Al volume di Carlo Maria Martini
La trasformazione di Cristo e del cristiano alla luce del Tabor
Esercizi spirituali 2003
Edizione speciale per il “Corriere della Sera” 2017 – pagine 7-12
Questi “esercizi spirituali” sono un piccolo capolavoro nella selva di pubblicazioni simili che Martini è venuto fornendo lungo il mezzo secolo di quella sua attività, cioè di predicatore di esercizi secondo il metodo di Ignazio di Loyola. Un ruolo che sentiva legato alla vocazione di gesuita e di biblista e che ha esercitato prima, durante e dopo la stagione in cui fu arcivescovo di Milano.
A fare di questo libretto un capo d’opera è l’avvertenza drammatica della condizione del cristianesimo nel mondo che il cardinale in essa esprime, all’indomani dell’abbandono delle responsabilità istituzionali: la “rinuncia” al governo dell’arcidiocesi di Milano è accolta da Papa Wojtyla nel luglio del 2002, questi esercizi Martini li tiene nel settembre e nell’ottobre del 2003. Segnalo una tra le spie di quell’avvertenza che tengono sveglio il lettore e la prendo dalla prima delle dodici meditazioni: “Ho cercato di comunicarvi alcuni pensieri che mi perseguitano da parecchi mesi, nel tentativo di capire, pur rimanendo al di fuori del giudizio, la complessità della situazione storica nella quale si trova la Chiesa di oggi”.
E’ con i testi raccolti in queste pagine che Martini avvia la sua affermazione pubblica della necessità di riforme urgenti nella vita della Chiesa. Un impegno a svegliare l’attenzione della comunità cattolica che l’induce a portare a pienezza la libertà di parola che sempre l’aveva caratterizzato, ma che fino ad allora appariva velata da una prudenza istituzionale e linguistica che ora scema fino a scomparire.
Dallo studio della Bibbia Martini aveva appreso una sapienza molteplice nell’uso delle parole. Per una vita si era adoperato a cavarne un insegnamento che potesse essere accolto da tutti e nel quale non fosse inciampo umano. Era la via della prudenza, alla ricerca della parola giusta per dire un concetto arduo, una proposta nuova. Ma con il pensionamento alla via della prudenza prende a sostituire la via della schiettezza, che si farà ogni anno più audace lungo il decennio che vivrà da emerito.
Anche su papa Benedetto, al quale pure lo legava un rapporto di reciproca stima, in più di un’occasione la sua parola di emerito suonerà libera. Quando osserverà che a Regensburg sull’islam il papa teologo aveva parlato più da professore che da papa, quando dirà solo in negativo della messa secondo il vecchio rito, quando esprimerà scetticismo sull’inquadramento storico del Vangelo di Giovanni che Ratzinger-Benedetto abbozza nel primo volume su Gesù, quando rivendicherà la benefica esistenza di un “relativismo cristiano”.
Ma sul papa gli sarà facile trovare parole comunque improntate a rispetto, mentre in altre occasioni la sua schiettezza si farà iperbole e provocazione. Nelle “Conversazioni notturne a Gerusalemme” dove traccerà uno scenario di questioni che chiedono “decisioni coraggiose” (2008), nella collaborazione mensile durata due anni con il “Corriere della Sera” lungo la quale azzarderà risposte brevi a grandi domande (2010-2012), nei colloqui con Eugenio Scalfari, con Gustavo Zagrebelsky, con Ignazio Marino dove porterà a un ultimo stadio – di confronto alla pari – l’esperienza della Cattedra dei non credenti, nelle conversazioni con gruppi di malati di Parkinson (la sua malattia) che stimolerà a reagire alla progressiva invalidità con la stessa libera accettazione con la quale risponderà alle domande degli interlocutori; in queste e altre occasioni uscirà sempre più decisamente dal discernimento linguistico che l’aveva caratterizzato fino ad allora e parlerà con una libertà che si farà totale nell’ultima intervista, pubblicata dopo la morte dal “Corriere della Sera” del 28 agosto 2012, nella quale arriverà ad affermare, venendogli meno la voce, che “la Chiesa è rimasta indietro di duecento anni”.
Quella libertà di parola, rara tra i cardinali prima dell’arrivo di papa Francesco, vive un suo momento nascente in questi esercizi. Qui parla in case religiose, a preti e chierici in formazione, ma lo fa con la stessa serena confidenza con la quale svolgerà negli anni a venire le attività che ricordavo sopra.
