Relazione al convegno della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice
“Gianni Baget Bozzo. Un intellettuale del Novecento italiano.
Ricordi e testimonianze nel decennale della scomparsa”
Roma mercoledì 30 ottobre 2019 – ore 17.00
Mi tengo a un microcosmo delle opere e dei giorni così complessi di Gianni Baget Bozzo: l’attualità della sua elaborazione sull’omosessualità, che merita di essere valorizzata a dieci anni dalla morte.
Per dirla veloce: ha esplorato il possibile linguaggio civile e cristiano su questa difficile frontiera e l’ha fatto con genialità, ma questo suo apporto è restato totalmente ignorato. Forse a motivo della perdita di autorità sulle questioni alte seguita ai molti cambiamenti d’opinione accumulati negli anni. Fors’anche perché l’ambiente del centrodestra nel quale concluse la sua attività non era sensibile alla battaglia in difesa degli omosessuali, mentre gli altri ambienti da tempo il Baget Bozzo berlusconiano l’avevano dato per perso. Lo stacco ormai decennale da queste circostanze potrebbe favorire una riscoperta.
La spinta ad abbozzarla mi è venuta da un convegno per il decennale organizzato a Genova il maggio scorso dal “Centro studi don Gianni Baget Bozzo”. C’ero perché di quel prete vulcano ero stato amico e avevo scritto in morte. Alla domanda su ciò che restava del terremoto ch’era stato, avevo risposto che la difesa degli omosessuali era forse l’eredità più viva. Il suo volume “La Chiesa e la cultura radicale” (Queriniana 1978) aveva già un capitolo sulla “condizione omosessuale”: da allora e per trent’anni la sua è stata una delle poche voci – pochissime in campo cristiano – che in Italia hanno azzardato qualche parola su questa frontiera.
La mia conoscenza di don Gianni
Forse può essere utile – a intendere le ragioni e il taglio di questo mio contributo in memoria di Baget Bozzo – un minimo ragguaglio sulla relazione trentennale con don Gianni. E’ stata una relazione professionale, da giornalista a personaggio pubblico, che sarebbe troppo chiamare amicizia, ma che raggiunse una buona sintonia negli anni 1976-1995, cioè per l’intero ventennio della sua collaborazione a “Repubblica”.
L’ho aiutato nella collaborazione a “Repubblica”, che avviò quand’ero il vaticanista di quel giornale. Fui io a presentarlo al direttore Eugenio Scalfari che non lo conosceva. Don Gianni aveva mandato un articolo battuto a macchina, all’interno di una busta affrancata sulla quale aveva scritto di sua mano l’indirizzo al “direttore di Repubblica”. Io – oltre che vaticanista – ero incaricato della rubrica delle lettere. Portai l’articolo al direttore e gli dissi che a mio parere andava pubblicato. Scalfari lo lesse, lo trovò buono e mi chiese: “Chi è Gianni Baget Bozzo?” Glielo dissi e mi chiese di sintetizzare la mia informazione per mettere due righe a cappello dell’articolo.
Questo è il distico di presentazione che scrissi per quell’articolo, che fu pubblicato con il titolo “Il ruolo dei cattolici nella società radicale” (12 maggio 1976): Volentieri pubblichiamo questo intervento di Gianni Baget Bozzo, esponente della Democrazia cristiana negli anni ’50, ora sacerdote e storico del partito cattolico. Poi per più di cinque anni (finchè restai alla Repubblica) ne rividi gli articoli che i dimafonisti tastierizzavano a fatica, stante la sua dizione avventurosa.
Ho molto imparato da Baget Bozzo nell’arte della comunicazione, nella quale era grande. Sono stato ospite nella sua mitica casa genovese. Qualche volta ho polemizzato con lui, specie in materia di Islam e ho parlato di lui in morte, lodandolo per i doni che da lui mi sono venuti e che amo interpretare in riferimento alla vocazione orbitante che l’induceva a frequenti cambiamenti di militanza culturale, ecclesiale e politica. Essa era sorella della leggerezza, della passionalità e della vivezza d’anima che lo caratterizzavano.
