Don Cyrille ruandese scampa al genocidio e predica il perdono

“Mi hanno arrestato, legato e torturato, come si tortura un uomo condannato a morte. Poi, insieme ad altri, mi hanno portato su una collina per fucilarmi. Era l’aprile del 1994 e avevo solo 25 anni. Ero al secondo anno di teologia, nel seminario di Byumba, in Rwanda.
“La mia colpa era di appartenere all’etnia Hutu e la mia condanna a morte veniva dal fatto che ero incappato in un gruppo di Tutsi. Era in corso quello che è stato chiamato ‘genocidio del Rwanda’, che è stata una tragedia – se possibile – ancora più spaventosa di come l’avete capita voi in Europa: o meglio, più complessa di come vi è stata presentata.
“Si è trattato insieme di una guerra tribale e di una guerra civile, ci sono stati morti sia tra gli Hutu, sia tra i Tutsi. Hutu e Tutsi facevano parte insieme delle truppe in rivolta e di quelle che reprimevano la rivolta. Voglio dire che non è stato solo un fatto di sangue tra due etnie, ma una lotta di potere che ha sfruttato anche la rivalità tra i due popoli, che è antica di secoli.
“Io sono stato preso durante le vacanze di Pasqua, mentre rientravo al seminario dal campo profughi dov’ero andato a incontrare la mia famiglia.
“In due mi portano all’esecuzione su un piccolo rialzo del terreno, davanti a una fossa coperta da rami d’albero, dove già erano ammassati altri che erano stati fucilati. Li imploro: potete lasciarmi dire l’ultima preghiera sotto questo cielo? Dicevo così mentre caricavano le armi.
“In ginocchio, nudo davanti al mitra, ho pregato il Signore. Gli ho chiesto di perdonarmi e di accogliermi nel suo Regno. Ho pianto. Le mie non erano solo lacrime di paura: sarei morto prima di diventare sacerdote.
“Hanno sparato. Sono stato colpito al collo e alla schiena. Invece di cadere in avanti, dentro la fossa con gli altri uccisi, sono caduto all’indietro e sono rotolato giù per il pendio e mi sono ritrovato dentro un ruscello: ero vivo, perdevo sangue e avevo ancora le mani legate.
“Pensavo di poter camminare solo per pochi metri, invece ho continuato per tre ore, lungo la strada ho trovato un ragazzo che mi ha slegato le mani e infine ho raggiunto il seminario, situato in una località che si chiama Rwesero.
“Qui mi aspettava un secondo incontro con la morte, questa volta la morte degli altri: i professori, le suore, i miei compagni, tutti erano stati uccisi. Più di venti corpi sparsi qua e là. Tra loro ci sarei stato anch’io se non fossi stato arrestato e ‘fucilato’ altrove! In quel momento ho capito d’essere scampato non a una ma a due stragi.
“Un sacerdote che era venuto a cercare le ostie consacrate e i libri mi ha trovato lì, tutto insanguinato e mi ha salvato. Mi ha caricato sulla sua macchina, coprendomi con dei cartoni perché i militari, che lo avevano visto guidare da solo all’andata, non mi scoprissero e non ci uccidessero tutti e due.
“Ma tutto andò liscio fino all’ospedale dei barnabiti, dove sono stato curato. Lì ho anche conosciuto Nonna Amelia, un’anziana missionaria veronese che stava portando fuori dal Rwanda una decina di bimbi orfani. Mi prese con sé in quella fuga per la vita verso l’Uganda.
“Sull’aereo della Croce Rossa che partiva per l’Italia c’erano ancora quattro posti liberi e vi salimmo io e altri tre seminaristi che avevano aiutato Nonna Amelia a portare in salvo quegli orfani. Sono atterrato a Bergamo il 27 aprile del 1994.
“Nuovo paese e nuova vita, ma il sogno era sempre quello: diventare sacerdote. Passo per il PIME di Milano e poi finisco all’Università Urbaniana di Roma e – attraverso il rettore – entro in contatto con don Guido Todeschini, direttore di Telepace, al quale racconto tutta la mia storia, chiedendogli se era possibile aiutarmi economicamente per continuare gli studi. Telepace è un’emittente televisiva nata a Verona e che ora trasmette in tutta Italia e anche fuori. E’ caratterizzata dal non avere pubblicità e dall’essere sostenuta da quelli che la guardano e partecipano alle iniziative di carità che il direttore propone nelle trasmissioni di dialogo con gli spettatori.
“Don Guido mi offre una borsa di studio sostenuta dai benefattori di Telepace. Arrivo a prendere la licenza all’Istituto biblico.
“Le sventure della mia famiglia non erano terminate. La guerra civile e tribale ha avuto lunghe code nel mio paese e due anni più tardi dodici miei parenti sono stati massacrati, nel luogo dove si erano rifugiati.
“Alla mia ordinazione nel duomo di Verona, il 26 giugno del 1999, era presente l’unico fratello che mi era rimasto, scampato come me dalle stragi che avevano devastato il mio paese. Era rimasto nascosto per non farsi ammazzare e per un anno mi aveva scritto firmandosi con il nome di un amico.
“E’ stato da quelle lettere che ho saputo che cosa era successo alla mia famiglia. Quando ho scoperto che si trattava di mio fratello ho fatto in modo che mi potesse raggiungere in Italia.
“Per la mia ordinazione ho scelto come motto un versetto del Salmo 121: Chiederò per te il bene. L’ho scelto pensando a quanti mi avevano voluto bene ma anche a quel fratello che su quella collina mi aveva sparato, forse per uccidermi, o –chissà – mirando male per lasciarmi vivo.
“Durante il rito dell’ordinazione ho raccontato la storia della mia salvezza e ho fatto piangere tutta la gente che era in cattedrale, compreso il vescovo Flavio Roberto Carraro e anche quelli che seguivano per televisione. E pensare che io per quei fatti non avevo mai pianto.
“Quelli che hanno ucciso i miei parenti e volevano, o credevano di aver ucciso anche me, io li voglio aspettare nel perdono e li voglio incontrare un giorno nel Signore. Questo è il mio modo di ricordare quell’anno terribile per il mio popolo, quando in un centinaio di giorni morirono forse un milione di persone”.

Luigi Accattoli
da La voce di Padre Pio marzo 2006

nota
Ho conosciuto don Cyrille Niyonzima da una trasmissione di Telepace, ho avuto il suo numero di telefono da don Guido Todeschini e per telefono l’ho intervistato. Egli oggi fa il prete presso una parrocchia del viterbese. Amerebbe tornare in Rwanda, ma per ragioni di sicurezza è costretto a restarne lontano. Sempre per ragioni di sicurezza non ha potuto fornire foto da pubblicare con questo articolo. (L. Acc.)

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