Primo incontro di un percorso di studio
dell’Azione cattolica diocesana di Brescia
Villa Pace – Domenica 18 ottobre 2011 – ore 15,00
Mi introduco al severo argomento – eccessivo per un giornalista – con due immagini del Concilio come l’ebbi a vivere io tra i 18 e i 22 anni e con due affermazioni del più alto magistero.
La prima immagine è di Giovanni XXIII che batte il piede, calzato con scarpette di raso, quando pronuncia le parole: “Sancta libertas filiorum Dei”, durante la lettura dell’allocuzione di chiusura della prima sessione del Concilio, l’8 dicembre 1962. Allora non colsi l’idea, che era grande, ma registrai quello scatto d’uomo vivo che ne raddoppiava la rivendicazione: “In un contesto così vasto si comprende anche come ci sia voluto qualche giorno per giungere a un’intesa su ciò che, salva caritate, era motivo di comprensibili e trepide divergenze. Anche questo ha la sua spiegazione provvidenziale per il risalto della verità, e ha dimostrato in faccia al mondo la santa libertà dei figli di Dio, quale si trova nella Chiesa”.
Più tardi mi resi conto dell’importanza di quel passaggio, riassuntivo della consapevolezza che il Papa bergamasco ebbe riguardo all’audacia dell’impresa conciliare e al suo significato – in primis – di restituzione al corpo episcopale della sua piena funzione di guida nella Chiesa. E che bella sulla sua bocca la parola “libertà” che nella Chiesa cattolica era sotto chiave da quando Lutero nel 1520 aveva pubblicato il libello La libertà del cristiano.
Avevo 22 anni quando il Concilio fu chiuso da Paolo VI in quel memorabile 8 dicembre 1965 e l’immagine che ne porto – dalla diretta televisiva in bianco e nero – è quella dei sei testimoni dell’epoca ai quali il pontefice consegnò i “messaggi” del Concilio indirizzati ai governanti, agli uomini di pensiero e di scienza, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai giovani. Ricordo la curva e amabile figura di Jacques Maritain che si accosta fraternamente a papa Montini per ricevere il messaggio destinato agli uomini “di pensiero e di scienza”. Maritain che sta per essere condannato nel 1958, che esulta nel Concilio, che si rattrista per gli eventi del dopo-Concilio: il volume Le paysan de la Garonne. Un vieux laïc s’interroge à propos du temps présent (Paris, Desclée de Brouwer, 1966) appare appena un anno dopo la conclusione del Vaticano II. Una parabola simile hanno vissuto lo stesso Paolo VI, Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Joseph Ratzinger che di tutti questi è di gran lunga il più giovane.
Le due affermazioni magisteriali sono una del Sinodo straordinario del 1985 che definì il Vaticano II “massima grazia del secolo ventesimo”. Credo non si possa dire di più. L’altra di Papa Ratzinger il 3 agosto 2008, a ricordo del trentesimo della morte di Papa Montini: qualificò come “sovrumano” il suo “merito” nella conduzione del Vaticano II. Un riconoscimento che non bisogna dimenticare in una valutazione di come Benedetto guarda all’evento conciliare.
Ed eccoci al nostro tema. A cinquant’anni dall’annuncio del Concilio e a quarantatré dalla sua conclusione ci poniamo le domande: che cosa ha portato questo evento nella storia d’Italia? E che cosa ha colto di esso l’umanità contemporanea? E che cosa di ciò che ha portato e di ciò che è stato colto noi possiamo considerare irrinunciabile, punto di non ritorno?
Provo a rispondere con otto “sguardi” o immagini, dalla più semplice alla più complessa.
1. Prima immagine: la più semplice. Il Concilio ha riformato la liturgia e a messo la Bibbia in mano ai cattolici. Ha girato gli altari, ha introdotto nelle celebrazioni le lingue parlate, ha rinnovato i riti arricchendone le letture bibliche, ha promosso le concelebrazioni. Questa è la prima immagine che io colgo, la novità più semplice, quella che non è sfuggita a nessuno. Chi al tempo era già adulto l’ha vissuta come un evento straordinariamente forte. Anche chi non era partecipe alla vita ecclesiale ha percepito che la Chiesa cambiava lingua. La novità liturgica oltre che la più visibile è stata anche quella più contestata, dentro e fuori la Chiesa; e tutt’oggi è segno di contraddizione. Ma almeno in Italia ha avuto buon esito, con qualche sbandata e con qualche eccesso, ma nella sostanza con dignità e con efficacia. Ha cambiato in meglio il nostro modo di pregare quotidiano e festivo. Ci ha avviati a un uso diretto, personale e familiare, della Scrittura. Sono possibili aggiustamenti della riforma, ma non la revoca dei passi voluti dal Concilio.