Il libretto fornisce le tracce di due corsi di esercizi, il secondo dei quali tenuto a Nazaret, in Terra Santa. Quello che abbiamo tra mano è il Martini che ha scelto di vivere l’ultima stagione a Gerusalemme “nel desiderio di dare testimonianza alla scelta storica di Dio” come afferma nella prima meditazione. Dio ha scelto Israele, Martini vuole inserirsi in questa scelta. Avvertiamo subito la vertigine di un cammino che provoca a coprire una lunga distanza con l’attraversamento di poche pagine. Lo sfondo della geografia biblica l’aiuta a tenere attiva quella provocazione, sia che indugi a contemplare lo splendore del Tabor sulla piana di Nazaret, sia che evochi con poche parole il Giordano del Battesimo di Gesù, il tempo “spesso inclemente” di Galilea, la città di Gerusalemme che osserva dalla finestra mentre recita i Salmi: il salmista insiste a descriverla come città di pace all’inquieto lettore della Bibbia che assiste da quella stessa finestra a un perpetuo conflitto e domanda dove sia oggi “quella Gerusalemme”.
Il Martini della terza età è pieno di interrogazioni. Chiede con disarmata schiettezza perché “tanti non seguono più Gesù”, perché la Chiesa “non è molto ascoltata nel mondo”, perché la Parola del Vangelo “non ottiene il frutto che avremmo sperato”. Parafrasando una pagina del Vangelo di Giovanni richiama gli uomini di Chiesa che l’ascoltano alla realtà ostile di un mondo che oggi appare lontano da Cristo e li avverte che non devono pensare solo agli altri che s’allontanano ma anche a loro stessi che forse non corrispondono alla vocazione esigente che hanno abbracciato: “Padre, glorifica il tuo Figlio che non è amato, è sconosciuto, disprezzato, emarginato. Dona anche a noi di glorificarlo”.
L’originalità del testo consiste in questo: che non è un credente in fuga a svolgere domande e invocazioni. Questo Martini che stringe le palpebre e fissa lo sguardo in “Gesù luminoso”, è lo stesso che presenta nelle dodici meditazioni il “mistero della Trasfigurazione” come bellissimo, grandissimo, meraviglioso, sublime. Lo stesso che segnala “qualcosa di formidabile” nello specifico dell’orazione, cioè del “mistero della preghiera”, che pone “l’essere dell’uomo davanti all’Essere”. Neanche nella considerazione dell’età declinante c’è ripiegamento in questo combattente della fede che invita a leggere ogni avvisaglia di malattia e di vecchiaia come un segno del “bussare di Gesù alla porta del cuore”.
Girando per queste pagine il lettore è continuamente sorpreso dalla novità di linguaggio con cui il filologo del Nuovo Testamento e lo sperimentato uomo di Chiesa si propone di arrivare agli ascoltatori. Parla della storia come luogo della “libertà di Dio”, e dunque “imprevedibile”. Qualifica la preghiera che si appoggia a testi di grandi autori come “corsa dietro motori”. Definisce “esperienza della sembianza di morte” quella dell’orante alle prese con il peccato. Invita giovani e anziani a cogliere “il miracolo del presente”: un “carpe diem” (cogli l’attimo) cristiano di insolita efficacia.
Forse la pagina dove novità di linguaggio e percezione nuda del mistero meglio si uniscono è quella al centro dell’undicesima meditazione intitolata a “Gesù umiliato”, dove il Martini biblista tenta di dire in parole d’oggi la piena accettazione dell’umano da parte del Cristo, quando viene schernito con l’invito a scendere dalla croce: “Se scende forse crederanno, però andrebbe contro il disegno del Padre, presentando un’immagine di Dio incapace di solidarizzare col peccatore fino in fondo”.
L’anziano uomo di Dio, con il cuore abbagliato dalla vicinanza al mistero, non è soddisfatto di quello che ha detto e prova a riformulare, come in presa diretta con l’evento del Golgota, la sua lettura di quel nodo dei nodi: “Sulla croce Gesù mostra che proprio perché è Figlio di Dio si lascia crocifiggere. Affronta la drammatica serietà della croce, che gli viene imputata come segno della falsità della sua vita, per restare solidale con l’uomo peccatore e amarlo fino alla morte”. L’anziano uditore della Parola mai s’accontenta delle parole che cava dal proprio sacco.
Segnalo infine una pagina – che è nell’omelia intitolata “Giocarsi totalmente per Gesù” – dove il vangelo della peccatrice che bagna di lacrime i piedi del Maestro, Martini l’interpreta con parole che paiono tracciare un proprio autoritratto. Se ci mettiamo in gioco davvero nella sequela del Cristo, arriva a dire, il Signore “si rivela a noi come colui che valorizza tutte le nostre intime possibilità e ci dona quella spontaneità, quella gioia, quella scioltezza, quella libertà di cuore che è così bella da ammirare nella donna del Vangelo”. “Libertà di cuore”: ecco il segreto dell’ultimo Martini che da queste pagine prende le mosse e che saprà contagiare credenti e non credenti.
Luigi Accattoli