Com’è scombinato il mondo: da un quarto di secolo qui da noi s’argomenta che i papi chiedono troppi perdoni, ed ecco il Parlamento del Canada che il 1° maggio intima a Francesco di «scusarsi» per l’annoso maltrattamento dei bambini aborigeni nelle scuole cattoliche. Sul pianeta inesplorato del perdono si va a tentoni e Francesco tasta con impegno il terreno, tra le proteste di chi l’accusa di dire troppo e chi vorrebbe dell’altro. E’ il promettente attacco di una mia noterella pubblicata da Il Regno che ricapitola gli ultimi passi del Papa che chiede perdono e li interpreta nel quadro di quanto facevano in precedenza i Papi del Vaticano II.
Mia noterella su Francesco e le richieste di perdono
2 Comments
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“Fauna clericale”: sorprendente e azzeccato questo termine.
Molte richieste di perdono doverose. Credo non piaciute a chi ha sempre ritenuto il papato, sbagliando, un’ Istituzione impeccabile e non soggetta ad errori.
Il Papa, vicario di Cristo–si dice– sulla Terra, non può sbagliare e chiedendo perdono sminuisce il suo ruolo.
Ma se il papa, uno qualsiasi, indica ai peccatori il dovere di chiedere perdono,è vero o no che nel momento in cui la buona coscienza lo mette di fronte alle innegabili colpe gravi, presenti e passate, dell’Istituzione di cui è a capo, ha il dovere, lui stesso, di chiedere perdono? È vero o no che ha il dovere di dare l’esempio lui per primo?
C’è stato qui, qualche tempo fa, qualcuno che nel tentativo vano di difendere il papato, disgiungeva il papa dagli atti del famigerato ufficio dell’inquisizione che mandava al macello, sui roghi, gli eretici veri o presunti. Come se un papa non dovesse essere al corrente di quegli inauditi delitti efferati, ed opporvisi.
Francesco, fra l’altro, è il primo papa che si sente fratello tra fratelli ed è più convinto di altri che questa fratellanza non può esimerlo dalla piena condivisione dell’umanità, cioè dell’imperfezione, che è il tessuto, nel bene e nel male, di ogni essere umano. Tutti gli ecclesiastici sono umani, quindi imperfetti.
Sbagliano quelli che vorrebbero vedere il Papa e la casta sacerdotale con in testa un’aureola di divinità. Una volta era così infatti.
I reverendi chierici venivano visti come esseri superiori. Oggi c’è un Papa–davvero inaudito!– che li mette nell’ultimo gradino della scala ecclesiastica, li richiama continuamente al servizio verso gli altri; e pone i laici, in primis i poveri e gli emarginati, sul primo scalino.
Un capovolgimento di prospettiva che dovremmo fare nostro.
Per i cattolici conservatori è un’impresa, questa, pressoché impossibile.
Per loro il clero è mandato dal cielo e la Chiesa è una divinità essa stessa. Qualunque cosa dica e faccia, va applaudita e omaggiata con molti ossequi, soprattutto se mostra un abito di autoreferenzialità.
Ma se appare all’orizzonte un papa “comunista” e “parroco di campagna”, semplice fratello tra fratelli, allora no, non va bene; allora la Chiesa è guidata dall’anticristo e qualche presa di distanza va presa, con la mente rivolta ossessivamente al passato.