stessa degli animatori del movimento omosessuale, ai quali spesso si è accompagnato nel dibattito pubblico, ma nel suo caso si è trattato di un’esposizione doppia avendo condotto l’impresa da prete cattolico e da teologo noto per posizioni di marcata ortodossia. Un impegno il suo che mai ebbe riconoscimento pubblico ma che oggi ci appare anticipatore di circa un quarantennio rispetto alla sospensione del giudizio e alla pratica del discernimento nei confronti delle persone omosessuali proposte oggi da Papa Francesco.
Come vedremo indagando sedici suoi testi saggistici e giornalistici che riporto in questa antologia, Baget Bozzo:
– ha sostenuto che è necessario elaborare una teologia del sesso e in essa dell’omosessualità, che mai fu pensata nei secoli; – ha affermato che insieme alla ricerca dell’intenzione divina sulle persone omosessuali occorre sviluppare una carità ecclesiale che le liberi dal paradosso della verginità coatta e della scomunica oggettiva nel quale ancora – diceva e si può dire – sono imprigionate;
– riteneva e andava argomentando nelle sedi più varie che la coppia omosessuale stabile va suggerita in ambito ecclesiale e va riconosciuta in ambito civile, pur senza equipararla al matrimonio;
– con tenacia ha battagliato perché nel nostro ordinamento non fosse ritenuta accettabile nessuna limitazione legislativa dell’identità omosessuale e dell’esercizio attivo della tendenza omosessuale;
– ha perseverato in questo combattimento anche quando, nell’ultimo ventennio, era passato su posizioni di destra, rivendicatrici della tradizione cristiana del nostro Paese.
Mi sono chiesto il perché della disattenzione in vita e postuma a questa indagine di lunga lena condotta da don Gianni in solitaria, su un fronte così povero di apporti significativi. Forse la disattenzione fu dovuta alla perdita di autorità sulle questioni alte di cui ebbe a soffrire il prete e politico Baget Bozzo a motivo dei tanti cambiamenti d’opinione accumulati negli anni. Va anche aggiunto che l’ambiente del centrodestra nel quale don Gianni concluse la sua laboriosa giornata non era sensibile alla battaglia in difesa degli omosessuali e dunque non la valorizzò; mentre altri ambienti da tempo avevano dato per perso il Baget Bozzo berlusconiano. Lo stacco ormai più che decennale da queste circostanze potrebbe favorire una riscoperta.
Ho scelto di riparare a un disconoscimento
La spinta ad avviare questa ricerca mi è venuta da un convegno per il decennale della morte riunito a Genova il 6 maggio 2019 dal “Centro Studi Don Gianni Baget Bozzo” con il titolo “Don Gianni Baget Bozzo tra mistica e politica”. C’ero perché di quel prete vulcano ero stato amico e avevo scritto in morte. Alla domanda su ciò che restava del terremoto ch’era stato, avevo risposto che la difesa degli omosessuali era forse l’eredità più viva. Il suo volume La Chiesa e la cultura radicale (Queriniana 1978) aveva già un capitolo sulla “condizione omosessuale”: da allora e per trent’anni la sua è stata una delle poche voci – pochissime in campo cristiano – che in Italia hanno azzardato qualche parola su questa frontiera.
Ci fu poi un secondo convegno del decennale, promosso dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, che si fece a Roma il 30 ottobre 2019 per iniziativa di Giovanni Tassani con il titolo “Gianni Baget Bozzo. Un intellettuale del Novecento italiano. Ricordi e testimonianze”. Stavolta incentrai la mia relazione proprio sull’apporto di don Gianni al dibattito sull’omosessualità. E da lì venne l’idea di questa pubblicazione antologica per Luni Editrice.
I due convegni “in memoria” sono stati importanti nell’avvio della mia indagine, perché in essi mi apparve chiaro che neanche le persone che più a lungo avevano conversato e collaborato in tanti decenni con don Gianni, a Roma, a Genova e per l’Italia, nella politica e nella Chiesa, nei convegni della Cittadella di Assisi o in quelli di Forza Italia – neanche le persone a lui più vicine avevano colto la portata del suo contributo innovatore al tema dell’omosessualità. La mia è un’indagine a riparazione di un disconoscimento che va superato.
Alla domanda sul perché sia stato io a cogliere questo filone meglio di altri, mi sono risposto che ciò potrebbe essere avvenuto per due circostanze fortunate: per essere stato in contatto professionale – cioè di vaticanista – con lui lungo l’intero ventennio della sua collaborazione a «la Repubblica» (1976-1995), che è stato il tempo dei testi più espliciti in questa materia; e per aver prestato specifica attenzione, fin dall’inizio della nostra relazione, a questo versante del suo lavoro, ancora a motivo della mia professione, avendo egli più volte argomentato la difesa degli omosessuali in risposta ai pronunciamenti ecclesiastici.
