Amo le parabole di Francesco: gli ho dedicato un libro scritto insieme al collega Ciro Fusco. Oggi ne recupero una di straordinaria bellezza, venuta dopo il libro, narrata dal Papa il 25 maggio, parlando a braccio a un convegno sul tema “Yes to life! – La cura del prezioso dono della vita nelle situazioni di fragilità”. Nel primo commento il testo della parabola, nel secondo il mio consenso.
Parabola del giudice e della mamma down
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Ragazzina down di 15 anni. A me viene in mente una storia che io ho conosciuto nella mia altra diocesi. C’era una ragazzina di 15 anni down che è rimasta incinta e i genitori erano andati dal giudice per chiedere il permesso di abortire. Il giudice, un uomo retto sul serio, ha studiato la cosa e ha detto: ‘Voglio interrogare la bambina’. ‘Ma è down, non capisce’. ‘No no, che venga’. È andata la ragazzina quindicenne, si è seduta lì, ha incominciato a parlare con il giudice e lui le ha detto: ‘Ma tu sai cosa ti succede?’. ‘Sì, sono malata’. “Ah, e com’è la tua malattia?’. ‘Mi hanno detto che ho dentro un animale che mi mangia lo stomaco, e per questo devono fare un intervento’. ‘No, tu non hai un verme che ti mangia lo stomaco. Tu sai cos’hai lì? Un bambino!’. E la ragazza down ha fatto: ‘Oh, che bello!’: così. Con questo, il giudice non ha autorizzato l’aborto. La mamma lo vuole. Sono passati gli anni. È nata una bambina. Ha studiato, è cresciuta, è diventata avvocato. Quella bambina, dal momento che ha capito la sua storia perché gliel’hanno raccontata, ogni giorno di compleanno chiamava il giudice per ringraziarlo per il dono della nascita. Le cose della vita. Il giudice è morto e adesso lei è diventata promotore di giustizia. Ma guarda che cosa bella! L’aborto non è mai la risposta che le donne e le famiglie cercano.
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/05/25/0446/00917.html
Due sono i doni che ci vengono dal Papa con questo brano di magistero narrativo. Il primo riguarda l’apprezzamento della vita in qualunque condizione germogli o perduri. E dunque l’impegno a vincere le resistenze a cui va incontro una maternità precoce, innanzitutto. E ancor più – questo è il secondo dono – la disponibilità ad accogliere la maternità in una condizione di parziale disabilità. Ovvero a riconoscere che è senza limiti la pietà divina verso l’umano. Pietà che tutto riscatta. Redime, abilita. I cristiani dovrebbero essere i primi in ogni ampliamento delle frontiere dell’umano. Ammettere a tutti i sacramenti e i ministeri i disabili è un segno di disponibilità ad intra, alla quale non può non seguire una piena disponibilità ad extra.
Scusa Luigi, ma perché la definisci una parabola? Mi era già capitato di leggere questo racconto e, dal modo in cui il papa lo introduce, avevo pensato che si trattasse di un fatto realmente accaduto. Non è così, a tuo parere?
Mi pare una questione rilevante, se non dirimente, per valutarlo. È bello (se vuoi, anche “di straordinaria bellezza”) se è veramente accaduto, se no è una fola come un’altra.
E’ veramente accaduto?
Antonella il Papa la racconta come accaduta e come tale io la prendo: “una storia che io ho conosciuto nella mia altra diocesi”.
Molto bene!
Caro Luigi, mi spiace non poterti ringraziare per la cortesia di avermi risposto, ma per fortuna ha rimediato Antonella Lignani (che pure ringrazio). Dunque quella del giudice e della mamma Down non era una parabola.
Pensa che ho tanto rispetto per il tuo lessico che sono andato a controllare se per caso non mi fossi sempre sbagliato io a intendere quel termine. La Treccani online mi rassicura che la parabola è proprio la «narrazione di un fatto immaginario ma appartenente alla vita reale» (immagino che ciò significhi che gli elementi che la compongono sono presi dalla vita reale). Però nella voce della Treccani ho trovato anche l’annotazione che «Il termine è riferito oggi esclusivamente alle 49 p. contenute nei Vangeli sinottici».
Personalmente non sarei così drastico, però è vero che nel sentire comune le “parabole” sono quelle di Gesù. E mi sono fatto una mezza idea del perché tu ci tenga così tanto a chiamare parabole i racconti di papa Francesco.
Caro Leonardo Lugaresi, come ricorderai, Luigi ha ricamato a lungo sul perché definisce parabole questo genere di racconti di Francesco: qui sul blog, ovviamente nel libro che ha dedicato a questo genere letterario “bergogliano” assieme a Ciro Fusco e in tre successive puntate della sua rubrica Io non mi vergogno del Vangelo sull’amica (per lui e per me) rivista Il Regno (nn. 20 del 2017, 6 del 2018 e 8 del 2018) accessibili dall’archivio. E dunque, aspettando che la Treccani accrediti questo allargamento del significato del termine, godiamoci queste e altre “parabole” che diversi autori, anche in Rete, propongono per far conoscere le “tracce di Vangelo” di cui sono testimoni
Sono parabole nel senso che sono.fatti veri che assurgono a simboli.