Io non sono restato turbato dal motu proprio Summorum Pontificum Cura di Papa Benedetto e neanche dal ritiro delle scomuniche. Quando vengono ritirate delle scomuniche faccio festa. E ritengo che quel motu proprio allarghi la disciplina senza compromettere in nulla la forma ordinaria del Rito romano. Sono andato tre volte a messa alla Trinità dei Pellegrini, in Roma, la parrocchia personale di chi segue il Rito straordinario e una volta alla Cappella di Santa Caterina dove officia un prete della Fraternità lefebvriana e ho sperimentato che si può pregare bene insieme.
2. Seconda immagine di cambiamento. Il Concilio ha modificato l’immagine degli uomini di Chiesa a partire dalla figura papale. Questo è facile ad analizzare. Ma anche è cambiata la figura del vescovo e del prete e del religioso. E sono sorte figure nuove: il diacono permanente, il lettore, l’accolito. Non tutto è stato consequenziale, non si è coerentemente riformato tutto il settore dei ministeri. Tanti Sinodi hanno chiesto a Giovanni Paolo e a Benedetto di rivedere le norme riguardanti i ministeri ordinati, ma ancora non è stato fatto. Qualcosa si è fatto a metà: le donne per esempio sono state ammesse al “ministero straordinario dell’Eucarestia” ma sono escluse formalmente dal ministero del lettorato, benchè di fatto leggano.
Mi fermo un attimo sul cambiamento della figura del papa. Abbiamo visto che i papi sono scesi dal loro trono, hanno abbandonato i flabelli, la corte, la sedia gestatoria. Il papa oggi si comporta come un vescovo e celebra con il popolo. Il prima papa a celebrare con il popolo è Paolo VI. Inoltre il papa è uscito dal Vaticano, è andato per il mondo: oggi egli è meno il capo della Chiesa, che la governa a tavolino ed è tornato in parte a essere l’apostolo che va alle genti. E l’apostolo recupera per intero la sua dimensione umana, cioè il papa è un polacco, è un tedesco. Non si spersonalizza. Papa Wojtyla ha pubblicato poesie da papa, Benedetto XVI pubblica libri di teologia. Lui è un teologo e continua a fare il teologo e dice “ognuno mi può contraddire“. Che il Papa teologo sia sceso dalla Cattedra per pubblicare un libro su Gesù senza rivendicare per esso la qualifica magisteriale io lo trovo stupendo: il Papa si fa testimone a tutto tondo, con l’intera sua umanità, oltre il mandato ministeriale. Oggi il papa si ricomprende come un cristiano chiamato a un particolare ruolo. Non più quell’immagine staccata, angelica, bianca, irraggiungibile che era il papa della tradizione tridentina. Papa Ratzinger è molto diverso da papa Wojtyla, ma come papa Wojtyla esprime le sue opinioni. Si muove anche come Joseph Ratzinger, non diventa completamente Benedetto XVI.
3. Terza immagine. Il Concilio ha spostato – nella percezione collettiva – la collocazione culturale, sociale e politica della Chiesa Cattolica. Attenzione: nella percezione collettiva. Non voglio dire che ha spostato la posizione della Chiesa di fatto e sempre e in tutti i settori, ma nella percezione collettiva sì. La Chiesa era percepita globalmente come appartenente al blocco conservatore e in atteggiamento di contrasto con molte acquisizioni delle società democratiche. Riassumo questo concetto con un’istantanea: Giovanni Paolo II che il 14 novembre 2002 parla a Montecitorio alle Camere riunite. La destra del nostro Parlamento lo applaudiva sui temi della vita, della famiglia e della libertà di educazione; e la sinistra lo applaudiva sui temi della giustizia, della pace, dell’accoglienza degli stranieri e del segno di clemenza per i carcerati. Quella immagine del papa che parla a Montecitorio ci dice lo spostamento nella percezione collettiva prodotta dal Concilio: prima la Chiesa apparteneva al blocco conservatore e ora si è portata al centro. Per una serie di questioni sembra alleata della sinistra e per un’altra serie di questioni sembra alleata della destra.