Dopo il convegno genovese ho cercato tra le mie carte e presso il Centro Studi di Genova – aiutato dal presidente Patrizio Odetti – e ho trovato una trentina di testi di don Gianni che trattavano o toccavano l’omosessualità, spesso nella forma dell’intervento in polemiche occasionali, ma anche nella modalità del contributo saggistico. Sbrogliando la matassa degli interventi di battaglia e di quelli colti e cercando di cogliere il messaggio che insieme venivano a comporre, ne ho cavato questa antologia, che propongo come un brogliaccio di lavoro a chi possa fare meglio.
Nell’antologia riporto i 16 testi di maggiore impegno, nove dei quali erano nel mio scaffale, mentre gli altri sette li ha scovati Odetti, sono quelli che riporto ai capitoli 4, 6, 7, 8, 12, 14, 15. Come avvio alla lettura segnalo ora – in questa introduzione – qualche passo dei sedici capitoli, disponendoli in ordine di data ed evidenziando gli elementi centrali d’ognuno. Ha senso abbozzare qui in limine questa immagine d’insieme del lascito baget-bozziano sull’omosessualità perché mai nessuno aveva visto tutti questi testi, essendo apparsi sulle testate più diverse, nel corso di oltre tre decenni, a firma di un personaggio controverso e sempre controvento.
Un’avventura che parte dalla metà degli anni Settanta
Il primo testo da me rintracciato è del 1976 (vedi al capitolo 1): è un’uscita prudente, ma che già esprime un convincimento sicuro sulla necessità di affrontare in toto e in radice la questione, partendo dal ripensamento della condanna cristiana dell’omosessualità. «Si potrebbe considerare una teologia della omosessualità, in quanto diversa dalla sodomia, in quanto condizione, non in quanto perversione»: così scrive don Gianni in un saggio che intitola Il mistero del sesso, redatto per la rivista «Testimonianze», a sollecitazione di una «economia della misericordia ecclesiale verso gli omosessuali per natura», avvertendo che essa «non può però mai giungere a legittimare la coppia omosessuale, senza venir meno alla morale che segue il modello teologale». Scorrendo gli altri scritti che dedicherà alla questione, trovo ch’egli sempre manterrà questa riserva, pur cercando di ampliare negli anni i confini della misericordia.
Due anni più tardi don Gianni rimette mano alla sua inchiesta sull’omosessualità che con il tempo arriverà a vivere come un’avventura umana di forte coinvolgimento personale. Con un capitolo del citato volume La Chiesa e la cultura radicale, che è del 1978 (capitolo 2); e con un articolo intitolato Uno sbaglio di Dio?, che scrive in quello stesso anno per il quotidiano «il Giorno» (capitolo 3) segnala la «nuova problematica» che è necessario affrontare se si accetta la distinzione tra «omosessualità e sodomia» che «non sono la medesima realtà». «La tradizione biblica ed ecclesiale – scrive nell’articolo del quotidiano – ha condannato la seconda, ma non ha affrontato il delicato problema sollevato dalla prima. é per questo che il teologo si trova di fronte a un problema nuovo quando deve domandarsi quale sia l’intentio della Provvidenza divina nel far sì che esistano uomini e donne privati della inclinazione sessuale che loro compete».
Dell’urgenza di una “teologia dell’omosessualità” don Gianni torna a parlare con una conversazione intitolata Fede e omosessualità che tiene a Genova nel 1984 (Capitolo 4): «Il tema che mi è stato richiesto di trattare è un grave problema teologico: non di morale ma di teologia in senso strettissimo. Cioè, etimologicamente, un problema di Dio». Afferma che la Chiesa risolverà il «problema dell’omosessuale» solo quando riuscirà a «trovare una sufficiente finalità al sesso che non sia l’attività procreativa», cioè solo quando riconoscerà che «l’amore carnale è una via all’amore di Dio». Per arrivare a questo è necessario «un salto storico»: egli, don Gianni, non sa come quel salto possa essere compiuto ma non dubita che arriverà e porterà con sé un mutamento tale da «cambiare la struttura della Chiesa». «Può la Chiesa sopravvivere a un tale cambiamento?» domanda con disarmata e provocante semplicità. Ora don Gianni non è più il teologo che scrive per una rivista di nicchia della sinistra cattolica, come nel caso del saggio del 1976 per «Testimonianze», ma è un teologo che interviene nel pubblico dibattito collocando il proprio intervento in un ciclo di incontri mirato al riscatto della condizione omosessuale.