Frequentandolo mi sono convinto ch’egli fosse guidato come da un istinto che lo portava, nel tempo, a cercare l’altra faccia d’ogni pianeta, come chi giri intorno al Colosseo facendo suoi tutti i punti di vista che viene sperimentando. Credo che abbia fatto questo sulla DC, sul Concilio, su Dossetti, sull’Islam. Non sapevi dove l’avresti ritrovato, da un capodanno all’altro. Quell’interminata rotazione gli permetteva di sentire il pro e il contro di una situazione e di un personaggio. Gli regalava anche l’esperienza di spiazzanti bilocazioni: nel 1978 dirigeva ancora “Renovatio” ed entrava nel gruppo di redazione di “Bozze”, qualche anno prima aveva collaborato in contemporanea con il cardinale Siri e con la Pro Civitate Christiana.
Tra i lasciti primeggiano le parole sull’omosessualità
Alcuni lasciti di don Gianni a dieci anni dalla morte ci appaiono più chiari. L’intelligenza dei giorni che viveva, il lavoro assiduo nella loro interpretazione, la capacità di esplorare linguaggio, il coraggio di esporsi. L’attitudine a parlare di Dio nella lingua dell’epoca. L’insistenza sul “dono” dei profeti e sulla necessità di riscattarlo nei confronti del sacerdozio: la sua passione per Savonarola non è mai venuta meno. La denuncia del peso che il magistero ha posto sulla sessualità. La rivendicazione della libertà di scelta politica per i cattolici, in anni a essa ostili.
Nessuna operazione sarebbe più arbitraria di quella che presumesse di staccare questi suoi apporti dalla vocazione orbitante, assumendoli in un “fermo immagine” senza indicazione di data e di contesto. Si perderebbe il controluce, l’intima dialettica che connota la sua interminata istruttoria e che la fa comprensibile solo se la cogliamo sullo sfondo dell’intero sviluppo orbitale. Per esempio l’attitudine a parlare di Dio nella lingua dell’epoca – che a mio parere è il più duraturo dei suoi doni – ci apparirebbe monca, unidirezionale; mentre fu autenticamente cattolica, ovvero universale, anche se necessariamente indirizzata a destinatari diversificati, che in una stagione potevano essere i lettori di “Repubblica” e in un’altra quelli del “Giornale”.
Altrettanto – credo – si potrebbe dire per il tema dei temi che è il rapporto tra cristianesimo e storia: non ha solo affermato il convincimento del carattere plurale, anzi molteplice, di quel rapporto, ma ne ha dato una dimostrazione fattuale impegnandosi nei decenni in successive e varie sue sperimentazioni.
Non avesse orbitato e non si fosse contraddetto, non sarebbe stato don Gianni e noi oggi non saremmo qui a parlarne. Ma torno ora alla difesa degli omosessuali, che mi appare come il lascito più vivo.
Quattordici testi coraggiosi
Dopo il convegno genovese ho cercato tra i miei appunti e presso il Centro studi di Genova – aiutato dal presidente Patrizio Odetti – e ho trovato 14 testi di don Gianni sull’omosessualità. Sbrogliando la matassa e cercando di coglierne il messaggio d’insieme, ne ho tirato quattro fili di vivo colore che mi paiono utili per l’attuale dibattito.
- E’ oggi necessaria una teologia del sesso e in essa dell’omosessualità, che mai fu pensata nei secoli.
- Insieme alla ricerca dell’intenzione divina sulle persone omosessuali occorre sviluppare una carità ecclesiale che le liberi dal paradosso della verginità coatta e della scomunica oggettiva nel quale ancora sono imprigionate.
- La coppia omosessuale stabile va suggerita in ambito ecclesiale e va riconosciuta in ambito civile ma senza equipararla al matrimonio.
- Nel civile non è accettabile nessuna limitazione legislativa dell’identità omosessuale e dell’esercizio attivo della tendenza omosessuale.
Dipano i quattro fili segnalando in ordine di data qualche passo dei quattordici testi che dicevo. Ha senso farlo perché mai nessuno li aveva visti tutti, essendo apparsi sulle testate più diverse, nel corso di tre decenni, a firma di un personaggio controverso e sempre controvento.
