“Lo scopo del convegno ‘Fare chiarezza’ era di incoraggiare il papa a rispondere ai dubia dei quattro cardinali. Riceve tutti ma i quattro cardinali no. E non potrà neanche dire che non ha tempo per rispondere: basterebbe un sì o un no”: così si sfogava il mio interlocutore Giuseppe Rusconi nel nostro quarto e ultimo dibattito, il 27 aprile al Centro Russia Ecumenica.
Mentre l’ascoltavo mi è venuta l’idea di una “parabola dei dubia posti a Gesù” che qui abbozzo chiamando in scena lo stesso Giuseppe – il nome si presta – negli assolati giorni di Galilea e di Giudea quando gli scribi ponevano a Gesù cinque e più domande, ovvero dubia, formulate in modo da richiedere come risposta un “sì” o un “no”. In tutti quei casi egli non rispose come gli veniva chiesto ma mostrò fattualmente che la via per il Regno non passava né per il sì né per il no, ma era altra, più ampia o più stretta, sorprendente, anche contraddittoria, mai scontata. Sempre da cercare.
Rabbi lascia le parabole
e rispondi con un sì o un no
Si può guarire in giorno di Sabato? E’ lecito pagare il tributo a Cesare? La donna adultera va lapidata o no? Puoi metterti a tavola con i peccatori? Permetterai a una prostituta di toccarti? Gesù chiede la moneta o scrive per terra e Giuseppe l’interrompe con garbo: Rabbi, lascia stare segni e metafore e dicci solo un “sì” o un “no”.
“Il Santo Padre ha deciso di non rispondere” hanno scritto i quattro cardinali nella dichiarazione con la quale il 14 novembre scorso hanno pubblicato – editori Sandro Magister e Riccardo Cascioli – la lettera che avevano inviato al papa. Non è esatto: Francesco non ha risposto “sì” o “no” come gli veniva chiesto ma ha risposto eccome, e continua a rispondere. Le sue sono risposte fattuali, indirette ma chiare, esattamente come quelle di Gesù nei confronti dei dubia a lui destinati.
Possono essere considerate risposte del papa ai dubia, ovvero pezzi di risposta: la sua lettera ai vescovi della regione pastorale di Buenos Aires (5 settembre 2016), il discorso alla Comunità accademica dell’Istituto per la famiglia (27 ottobre 2016), La relazione del cardinale Vallini a conclusione del Convegno diocesano di Roma (19 settembre 2016), l’intervista del cardinale Schönborn a La Civiltà Cattolica (quaderno 3966, 7 luglio 2016), l’intervista del cardinale Müller a TgCom dell’8 gennaio 2017, l’opuscolo del cardinale Coccopalmerio Il capitolo ottavo dell’esortazione “Amoris laetitia” (LEV febbraio 2017).
Ho già riferito dei dibattiti con Rusconi nelle puntate di questa rubrica. L’ultimo appuntamento aveva il titolo Francesco dalla folla di Milano al convegno “Fare chiarezza”. Crescono i pro e i contro. Giuseppe e io avevamo individuato nella visita a Milano (25 marzo) e nel convegno “Fare chiarezza su Amoris laetitia” (Roma, Hotel Columbus, 22 aprile) due eventi che garantivano una buona presa sugli sviluppi del contagio e del disagio verso la figura di papa Bergoglio.
A Milano abbiamo visto una viva, ampia, pastosa rispondenza del popolo ambrosiano alla predicazione papale: a quella predicazione che i promotori del convegno coordinato da Riccardo Cascioli (direttore della Nuova Bussola Quotidiana e del Timone) ritengono pericolosa.
Il contagio si è espresso in ogni appuntamento di quella giornata, ha avuto risonanze nelle persone coinvolte, ha comportato ripensamenti verso Francesco di tanti che fino ad allora erano incerti. “Francesco lo sto scoprendo ora” ha detto all’Avvenire del 25 marzo il cardinale Scola.
Che cosa resta
di quella giornata
A mio parere la visita a Milano ha sgomberato il campo da alcune obiezioni ricorrenti verso papa Francesco: non visita mai le città del Nord, pare non abbia da dire nulla a un’umanità che non sia periferia, le persone semplici sono scandalizzate dalla sua parola che spesso si discosta da quella dei predecessori. Obiezioni che mi era capitato di sentire anche da vescovi.
A questa lettura il mio antagonista obiettava che sicuramente a Milano vi era stato “un successo mediatico e di pubblico” ma si chiedeva: “Che cosa resta dopo? Quali effetti reali ne vengono?”
Creativamente Rusconi adduceva a segno dell’inefficacia della visita il fatto – segnalato da una cronaca del “Corriere della Sera” – che uno degli ascensori del condominio visitato dal papa alle Case Bianche aveva “smesso di funzionare” pochi giorni dopo il passaggio di Francesco. In un articolo per il suo blog, il collega aveva già posto domande sui costi della giornata, sugli sponsor, sul fatto che il papa non abbia visitato l’Università Cattolica.
La mia testa quadrangolare fatica a seguire le argomentazioni a cavatappi del mio interlocutore. La visita del papa dovrebbe avere effetto sugli ascensori? Ho un amico a Bresso che mi assicura non esservi stato un miglioramento dei montacarichi in quel quartiere periferico dove pure andò Benedetto XVI in occasione della visita del 1°-3 giugno 2012.