I due testi più audaci di don Gianni sull’omosessualità sono della metà degli anni ’80: la conversazione del 1984 sull’attesa di una teologia del sesso, che ho appena segnalato; e un articolo di forte protesta verso un pronunciamento vaticano che scrive per «la Repubblica» nel 1986 (capitolo 5), nel quale qualifica come «inaccettabile» una lettera ai vescovi del cardinale Ratzinger che propone un’interpretazione restrittiva della dichiarazione Persona humana della Congregazione per la Dottrina (1975). Eccone la conclusione: «La dichiarazione del 1975 ha aperto un cammino senza ritorni, perché pone la sessualità dell’omosessuale sul medesimo piano di quella eterosessuale. Chiudere l’apertura d’orizzonte fatta da Paolo VI sul piano della dottrina ecclesiale è storicamente impossibile». Nell’introduzione ai capitoli 2 e 5 segnalerò nel dettaglio l’interpretazione evolutiva di quella dichiarazione che allora era proposta da tutta l’ala innovativa della teologia cattolica e che don Gianni sposava pienamente.
L’omosessualità può essere un fatto cristiano
«Omosessuale sacerdote ideale» è il titolo provocatorio (ovviamente non suo) di un intervento del 1990 sul settimanale «l’Espresso» (capitolo 6) a riguardo della disputa sull’ammissione alla vita religiosa di donne e uomini con tendenze omosessuali, accesa dalla pubblicazione di Direttive sulla formazione negli istituti religiosi da parte della competente Congregazione romana. «La condizione omosessuale può integrarsi nella vita sacerdotale e religiosa ugualmente quanto la eterosessuale» è la tesi del nostro.
In una dichiarazione del 1991 per un’inchiesta sulle origini biologiche dell’omosessualità del settimanale «Panorama» (capitolo 7), don Gianni così argomenta il “paradosso” dei credenti omosessuali: «Sono mantenuti ai margini della Chiesa e costretti moralmente alla castità. I gay credenti sarebbero, per così dire, dei vergini per precetto. Oppure si troverebbero in una situazione di scomunica oggettiva. Un paradosso».
Nel 1992 con un articolo su «Panorama» intitolato Diritti dell’Omo (capitolo 8) don Gianni polemizza con un altro documento vaticano contrario al riconoscimento civile delle coppie omosessuali: «Negli Usa il dibattito sui diritti degli omosessuali è molto diffuso e i teologi moralisti hanno consigliato più volte agli omosessuali un partner stabile invece che variabile. Questo consiglio assume un nuovo valore nel tempo dell’aids. Il documento vaticano ha di terribile questo: sembra voler lasciare fuori dalla carità ecclesiale questa condizione umana, molto aperta verso il fatto religioso».
Sempre a favore del riconoscimento civile delle coppie omosessuali è un intervento del marzo 2000 su «il Giornale» (capitolo 9), a eco di una mozione del Parlamento Europeo che sollecitava gli stati membri a tale passo: «Esiste un diritto civile di un omosessuale a manifestare la sua condizione senza ricevere sanzioni o limitazioni […]. Una strada per dare forma giuridica alla convivenza omosessuale potrebbe essere trovata evitando l’equiparazione alla famiglia e certamente escludendola dalla educazione dei figli adottivi».
Con due interventi sul «Foglio Quotidiano» del giugno 2000 (capitoli 10 e 11) don Gianni cerca di mediare tra gli organizzatori del Gay Pride romano, programmato a sfida del Grande Giubileo, e papa Wojtyla che lo deplorerà all’Angelus del 9 luglio, cioè all’indomani della manifestazione. «Credo che l’omosessualità possa essere un fatto cristiano» afferma nel secondo dei due articoli. Con questo testo Baget Bozzo compie la sua affermazione più avanzata, tra quelle da me rintracciate, portandosi alla massima distanza dalla dottrina cattolica tradizionale, azzardando la formulazione di una prima tesi per quella teologia dell’omosessualità che spesso ha invocato e per la quale ha approntato vari materiali pur non osando mai tracciarne un progetto d’insieme.
«La Chiesa sbaglia: sugli omosessuali deve aprire gli occhi» è il titolo di un’intervista del luglio 2000 al «Corriere della Sera» (capitolo 12), ancora in riferimento al Gay Pride: «L’omosessualità non è una malattia, non è una colpa. E’ una condizione naturale, che comincia dalla nascita. Non c’è scelta. E se non c’è scelta non può esserci condanna».