“Si potrebbe considerare una teologia della omosessualità, in quanto diversa dalla sodomia, in quanto condizione, non in quanto perversione”: così don Gianni in un saggio che intitola “Il mistero del sesso”, scritto per il quaderno 10-11/1976 della rivista Testimonianze (pp. 659-664), a sollecitazione di una “economia della misericordia ecclesiale verso gli omosessuali per natura”, avvertendo che essa “non può però mai giungere a legittimare la coppia omosessuale, senza venir meno alla morale che segue il modello teologale”. Scorrendo gli altri scritti che dedicherà alla questione, trovo ch’egli sempre manterrà questa riserva, pur cercando di ampliare negli anni i confini della misericordia.
Nel citato volume “La Chiesa e la cultura radicale” del 1978 e con un articolo intitolato “Uno sbaglio di Dio?”, che scrive in quello stesso anno per il quotidiano il Giorno (4 marzo) segnala la “nuova problematica” che è necessario affrontare se si accetta la distinzione tra “omosessualità e sodomia” che “non sono la medesima realtà”. “La tradizione biblica ed ecclesiale – scrive don Gianni nell’articolo del Giorno – ha condannato la seconda, ma non ha affrontato il delicato problema sollevato dalla prima. E’ per questo che il teologo si trova di fronte a un problema nuovo quando deve domandarsi quale sia l’intentio della Provvidenza divina nel far sì che esistano uomini e donne private della inclinazione sessuale che loro compete”.
Vergini per precetto o in scomunica oggettiva
Il testo più audace è un articolo di Repubblica del 1° novembre 1986, apparso con il titolo “E Wojtyla riscopre Sodoma”. Qualifica come “inaccettabile” una lettera ai vescovi del cardinale Ratzinger che propone un’interpretazione restrittiva della dichiarazione “Persona humana” della Congregazione per la Dottrina (1975). Eccone la conclusione: «La dichiarazione del 1975 ha aperto un cammino senza ritorni, perché pone la sessualità dell’omosessuale sul medesimo piano di quella eterosessuale. Chiudere l’apertura d’orizzonte fatta da Paolo VI sul piano della dottrina ecclesiale è storicamente impossibile».
“Omosessuale sacerdote ideale” è il titolo provocatorio (ovviamente non suo) di un intervento che gli fu chiesto dall’Espresso del 5 agosto 1990 a riguardo della disputa sull’ammissione alla vita religiosa di donne e uomini con tendenze omosessuali, accesa dalla pubblicazione di “Direttive sulla formazione negli istituti religiosi” da parte della competente Congregazione romana. “La condizione omosessuale può integrarsi nella vita sacerdotale e religiosa ugualmente quanto la eterosessuale” è la tesi del nostro.
In una dichiarazione per un’inchiesta su omosessualità e scienza del settimanale Panorama del 15 settembre 1991, don Gianni così argomenta il “paradosso” dei credenti omosessuali: “Sono mantenuti ai margini della Chiesa e costretti moralmente alla castità. I gay credenti sarebbero, per così dire, dei vergini per precetto. Oppure si troverebbero in una situazione di scomunica oggettiva. Un paradosso”.
Con un articolo intitolato “Diritti dell’Omo” su Panorama del 9 agosto 1992 polemizza con un altro documento vaticano contrario al riconoscimento civile delle coppie omosessuali: “Negli Usa il dibattito sui diritti degli omosessuali è molto diffuso e i teologi moralisti hanno consigliato più volte agli omosessuali un partner stabile invece che variabile. Questo consiglio assume un nuovo valore del tempo dell’aids. Il documento vaticano ha di terribile questo: sembra voler lasciare fuori dalla carità ecclesiale questa condizione umana, molto aperta verso il fatto religioso”.