Altro elemento in cui si può evidenziare lo spostamento della Chiesa nella percezione dell’opinione pubblica sono i riconoscimenti sugli errori del passato che sono in parte nei documenti conciliari e che sono stati poi sviluppati da Giovanni Paolo nella Giornata del Perdono giubilare. La Chiesa del Vaticano II non è più quella che resisteva alla scienza, quella che ricorreva al braccio secolare per avere sostegno nelle sue posizioni sulla scena pubblica, quella che benediva gli eserciti schierati in battaglia, che discriminava i non-appartenenti alla propria compagine. E’ una Chiesa che chiede perdono per quei comportamenti. Anche questo è un riposizionamento.
4. Quarta immagine. Il Concilio ha proclamato che i cristiani devono essere amici degli ebrei e ha avviato un cammino di riavvicinamento. Questo in Italia lo percepiamo poco perché abbiamo una comunità ebraica antichissima ma minima, la più antica d’Europa, ma una delle più piccole oggi. Quando Giovanni Paolo II è andato nella sinagoga di Roma nel 1986, quando è andato al Muro del Pianto a Gerusalemme nell’anno 2000, quando ha chiesto perdono per il maltrattamento degli ebrei, tutta la nazione italiana si è accorta del nuovo atteggiamento. Abbiamo visto il rabbino Toaff abbracciare il papa: senza il Concilio non avrebbe potuto avvenire. Il papa al Muro del Pianto ha pregato non assieme, ma nello stesso luogo e subito prima e subito dopo del rabbino e hanno pregato con un salmo ciascuno, cioè con le stesse preghiere. Anche questo prima non era pensabile. Al Muro del Pianto il maggio scorso è andato anche Benedetto, che il prossimo gennaio andrà alla Sinagoga di Roma: su questo dunque c’è continuità. Egli più volte ha qualificato come “irreversibile” il pronunciamento del Vaticano II sugli ebrei. Il 12 marzo scorso ha ripetuto il mea culpa per il maltrattamento storico degli ebrei formulato da Giovanni Paolo un altro 12 marzo, quello del 2000: da un 12 marzo a un altro!
5. Quinta immagine del cambiamento. Il Concilio ha voluto il riavvicinamento con le altre Chiese cristiane e con le religioni non cristiane. Anche questo in Italia lo vediamo poco. Perchè in Italia di Chiese cristiane non cattoliche fino ad ora c’erano solo i valdesi. Oggi, con l’immigrazione dai paesi dell’Est europeo, ci sono gli ortodossi e cominciamo a sentire il problema anche nella quotidianità. Quando vediamo i raduni ecumenici; quando Giovanni Paolo II convocava le giornate di Assisi e c’erano anche i non cristiani, tutti i cristiani pregavano finalmente insieme il Padre nostro. Non si era mai visto e anche questo è un frutto del Concilio. Pensate quale sarebbe oggi la nostra difficoltà nell’indebolimento che hanno tutte le Chiese nel nostro mondo, europeo e occidentale, che si va allontanando dalla tradizione cristiana, se ancora stessimo a combatterci tra cattolici, ortodossi, anglicani, luterani, calvinisti.
Ancora: pensate che cosa sarebbe il problema di incontrare l’Islam, un interlocutore così difficile, se il Concilio non ci avesse preparati a interloquire, a parlare con tutti; se ci fossimo trovati con l’Islam in casa avendo ancora la mentalità dei secoli in cui eravamo lontani, quando ognuno stava a casa propria e loro pensavano il peggio di noi e noi il peggio di loro. Dico di più e stringo questo ragionamento a una data: la provvidenzialità che Giovanni Paolo sia entrato in una moschea il 5 giugno del 2001, esattamente tre mesi prima dell’11 settembre. Dopo l’11 settembre probabilmente non sarebbe stato più possibile. Per fortuna questo papa profeta ci è entrato prima e così è potuto andare in una moschea – e per tre volte – anche Benedetto. Gesti provvidenziali che non potevano avvenire senza il Vaticano II. Benedetto su questo – sul rapporto con l’islam come anche con l’ebraismo – è pienamente fedele al Concilio e al predecessore.