Anche allora vi furono palchi e sponsor e benché il papa si trattenesse tre giorni neanche allora andò alla Cattolica: dunque a che gioco giochiamo? Torniamo alla guerriglia antibergogliana andante con brio: ha la veste trasparente, sbaglia le desinenze latine? Tuttavia è con piacere che vedo Rusconi battersi per i “mezzi poveri”, impresa nella quale non si era mai affacciato prima del 2013. Ci vedo un contagio bergogliano.
Il convegno non mi convince
ma non mi spaventa
Sono stato al convegno “Fare chiarezza” ascoltando dal vivo le prime due relazioni e leggendo poi i testi delle altre: non mi convincono ma neanche mi spaventano. Non mi preoccupa l’intento provocatorio che con la relazione di Claudio Pierantoni è arrivato a prospettare la presenza di aspetti ereticali in Francesco. Io reputo utile un convegno critico come questo: ci vedo un momento dialettico funzionale alla ricezione di un documento innovativo qual è l’Amoris laetitia.
L’unica cosa che disapprovo è la fretta da cui paiono mossi alcuni protagonisti e portavoce del convegno: Cascioli, Pierantoni, Rusconi stesso. Di un documento di questa portata si discuterà almeno per un decennio, o forse per cinquant’anni. I dubia e i convegni critici sono utili alla maturazione di atteggiamenti condivisi.
Uno dei partecipanti al nostro dibattito ha chiesto se ci sarà o no la “correzione” al papa prospettata dal cardinale Burke, qualora Francesco non risponda ai dubia. Rusconi ha detto che non sa prevedere, io che non ci sarà. “Non ho la sfera di cristallo” ha detto Rusconi: penso che il papa andrà avanti per la sua strada, penso che anche i dubbiosi continueranno a svolgere le loro argomentazioni, ma come non sono nella mente del papa così non sono in quella dei cardinali e dunque l’eventuale esito correttivo non lo so prevedere.
Ho argomentato
contro la correzione
Veramente in un articolo del blog che dava un resoconto del convegno, il mio interlocutore era apparso più favorevole alla possibilità che si andasse alla correzione: “Difficile prevedere che farà il papa: può anche darsi che – come ha detto ripetutamente – tirerà diritto, senza curarsi della confusione creata in parte del laicato cattolico da certe esternazioni. Ma a questo punto la responsabilità delle gerarchie preoccupate si accrescerà e sarà chiesto loro di valutare seriamente la possibilità di ‘correggere fraternamente’ il Papa”. Da questo testo risulta piuttosto una previsione di probabilità.
Io nel dibattito ho argomentato contro la correzione. Ho confessato di non sapere se il papa darà o no risposta ai dubia. Ho confidato che spero vi siano altri “elementi di risposta” (come quelli che ho ricordato sopra) ma ho anche detto che alla “correzione” non si arriverà adducendo l’autorità di due cardinali “al di sopra di ogni sospetto”, cioè attendibili in materia, trattandosi di un sottoscrittore dei dubia, Walter Brandmüller; e di un sostenitore di un’interpretazione restrittiva dell’AL che è anche il prefetto della Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller.
Il primo ha affermato che – semmai – “in prima istanza una correzione fraterna dovrebbe avvenire in camera caritatis”, cioè rivolta privatamente e personalmente al papa (dichiarazione del 26 dicembre a Vaticaninsider). Il secondo ha dichiarato l’8 gennaio a Tgcom24 che quella correzione gli appare “molto lontana”, anzi “impossibile in questo momento perché non si tratta di un pericolo per la fede”, in quanto AL è “molto chiara nella sua dottrina”. Due cardinali tedeschi, due punti fermi.
“Un atto formale di correzione” di un “serio errore” compiuto dal papa con alcune affermazioni del capitolo ottavo dell’esortazione post-sinodale era stato ventilato dal cardinale statunitense Raymond Burke in un’intervista del 16 novembre scorso al National Catholic Register.
Il professore
ha fretta
Attivo sostenitore di quell’atto di correzione è in Italia Roberto De Mattei, che così ne ha parlato in un articolo pubblicato da Corrispondenza romana il 22 febbraio: “Il fatto che Francesco ometta di rispondere ai ‘dubia’ dei cardinali accredita e incoraggia le interpretazioni eretiche o prossime all’eresia in tema di comunione ai divorziati risposati. L’atto di correzione pubblica si rende urgente e necessario”.
Il professore ha fretta proprio come un giornalista: in un articolo sul Tempo del 16 dicembre parlava di “fallimento del pontificato di papa Francesco” come fosse fatto suo – così diciamo a Roma: anche De Mattei è romano – e prevedeva un “colpo di scena” per questo 2017: l’abdicazione del papa o un pronunciamento dei cardinali che “equivarrebbe a una constatazione di errori o di eresie”.
Discuto con un collega che dà per probabile la “correzione”, studio le parole di chi la propone e quelle di chi la boccia. Concludo che non vi sarà.
Luigi Accattoli
Il Regno 10/2017