Il 28 gennaio 1997 moriva da cristiano, a Torino, l’ex ergastolano Pietro Cavallero: il «buon ladrone» della nostra epoca. Lo ricordo con alcuni documenti della sua conversione, che mi sono stati passati da Ernesto Olivero: il fondatore del Sermig (Servizio missionario giovanile) di Torino, suo accompagnatore nel cammino della conversione.
Cinque omicidi, ventitrè rapine, cinque sequestri di persona: queste le colpe di Cavallero, il bandito della Milano degli anni sessanta, condannato all’ergastolo nel 1967 e uscito dal carcere nel 1992, dopo aver scontato 25 anni.
Sulla sua avventura violenta e proletaria (perchè in origine Cavallero è un comunista, espulso dal Pci in quanto estremista) il regista Carlo Lizzani costruì il film «Banditi a Milano», dove Gian Maria Volontè è Cavallero.
La prima rapina è del 1963, l’ultima del 1967. Poi il carcere. I colloqui con la mamma («Le sue lacrime sono state più forti delle pallottole»), il ricordo degli uccisi e dei familiari offesi («Mi ha sempre sconvolto il perdono che mi è giunto da alcuni parenti delle persone che ho ucciso»), la scoperta della pittura («Ho imparato a disegnare per sfuggire alla follia. I miei quadri sono paesaggi, prati, fiori, soli in cieli azzurri»), la scelta – per il dopo carcere – del volontariato all’Arsenale del Sermig («Voglio mettermi al servizio di chi soffre»).
Cavallero muore a 68 anni di enfisema polmonare. Vicino a morire, vuol chiedere perdono a Milano e scrive così – nel 1996 – al cardinale Carlo Maria Martini: «Mi sono rivolto a lei, ed è la prima volta che oso compiere un gesto del genere, perchè ho sentito che lo debbo, che è un passo in più da fare per pagare i miei debiti. Proprio a Milano si concluse, in modo violentissimo e tragico, la mia carriera di bandito. Ed è a Milano, turbato ferito e scosso, che devo soprattutto chiedere perdono, da penitente, in silenzio».
Incontra Martini e durante il ritorno in macchina a Torino, accanto a Olivero che guida, scrive questo appunto: «Anni, decenni sono passati. Quante volte sono venuto a Milano con l’animo teso al male. Quante paure, quanta infelicità. Sono tornato da penitente a chiedere perdono. Il Signore è con me. E’ con noi. E finalmente, tornando, sono sereno, con nel cuore le parole di pace e di amore dette dal cardinale».
Cavallero ha scritto un libro sulla sua esperienza all’Arsenale e sulla sua amicizia con Olivero. Per quel libro – pubblicato da Rizzoli nel 2001 con il titolo Ti voglio bene. Un itinerario spirituale – il cardinale Martini ha già scritto la prefazione: «L’incontro con Cavallero mi ha fatto molta impressione. Si sentiva che era malato, soffriva, ma lasciava trasparire una grande volontà di riscatto (…) Mi accorsi che queste parole (riguardanti l’intenzione di chiedere perdono a Milano, ndr) erano dette con profonda sincerità e sofferenza e che erano state precedute da anni di cammino di ravvedimento e di riparazione, come viene ben documentato dal racconto di questo libro».
Ecco infine il testamento del buon ladrone: l’ultima lettera a Olivero, che è del 21 gennaio 1997. Morirà il 28. Informa l’amico della sua preparazione alla morte e detta le ultime volontà sul libro che gli dedica. Non la commento. E’ un documento dell’attualità della fede cristiana nell’Italia del Duemila. In esso è anche la spiegazione del titolo che è stato dato al volume autobiografico apparso dopo la morte, Ti voglio bene:
«Carissimo Ernesto, ti scrivo dall’ospedale di Venaria dove sono ricoverato. I miei mali ritornano sempre più gravi, soffro molto. Sono contento di soffrire perchè espio, la mia fede si consolida, la mia forza cresce. Con questo scritto voglio ribadire che desidero che tutti i diritti del libro che ho scritto su di te, dove ti ho abbinato a Francesco d’Assisi e i proventi che ne scaturiranno siano devoluti alla fondazione Sermig con la destinazione “per chi bussa alla porta dell’Arsenale” (…) Questo scritto vuole essere una testimonianza sincera di quello che ho visto e sto vivendo ogni giorno, con tale empatia (partecipazione totale, ndr) che desidero che sulla copertina siamo riportati tu ed io per sempre vicini. Ringrazio con questa mia lettera il cardinale Martini per il colloquio che mi ha concesso, per la pace che mi ha donato e per la presentazione che onora il mio libro su di te. Sono contento che dopo tanti anni di carcere la mia vita travagliata abbia trovato l’Arsenale della pace dove ho capito, senza bisogno di tante parole, i miei sbagli. Ti voglio bene. Tuo Cavallero».
Prima dell’autobiografia la storia di Pietro Cavallero – bandito, ergastolano, pittore, cristiano – era stata ricostruita nel volume di Ernesto Olivero, Vivere da vivo. Dialoghi con Pietro Cavallero, Città Nuova 1991. Il volume, che si legge rapido e ti rapisce, ha la presentazione di Mario Tuti, altro ex ergastolano che Olivero incontrò – come lo stesso Cavallero – a Porto Azzurro, in occasione della rivolta del 1987.
[Testo pubblicato dalla rivista Eco di San Gabriele nel gennaio del 1998, aggiornato nell’ottobre 2009]