Francesco nell’esortazione “Querìda Amazonìa” ricorre all’arte della parola di sedici poeti e scrittori per narrare l’Amazzonia e aiutarci a intendere che il suo destino confina con il nostro. Ho già dedicato tre post alle loro voci ed ecco le ultime tre. Il mio grazie agli autori e al Papa che li ha voluti nel suo testo.
Ancora tre poeti da “Querìda Amazonìa”
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Il fiume è una vena sottile
Quelli che credevano che il fiume fosse una corda per giocare si [sbagliavano.
Il fiume è una vena sottile sulla faccia della terra. […]
Il fiume è una fune a cui si aggrappano animali e alberi.
Se tirano troppo forte, il fiume potrebbe esplodere.
Potrebbe esplodere e lavarci la faccia con l’acqua e con il sangue.
Juan Carlos Galeano, “Los que creyeron”, in Amazonia y otros poemas, Universidad Externado de Colombia, Bogotá 2011, 44
Canto di fronde
Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne.
Sui Yun, Cantos para el mendigo y el rey, Wiesbaden 2000
Acque e notte
Galleggiano ombre di me, legni morti.
Ma la stella nasce senza rimprovero
sopra le mani di questo bambino, esperte,
che conquistano le acque e la notte.
Mi basti conoscere
che Tu mi conosci
interamente, prima dei miei giorni.
Pedro Casaldáliga, “Carta de navegar (Por el Tocantins amazónico)”, in El tiempo y la espera, Santander 1986
Vangelo 24 febbraio 2020
Mc 9, 14-29
In quel tempo, [Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni, scesero dal monte] e arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro.
E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono.
Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!».
Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando, e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.
Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».
Questo episodio dello spirito muto e sordo viene non a caso dopo il brano sulla Trasfigurazione. Gesù si rivela Dio e uomo, il riferimento di ogni integrale pienezza di vita ma le guide, i pastori, ai quali è rivolto in particolare questo brano, possono impossessarsi di quello che di questo dono hanno già ricevuto e gestirlo in proprio. Un sentirsi protagonista facendo cose invece di lasciarsi condurre sempre più nella vita da Cristo. Egli stesso domanda fino a quando sarà con loro, dovrà portarli su. Questa esclamazione in un Dio così amorevole e paziente vuole seminare la grazia di percepire e gradualmente superare la pervicacia con la quale anche un educatore rischia di legarsi al proprio pensare, al proprio agire, a quello di certi gruppi, invece che sempre più, sempre nuovamente, tornare insieme a ciascuno al Cristo dei vangeli, per ricevere il suo Spirito, per imparare più approfonditamente come Lui ha creduto, amato. In ogni cosa invece di teologizzare tra loro alcuni formatori potrebbero aiutarsi a meditare come ha agito Gesù a un certo specifico proposito. Ci si può fermare a sant’Agostino, a san Tommaso, a parteggiare per l’uno o per l’altro, invece di cercare di imparare da ciascuno e di ricevere pure dalle differenze stimolo per cercare sempre più Gesù, anche quello dei vangeli, come riferimento divino e, negli aspetti fondamentali, umano. Ogni tempo di rinascita nella Chiesa è un riandare a questa sorgente. Ed è l’appuntamento di Gesù stesso risorto: i discepoli lo vedranno in Galilea ossia ripercorrendo all’infinito, fin dagli esordi, il percorso fatto con Lui durante il suo ministero pubblico. Nelle parrocchie talora si fanno catechesi, preghiere, tutte cose buone ma si può porre poca attenzione a riprendere il centro della pastorale di Gesù: dialogare con i suoi discepoli, con i fedeli, sulle Parole-fatti annunciati, vissuti. La meditazione dialogata sulla Parola e sul vangelo in particolare può latitare. Le guide insomma possono venire trovate distratte verso di esso, non affrontandolo con tutti i criteri dell’ascolto. Una conseguenza anche di ciò può risultare la banalizzazione delle domande, delle perplessità, delle esperienze, dei fedeli che invece si rivelano in un modo o nell’altro preziose provocazioni a nuove letture della Parola. Il “saperla già” dei pastori invece ostacola il dialogo e questo può risultare un motivo per il quale talora i pastori stessi, le guide, preferiscono affidarsi esclusivamente o quasi al proprio monologo. Con gli schemi non si può tanto serenamente gestire un dialogo comunitario sulle Scritture. E così si scopre la fonte di ogni dialogo. Dunque Gesù chiede di portare da Lui quel giovane, domanda con attenzione per imparare la sua storia, non dà nulla per scontato. È la preghiera, il dialogo con Cristo, che può sciogliere le nostre sordità se non svuotiamo la preghiera stessa ma la mettiamo continuamente in relazione col nostro bisogno di crescere nella sequela, di aprire il cuore in modo nuovo. Le tanto temute distrazioni, che possono portare a ripetere nevroticamente una Ave Maria per dirla bene, possono esse stesse aiutarci invece ad andare all’essenza della preghiera: non formalismi ma un sincero accogliere Dio che ci cambia la vita tutta, le intenzioni, la mentalità, la psicologia… L’ascolto comunitario, dialogato, del vangelo è fonte della preghiera, è liturgia, anche se semplice e familiare, è preghiera. La Parola è grazia che ci fa maturare, e ognuno è un piccolo grande dono della Parola, anche con i suoi limiti. Il vangelo è più vivo e bello come Parola, come vita, vissuta da Gesù con i suoi discepoli, in mezzo alla gente, di quanto lo sarebbe stato un solo discorrere di Gesù. Possiamo intuire un motivo per il quale Gesù non ha lasciato testi scritti direttamente da Lui: la Parola non è mai astratta teoria è amore dal vivo, nelle situazioni specifiche. Dunque il vangelo è un seme che va tradotto da persone concrete, tra persone concrete, nelle situazioni concrete.