“La Lettura” – supplemento del Corsera – 10 marzo 2019 – pp. 8 e 9
Le critiche vanno a Bergoglio come le mosche al miele e una delle più insistenti dice: questo Papa svaluta il peccato e offre una misericordia a costo zero. I sostenitori negano che faccia questo ma non possono negare che la predicazione di Francesco sul peccato sia nuova. Tre sono le novità più vistose.
La prima novità riguarda il linguaggio: Francesco ha rottamato quello dei manuali di morale. Non distingue i peccati in veniali, mortali, contro natura, che gridano vendetta. Parla come il parroco che dice a chi incontra per via: “Vieni a confessarti”.
La seconda novità è nel rovesciamento della classifica per gravità rispetto ai moralisti d’antan: quelli consideravano come primi tra i peccati quelli sessuali, che invece Francesco considera come i più lievi.
La terza novità, la più interessante per chi osserva da fuori, è nella proposta di una fitta casistica di peccati quotidiani, cioè della vita d’ogni giorno, sui quali i confessori mai facevano domande.
Qui a fianco ne proponiamo dieci, di questi peccati quotidiani, formulandoli con le parole con cui li indica il papa: dal chiudere la porta ai bisognosi e fare i bulli con i deboli, a gettare il cibo avanzato e “venerare la dea lamentela”. In mezzo ci sono molte fattispecie peccaminose: scartare l’anziano, litigare davanti ai figli, accettare bustarelle, spennare il prossimo (cioè sparlare di chi ci vive accanto), fare finta d’essere cristiani, andare dalla cartomante.
La chiave per interpretare la predicazione bergogliana sul peccato va cercata nella sua passione per la confessione. Confessa e si confessa in San Pietro nelle celebrazioni penitenziali della Quaresima. Gli ultimi Papi confessavano, ma Francesco è l’unico che si confessa davanti al popolo.
Si considera un peccatore e l’ha detto già quando dovette rispondere alla domanda se accettava l’elezione a Papa: “Sono peccatore, ma confidando nella misericordia e nell’infinita pazienza di Nostro Signore Gesù Cristo e in spirito di penitenza accetto”.
Francesco appare sincero quando – nelle interviste – riconosce di avere “tanti difetti” e di “prendere cantonate”. “Prego di non fare delle stupidaggini e ne faccio” ha detto una volta. A chi l’interroga sulle incomprensioni di cui è vittima risponde: “Penso che a causa dei miei peccati dovrei essere capito anche meno”.
Non abbiamo dunque soltanto un Papa che predica sul “mistero del peccato”, ma anche un confessore che prima di chiamarci a penitenza s’inginocchia lui e per primo confessa i suoi peccati. “Il miglior confessore è di solito quello che si confessa meglio”, ha detto una volta ai preti di Roma.
“Nelle cose dell’amore non si dà materia lieve” sentenziavano i moralisti: “In re venerea non datur parvitas materiae”. Ma Papa Bergoglio scombina la classifica e dice a Wolton (nel volume “Dio è un poeta”, Rizzoli 2018, a p. 154) che “i peccati più lievi sono quelli della carne”.
Questa è la spiegazione che Francesco offre di quel suo rovesciamento: “I peccati della carne non sono necessariamente (sempre) i più gravi. Perché la carne è debole. I peccati più pericolosi sono quelli dello spirito: l’orgoglio, la vanità”.
Nell’enciclica Laudato si’ così segnala le colpe capitali dell’umanità contemporanea: “Oggi il peccato si manifesta con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili, negli attacchi contro la natura”.
Il concetto di “peccato contro la creazione” Francesco lo prende dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo che da anni va conducendo una creativa predicazione biblica sulla “salvaguardia del Creato”. Nell’enciclica “sulla cura della casa comune” Francesco fa molti riferimenti a Bartolomeo: al “caro Patriarca ecumenico con il quale condividiamo la speranza nella piena comunione ecclesiale”.
In particolare ne riporta, approvandola, quest’affermazione a modo di sommario: “Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati”. Francesco nell’enciclica fa sua anche quest’altra parola di Bartolomeo, che ha una più diretta valenza dottrinale: “Un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio”.
Quella di Papa Bergoglio non è una predicazione che tenda a fare sistema e il suo – come dice egli stesso – è un “pensiero incompleto”, cioè aperto, in ricerca. Succede così che egli sia vittima di ogni possibile conflitto interpretativo. Basta staccare un tema dal contesto e tralasciare il resto per farne un traditore – poniamo – della tradizione cattolica.