L’omosessualità può essere un fatto cristiano
Sempre a favore del riconoscimento civile delle coppie omosessuali è un intervento sul Giornale del 18 marzo 2000, a eco di una mozione del Parlamento europeo che sollecitava gli stati membro a tale passo: “Esiste un diritto civile di un omosessuale a manifestare la sua condizione senza ricevere sanzioni o limitazioni […]. Una strada per dare forma giuridica alla convivenza omosessuale potrebbe essere trovata evitando l’equiparazione alla famiglia e certamente escludendola dalla educazione dei figli adottivi”.
Con due interventi sul Foglio Quotidiano del 7 e 10 giugno 2000 don Gianni cerca di mediare tra gli organizzatori del Gay Pride romano, programmato a sfida del Grande Giubileo, e papa Wojtyla che lo deplorerà all’angelus del 9 luglio, cioè all’indomani della manifestazione. “Credo che l’omosessualità possa essere un fatto cristiano” afferma nel secondo dei due articoli.
“La Chiesa sbaglia: sugli omosessuali deve aprire gli occhi” è il titolo di un’intervista al Corriere della Sera del 4 luglio 2000, ancora in riferimento al Gay Pride: «L’omosessualità non è una malattia, non è una colpa. È una condizione naturale, che comincia dalla nascita. Non c’ è scelta. E se non c’ è scelta non può esserci condanna. Le censure ai preti e alle suore che si occupano del tema appaiono eccessive».
La sovraesposizione mediatica in zona Gay Pride costringe don Gianni a dichiarare in più occasioni: “Non provo sentimenti omosessuali. Non ho confessato la mia omosessualità. Non ho voluto dare scandalo” (Corriere della Sera dell’11 giugno 2000). E dovrà smentire ancora per anni, per esempio con il settimanale Sette del Corsera l’11 marzo 2004: “Tu sei omosessuale? – No”. E più avanti, nella stessa intervista: “Sono vergine”.
L’evoluzione della Chiesa può continuare
“Preti omosessuali: così la Chiesa difende il sacerdozio” è il titolo con cui il Giornale del 3 dicembre 2005 pubblica un intervento di don Gianni su un documento vaticano che esclude gli omosessuali dal sacerdozio: “Questa esclusione è sicuramente un fatto nuovo, ma non significa affatto che un omosessuale non possa, nel cambiamento della vita che comporta il dono della grazia santificante, vivere la vita conforme alla legge cristiana. Forse proprio questo fatto nuovo dell’esclusione degli omosessuali dal sacerdozio deve determinare una maggior riflessione nella Chiesa perché non accada che l’omosessualità diventi quasi un fatto etnico, mentre nella Chiesa non vi è né uomo né donna”.
Con il titolo “I gay arma dell’Unione Europea contro la Chiesa” il Giornale del 1° maggio 2007 pubblica la reazione di don Gianni a una risoluzione del Parlamento Europeo che censura la posizione della Chiesa Cattolica sull’omosessualità. Riporto questa frase che guarda in avanti: “Il linguaggio del peccato contro natura è finito e l’evoluzione della Chiesa può continuare”.
Notare la data di quest’ultimo intervento: per un trentennio Baget Bozzo ha tenuto fede alla sua rivendicazione di uno spazio ecclesiale per gli omosessuali. E l’ha tenuta nel cambio d’ogni altro suo schierarsi.
Il don Gianni teologo non va ridotto al politico
Dicevo sopra che i mutamenti d’opinione hanno tolto autorità a don Gianni Baget Bozzo. Quando scriveva il primo dei testi che ho richiamato, collaborava con Rocca e con Repubblica, alla data dell’ultimo mandava pezzi a Tempi e al Giornale.
Ma il Baget Bozzo teologo con va schiacciato sul don Gianni della politica. Era laureato in teologia alla Lateranense, l’ha insegnata nel seminario di Genova, ha diretto la rivista “Renovatio”, è stato per tutta la vita un onnivoro lettore delle pubblicazioni di teologia in ogni lingua.
Al filone della ricerca teologale vanno ricondotti gli interventi sull’omosessualità, che mai sono citati in pubblicazioni sull’argomento. Io li ho segnalati da giornalista. A chi cura la memoria di don Gianni l’invito a cercarne altri. A chi ne ha gli strumenti, la provocazione a studiarli.