6. Sesta immagine di mutamento. Il Concilio ha voluto il dialogo e la collaborazione con gli uomini di buona volontà a promozione della pace e della giustizia. Oggi molto si discute se abbiano fatto bene i papi Giovanni e Paolo e il Concilio con loro a non trattare del comunismo: si dice che è stato a modo suo un silenzio. Questa in effetti è una delle questioni su cui ci si deve interrogare nel lavoro di comprensione storica e di interpretazione dell’evento, dei condizionamenti, anche, in cui esso si compì. Ma la scelta di parlare in positivo e di andare all’incontro è nel profondo una scelta irreversibile. La Caritas in veritate (2009) di Benedetto XVI è indirizzata anche “a tutti gli uomini di buona volontà” come già i messaggi dei papi Giovanni, Paolo e Giovanni Paolo.
7. Settima immagine di novità. Il Concilio ha riconosciuto la libertà religiosa. Riassumo con due affermazioni dottrinali il cambiamento che c’è stato su questo tema. Nel Sillabo c’è scritto: “Sia anatema chi afferma che si possa cambiare religione per seguire il convincimento personale“. E Benedetto XVI, ricevendo l’inter-parlamentare democratico-cristiana, afferma: “È un diritto fondamentale dell’uomo quello di cambiare religione“. Con il Concilio, la Chiesa Cattolica ha avviato quello che Joseph Ratzinger in un libro-intervista ha definito “il grande balzo nel presente“. Non lo ha completato: lo ha avviato. E questo della libertà religiosa è certamente un punto di non ritorno.
8. Ultima immagine di cambiamento e la meno riuscita: il Concilio ha promosso partecipazione e concertazione all’interno della Chiesa. È come se la convocazione del Concilio fatta da Giovanni XXIII non fosse mai cessata, come se la Chiesa fosse rimasta da allora in un permanente stato di concilio. I vescovi sono tornati a casa, però ogni tre anni si riuniscono i sinodi, le conferenze episcopali si radunano una o due volte all’anno, nelle diocesi si fanno i sinodi locali. Tutto questo lavorare e ricercare lo vedo come un elemento di salute nella crisi che subisce il nome cristiano oggi nell’Occidente sviluppato: noi stiamo svegli sui problemi della fede, non ci acquietiamo. Ma questo è anche il punto, tra gli otto, dove il risultato è stato più parziale. Perché questa partecipazione e concertazione avrebbe dovuto dare corpo e consistenza alla pari dignità di tutti i battezzati affermata dal Concilio e fondata sul Vangelo: “Uno solo è il Signore e voi siete tutti fratelli” dice Gesù; “Vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune di tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo“ dice la Lumen Gentium al n. 32.
Io credo non ci sia bisogno di un lungo discorso per convenire che non è stata realizzata la sognata promozione dei laici e in particolare delle donne. La nostra è ancora una Chiesa a dominante clericale. Una dominante meno imperativa, più ospitale, magari formalmente dialogica, ma pur sempre di dominio si tratta. La pari dignità comporta che ai ruoli di responsabilità e di rappresentanza possano accedere anche i laici e le donne, tutte le volte che non vi è implicato il sacerdozio, mentre essi sono ancora sistematicamente riservati agli ecclesiastici. È vero però che dei passi di avvio verso la pari dignità sono stati fatti. Ne cito uno: il riconoscimento della santità degli sposati. A seguito del Concilio Giovanni Paolo ha potuto proclamare una decina di beati sposati e poi infine una santa sposata. E alla proclamazione di Gianna Beretta Molla, a piazza San Pietro, era presente il marito ancora vivente. Cito questo fatto per dire che il cammino si sta svolgendo.