La sovraesposizione mediatica in zona Gay Pride costringe don Gianni a dichiarare in più occasioni di non coltivare tendenze omosessuali: «Non provo sentimenti omosessuali. Non ho confessato la mia omosessualità. Non ho voluto dare scandalo» («Corriere della Sera» dell’11 giugno 2000). Dovrà smentire ancora per anni, per esempio con il settimanale «Sette» del Corsera l’11 marzo 2004: «Tu sei omosessuale? – No». E più avanti, nella stessa intervista: «Sono vergine» (capitolo 13).
L’evoluzione della Chiesa può continuare
«Preti omosessuali: così la Chiesa difende il sacerdozio» è il titolo con cui nel dicembre 2005 «il Giornale» pubblica un intervento di don Gianni su un documento vaticano che mette in guardia i vescovi dall’ordinazione di candidati al sacerdozio che mostrino tendenze omosessuali: «Forse proprio questo fatto nuovo dell’esclusione degli omosessuali dal sacerdozio deve determinare una maggior riflessione nella Chiesa perché non accada che l’omosessualità diventi quasi un fatto etnico, mentre nella Chiesa non vi è nè uomo nè donna» (capitolo 14).
Nel maggio 2007 «il Giornale» con il titolo «I gay arma dell’Unione Europea contro la Chiesa» pubblica la reazione di don Gianni a una risoluzione del Parlamento Europeo che censura la posizione della Chiesa Cattolica sull’omosessualità (capitolo 15). Riporto questa frase che guarda in avanti: «Il linguaggio del peccato contro natura è finito e l’evoluzione della Chiesa può continuare».
Ed eccoci all’ultimo dei sedici testi presenti nell’antologia: un’intervista a «La Stampa» del novembre 2008 con cui don Gianni reagisce a una direttiva vaticana che ancora una volta invita i vescovi a non ordinare omosessuali, pubblicata con il titolo I seminaristi gay vengono trattati da subumani (capitolo 16). In essa il nostro riafferma il convincimento della pari dignità di omosessuali ed eterosessuali per la quale si è sempre battuto: «Un sacerdote gay e uno etero sono chiamati allo stesso modo a vivere la castità, quindi l’omoerotismo, purchè casto, non è peccaminoso […]. Non si può trasformare l’essere gay in una condizione di inferiorità umana».
Notare la data di quest’ultimo intervento: per trentadue anni, dal 1976 al 2008, Baget Bozzo ha tenuto fede alla sua rivendicazione dei diritti civili degli omosessuali e della loro giusta aspirazione a un’accoglienza non discriminante nella Chiesa. E l’ha tenuta ferma – quella posizione – nel cambio d’ogni altro suo schierarsi.
Dicevo sopra – e ci tornerò nell’Appendice 1 – che i mutamenti d’opinione hanno tolto autorità a don Gianni. Quando scriveva il primo dei testi qui riportati collaborava con la rivista «Rocca» della Pro Civitate di Assisi e con «la Repubblica», alla data dell’ultimo mandava pezzi al settimanale ciellino «Tempi» e a «il Giornale».
Ma il Baget Bozzo teologo non va schiacciato sul don Gianni della politica. Come mostrerò in Appendice 1, era laureato in teologia alla Lateranense, l’ha insegnata in cattedre universitarie, ha diretto la rivista «Renovatio», è stato per tutta la vita un onnivoro lettore delle pubblicazioni di teologia in ogni lingua. Ed è innanzitutto al filone della ricerca teologale che vanno ricondotti gli interventi sull’omosessualità. Il loro valore a mio parere risulta oggi comprovato dal magistero di Papa Francesco, che su più aspetti della questione omosessuale azzarda indicazioni simili a quanto don Gianni aveva affermato tre o quattro decenni prima.
Anticipatore di parole e gesti di Papa Bergoglio
Il testo bergogliano di maggiore impegno in materia omosessuale è al paragrafo 250 di Amoris laetitia (2016): «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinchè coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita». L’invito a non discriminare gli omosessuali era ormai abituale nei testi dei Papi, da Paolo VI a Benedetto XVI, ma in Francesco esso è accompagnato dall’invito al «rispettoso accompagnamento» formulato evitando qualsiasi parola di giudizio e di riprovazione, che invece non mancavano mai nei documenti precedenti.