I tradizionalisti infatti l’accusano di banalizzare il “delitto d’aborto” eppure ha affermazioni durissime sull’aborto. “E ho pensato all’abitudine di mandare via i bambini prima della nascita, questo crimine orrendo: li mandano via perché è meglio così, perché sei più comodo, è una responsabilità grande – è un peccato gravissimo, no? – è una responsabilità grande”: così ha parlato una volta con un’intervista a TV2000.
Più recentemente ha parlato così alla folla di piazza San Pietro: “E’ giusto far fuori una vita umana per risolvere un problema? Non è giusto far fuori un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario”.
In mezzo tra queste due uscite ha evocato addirittura le pratiche eugenetiche del Terzo Reich: “Il secolo scorso tutto il mondo era scandalizzato per quello che facevano i nazisti per curare la purezza della razza. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi: è di moda, abituale, quando in gravidanza si vede che forse il bambino non sta bene: la prima offerta è ‘lo mandiamo via?’ L’omicidio dei bambini”.
Lo stesso si può dire dell’eutanasia e di altri “principi non negoziabili” della tradizione cattolica: non usa mai questa espressione, che era cara al cardinale Ruini e che fu usata anche da Papa Ratzinger, ma il precetto della difesa della vita lo fa valere con forza. Solo che gli mette alla pari la difesa della vita in ogni altro momento dell’esistenza: vuole che il cristiano difenda il feto come l’immigrato, l’embrione come il condannato a morte.
Un peccato che aveva buona piazza nella morale tradizionale e che Bergoglio non riconosce, tanto da citarlo solo per confutarlo, è quello della trasgressione dei precetti ecclesiastici riguardanti i modi di assolvere al dovere della messa domenicale, o le regole del digiuno e simili.
Per esempio: la messa del sabato vale per la domenica? In una delle omelie del mattino alla Casa Santa Marta che sono il momento in cui meglio parla da parroco – ne ha trattato ricordando quando, “tanti anni fa”, gli si avvicinò una signora dicendogli: “Padre, devo fare una domanda perché non so se devo confessarmi o no. Sabato scorso siamo andati alle nozze di amici e c’era la messa lì e abbiamo detto, con mio marito: ma sta bene, questa messa, sabato sera? Sa, padre, che le letture non erano quelle della domenica, erano quelle delle nozze e io non so se questo era valido o io ho peccato mortalmente perché non sono andata domenica all’altra messa”. Nel porre quella questione, ha osservato Francesco, “quella donna soffriva”. “Allora – ha continuato – le ho detto: il Signore la ama tanto: lei è andata lì, ha ricevuto la comunione, è stata con Gesù… stia tranquilla, il Signore non è un commerciante”.
Peccato dei peccati per Francesco, preso con tutta la sua Chiesa nello tsunami dello scandalo pedofilia, è l’abuso dei chierici sui minori. Una volta l’aveva paragonato alle “messe nere”, cioè al sacrilegio delle cose sacre. Della più sacra: l’Eucarestia.
Come non gli bastasse, a conclusione del summit episcopale di febbraio ha detto che dietro gli abusi c’è Satana e ha fatto quell’affermazione facendo appello alla sua autorità di Vescovo di Roma: “Fratelli e sorelle, oggi siamo davanti a una manifestazione del male, sfacciata, aggressiva e distruttiva. E questo vorrei dirvelo con l’autorità di fratello e di padre, certo piccolo e peccatore, ma che è il pastore della Chiesa che presiede nella carità: in questi casi dolorosi vedo la mano del male che non risparmia neanche l’innocenza dei piccoli. Dietro a questo c’è Satana”.
Ma è destino che un Papa, qualsiasi Papa, quando evoca Satana sia comunque irriso dai media: succede regolarmente in quest’epoca smagata, da Paolo VI a oggi. Se fosse ancora qua Vittorio Gorresio potrebbe aggiornare il libello “Il Papa e il diavolo” (Rizzoli 1973) con cui si prese gioco di Montini, il Papa riformatore, quando ritenne di dover confermare la fede cristiana nell’Avversario.
Il coro di critiche verso Francesco è stato largo, modulato sulla nota: “Non è Satana colui che violenta bambini, sono i preti”. “Pedofilia: incriminando Satana, il papa indebolisce il suo discorso” è stato un titolo del francese “Le Monde”. Il britannico “The Guardian”: “Il Papa incolpa Satana per gli abusi del clero mentre gli attivisti liquidano il suo discorso come una trovata pubblicitaria”.
L’incomprensione è stata totale. Francesco evocando Satana voleva dire che quella degli abusatori era la colpa più grave: un atto diabolico. I critici hanno inteso che volesse minimizzarla. Se parlare del peccato all’umanità postmoderna è un azzardo, mettere nella stessa frase Satana e il peccato è decisamente troppo.
Luigi Accattoli
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