La disputa sull’arretramento o meno rispetto al Concilio la accenno appena riportando un passaggio chiave del volume del cardinale Carlo Maria Martini Conversazioni notturne a Gerusalemme (Mondadori 2008, p. 103) che immagino possa trovarci tutti concordi: “Vi è un’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio. Il coraggio e le forze non sono più grandi come a quell’epoca e subito dopo. Ed è indubbio che nel primo periodo di apertura alcuni valori sono stati buttati a mare. La Chiesa si è dunque indebolita […] penso a quanti in questo periodo hanno abbandonato il sacerdozio, a come la Chiesa sia frequentata da un numero sempre minore di fedeli e a come nella società e anche nella Chiesa sia emersa una sconsiderata libertà. E’ comprensibile che soprattutto i vescovi e gli insegnanti conservatori vogliano limitare le manifestazioni di disgregazione e siano tentati di tornare ai vecchi tempi. Ciò nonostante dobbiamo guardare avanti“. Siamo qui per questo: per guardare avanti!
Non condivido l’opinione espressa da molti – dentro e fuori la comunità cattolica – secondo la quale il pontificato di Benedetto XVI starebbe segnando una svolta reazionaria nel cammino della Chiesa post-conciliare. Ritengo che nella sostanza sia lo stesso cammino di applicazione frenata e difensiva del Vaticano II che era stato impostato nella seconda metà del pontificato montiniano, che fu poi confermato e prolungato dal pontificato wojtyliano e che Benedetto XVI ha posto a programma della sua azione. Egli che era stato chiamato a responsabilità gerarchiche da papa Montini e che papa Wojtyla aveva voluto come suo principale collaboratore per 23 anni. Che la linea sia la stessa si può vedere dalla conduzione dei Sinodi, dalle nomine episcopali, dai contenuti delle encicliche, dalle iniziative ecumeniche e interreligiose. Nei casi in cui si nota un cambiamento si tratta di novità tra loro bilanciate: abbiamo una stretta in campo liturgico che si accompagna a un alleggerimento dei richiami in materia di morale sessuale; c’è una riduzione in quantità ed enfasi della predicazione della pace che va insieme a una maggiore concentrazione nell’annuncio della fede e nella presentazione della figura di Gesù. Ma sono dettagli: la linea è la stessa. Direi che il secondo tempo di papa Montini ha fatto scuola a tre papi.
Traccia per l’approfondimento
In che cosa il Vaticano II ha segnato un punto di non ritorno?
Nelle acquisizioni fondamentali: Bibbia, liturgia, collegialità, libertà religiosa, autonomia delle realtà terrene, pari dignità dei battezzati, ecumenismo e dialogo interreligioso. E’ anche irrinunciabile il metodo della concertazione insegnato dal Concilio: la continua ricerca, l’interrogazione aperta e l’ascolto di tutti.
E i testi del Vaticano II? Essi sono irreformabili come quelli di ogni altro concilio. Potranno essere discusse – poniamo con i lefebvriani – le interpretazioni e le applicazioni del Concilio, non certo le decisioni conciliari.
Come reagire a chi critica il Concilio e vuole tornare indietro?
La considereremo una tentazione a cui tutti potremmo andare incontro e cercheremo di opporci con spirito fraterno, ritenendo ciò che è buono in quella critica e mirando a realizzare una più ampia tolleranza interna. Esigeremo che gli amanti della tradizione rispettino la nuova liturgia, ma non avremo difficoltà a onorare il vecchio rito.
Veniamo da una storia di uniformità, ma sappiamo di dover prevedere e amare la diversità. Dovremmo guardare come a delle varianti senza importanza quando vediamo un prete, o un vescovo, o il Papa che riprende un paramento, o un gesto, o una formula del passato.
Le obiezioni devono bloccare il cammino?
No: dobbiamo guardare avanti, come esorta a fare il cardinale Martini, che pur ritiene “comprensibile” la preoccupazione che induce molti a voltarsi indietro. Noi oggi siamo qui per questo: per aiutarci a scrutare l’orizzonte, perché il Concilio ci ha provvidenzialmente preparati ad affrontare la grande mutazione che stiamo vivendo e noi avvertiamo che essa prenderà un passo ancora più accelerato in futuro.
Quali temi privilegiare nella nostra pedagogia di fedeltà al Concilio?
Quelli che meno hanno trovato attuazione e quelli che più ci riguardano come laicato: non è stato realizzato un nuovo equilibrio tra collegialità e primato, il governo della comunità è restato clericale e maschile, non abbiamo un’idea condivisa su come intendere il dialogo con gli umanesimi contemporanei, non abbiamo trovato un linguaggio comprensibile all’uomo d’oggi per il nostro annuncio.