Quanto alla mancanza di giudizio, converrà ricordare la famosa affermazione fatta da Francesco in una conversazione in aereo con i giornalisti, il 28 luglio 2013: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». Nei testi di Baget Bozzo l’invito a non giudicare il gay che «cerca il Signore» è presente costantemente in maniera implicita ed è esplicito in quello riportato al capitolo 8, che invita a «distinguere il rigore del principio dal caso concreto» e chiede che gli omosessuali non siano esclusi «dalla carità ecclesiale».
Anche la distinzione tra unione civile che può essere riconosciuta alla coppia omosessuale e matrimonio da non riconoscere è un elemento di coincidenza tra il nostro e il cardinale Bergoglio. Quella distinzione è presente in maniera esplicita nel testo di Baget Bozzo riportato al capitolo 9 (e in altri testi che nell’introduzione a quello sono ricordati) e nel volume Il cielo e la terra di Jorge Mario Bergoglio e di Abraham Skorka che arriva dieci anni più tardi: «Di fronte a un’unione privata non c’è un terzo o una società danneggiati. Se invece le si attribuisce la categoria di matrimonio e le si dà accesso all’adozione, ciò implica il rischio di danneggiare dei bambini» (p. 109 dell’edizione Mondadori 2013; il testo spagnolo è del 2010).
In un’intervista del 28 maggio 2019 a Televisa così Francesco ipotizza il dialogo di un sacerdote con un omosessuale: «Sei figlio di Dio e Dio ti ama così, ora, veditela con Dio».
Una risposta straordinariamente simile a quella che don Gianni aveva abbozzato quattro decenni prima nel testo riportato al capitolo 3: «Al giovane omosessuale, è forse possibile rispondere che la condizione omosessuale non è uno sbaglio di Dio, ma un segno della sua presenza».
Tra Baget Bozzo e Bergoglio-Francesco ci sono anche vistose vicinanze linguistiche. Don Gianni ama l’espressione «mistero del sesso», per indicare il più profondo della persona umana nel quale non ci è lecito intrometterci (capitolo 1). Francesco a tale scopo usa l’espressione «mistero dell’uomo»: «Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”». Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione» (Intervista alla «Civiltà cattolica», 19 settembre 2013).
«Guida anima per anima» dice Baget Bozzo (capitolo 3) e «valutare caso per caso» è l’indicazione di Francesco: «Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta. Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia» (ivi).
In quest’ultima citazione il Papa dice degli omosessuali che occorre «accompagnarli con misericordia» e l’appello alla «economia della misericordia ecclesiale» nei loro confronti è frequente nei testi di Baget Bozzo: vedilo ai capitoli 1, 3, 4.
Tra l’invocazione cristiana e l’indagine laica
Concludo questo raffronto affermando che in ambito ecclesiastico Baget Bozzo anticipa di alcuni decenni l’invito che oggi Francesco rivolge a tutta la Chiesa ad abbandonare il tradizionale approccio moralistico all’omosessualità, che mirava al giudizio sulla liceità o meno degli atti omosessuali, senza guardare alla complessità dell’esistenza degli uomini e delle donne che vivono la condizione omosessuale. Non è di poco conto che questo mutamento epocale qui in Italia sia stato prefigurato e ampiamente argomentato, nelle implicazioni sia religiose sia civili, da un prete teologo e politico, nonché creatore di linguaggio, del livello di Baget Bozzo.
Indagato in testo e contesto il tenace impegno di don Gianni sull’omosessualità, concludo che egli è riuscito a dare parole all’interrogazione colta e teologica su questa frontiera dell’umano. Parole rare, le sue, che hanno saputo sfiorare con tocco leggero il mistero dell’uomo e l’abisso della sua soggettività.
Ha contribuito a creare in questa materia un nuovo linguaggio capace di andare in profondo e di stabilire un contatto, in quel profondo, tra l’invocazione cristiana e l’indagine laica. Un contatto foriero di reciproca comprensione.
Considero questo mio lavoro su don Gianni e l’omosessualità un provvisorio inventario delle fonti e lo propongo come una provocazione all’approfondimento. Ho rintracciato alcuni suoi interventi in materia, forse i più significativi, e mi sono adoperato a interpretarli nel linguaggio usato e nel contesto in cui furono proposti.
Di sicuro ve ne sono altri da scovare nella vastissima produzione saggistica e giornalistica del nostro. A chi cura la memoria di don Gianni l’invito a cercarli. A chi ne ha gli strumenti, la sollecitazione a studiarli. Io mi sono adoperato a segnalarli da giornalista ma ho chiaro che meriterebbero un’auscultazione appropriata, linguistica e teologica.